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"Cronaca familiare"(Prima ed. 1947) di Vasco Pratolini. Oscar Mondadori
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Suicide Is Painless:
"Cronaca familiare"(Prima ed. 1947) di Vasco Pratolini, Oscar Mondadori.
« Questo libro non è un'opera di fantascienza. È un colloquio dell’autore con suo fratello morto. L’autore, scrivendo, cercava consolazione, non altro. Egli ha il rimorso di avere appena intuita la spiritualità del fratello, e troppo tardi. Queste pagine si offrono quindi come una sterile espiazione »
« Ma se non si spera più negli uomini e non si spera in Dio?
Si spera ancora in sé stessi, ci si riconosce in quelli che si lasciano. »
(Enrico a Lorenzo)
“Cronaca familiare “ di Vasco Pratolini fu pubblicato nel 1947. Racconta la vera storia, con i nomi cambiati, vissuta dallo scrittore con suo fratello, che morirà prima d lui e a cui lui penserà poi sempre con una specie di rimorso per averlo sentito troppo a lungo come un estraneo, quasi fosse colpevole lui della scomparsa della mamma, morta nel darlo alla luce. Perché ne parlo oggi? Perché da pochi mesi è ricorso il centenario della morte di Vasco Pratolini. In Italia il centenario è stato ricordato poco. In vita fu celebrato come uno dei maggiori scrittori del suo tempo, fra i primi nomi della corrente letteraria neorealista. Pratolini fu un intellettuale importante, autodidatta e operaio prima di diventare scrittore, un “proletario” di grande sensibilità sociale. Animò riviste importanti assieme a Vittorini, Bilenchi, Gatto. Scrisse romanzi che furono celebri all’epoca, fra i quali “Metello”, “Cronache di poveri amanti”, “”Il quartiere” . Fu co-sceneggiatore di importanti film come “Rocco e i suoi fratelli” di Visconti, ”Paisà” di Rossellini, e altri. Ora è un po’ dimenticato, come spesso succede a molti autori. Diciamo che la sua opera è discontinua: quando il neorealismo si fuse con una poetica originale e delicata raggiunse risultati ottimi (e “Cronaca familiare” è uno di questi esiti). Altre volte fu più socialmente didattico e meno lirico. Questo romanzo di fratellanza e di struggente memoria, di affetto vero, mi ha sempre colpito per la sua tenerezza profonda, per il senso di rimpianto, per la nostalgia di una possibile felicità, per un conflitto fra il tempo e gli affetti (un che di cecoviano). Forse tutto questo è dovuto all’urgenza che Pratolini ebbe di scrivere questa sua storia vera dandole cadenza ariosa di romanzo. Al punto che in una breve premessa posta in capo al racconto scrive: “Questo libro non è un’opera di fantasia. E’ un colloquio dell’autore con suo fratello morto. L’autore, scrivendo, cercava consolazione, non altro. Egli ha il rimorso di avere appena intuita la spiritualità del fratello, e troppo tardi. Queste pagine si offrono quindi come una sterile espiazione”. C’è autobiografia, certo: ma essa trascende la cronaca in modo mirabile dentro un romanzo vero. Scritto con stile piano, minuzioso, con pulizia tutta toscana: l’autore, che è scrittore autentico, fa qui risuonare dentro la prosa la cadenza vera del proprio cuore.
Un Ringraziamento agli amici del Club dei Libri
Il romanzo si conclude con un messaggio a Ferruccio. Un testo poetico, lirico, un pensiero interiore che diventa preghiera:
« Ora mi dico che per gli spiriti più immacolati e più corrotti la morte è sempre un’assuefazione di vita, è il compimento di una conoscenza. E per le anime non più pure e non ancora peccatrici, che non conobbero né il sapore della rinuncia né il gusto dell'offesa? “Poiché dei poveri di spirito sarà il regno dei cieli” disse il Cristo. Se così è, la tua anima splende nell'Eterno più alto. »
Da Wiki:
Pubblicato nel 1947, narra la genesi, lo sviluppo e la tragica fine del rapporto affettivo tra l’autore e il fratello Dante, ribattezzato in seguito Ferruccio dai genitori adottivi.
Secondo vari studiosi sarebbe stato scritto in breve tempo e, per gran parte almeno, nella stanza 304 dell'Hotel Savoy, a Firenze.
Dal libro venne tratto nel 1962 l'omonimo bellissimo film di Valerio Zurlini, vincitore del Leone d'oro alla Mostra del cinema di Venezia. I due fratelli Enrico e il giovane Lorenzo, sono interpretati rispettivamente da Marcello Mastroianni e Jacques Perrin. Oltre alla presenza del sommo Salvo Randone come Salocchi.
"Bella la fotografia di Giuseppe Rotunno (che venne premiato con Nastro d'Argento 1963), questo austero capolavoro del cinema italiano è stato riconosciuto come uno dei migliori diretti da Zurlini."[...] Da Wiki.
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