Statua del dio Nilo,Napoli.
La Statua del dio Nilo è una scultura marmorea eretta durante il periodo romano tra il II e III secolo d.C..
La statua domina il largo corpo di Napoli e costituisce un elemento di elevata fattura di tutto il centro storico partenopeo.
Nella Napoli greco-romana si stabilirono numerosi egiziani (provenienti da Alessandria d'Egitto); le colonie erano formate da ceti sociali differenti tra loro (viaggiatori, mercanti, schiavi) ed i napoletani non si dimostrarono avversi a questo popolo, anzi, le colonie vennero soprannominate le «nilesi», in onore del vasto fiume egiziano. Gli Alessandrini decisero così di erigere una statua che ricordasse il fiume Nilo, elevato ai ranghi di divinità portatrice di prosperità e ricchezza alla loro terra natia.
Panoramica di Largo Corpo di Napoli, piazzetta dove è collocata la statua.
Dopo essere caduta in oblio, la statua fu ritrovata acefala verso la metà del XII secolo, quando l'edificio del seggio fu costruito nell'area delll'attuale largo, venendo collocata all'angolo esterno dell'edifico. Questa versione è principalmente riferita da Angelo Di Costanzo, il quale scrisse nel 1581 sotto lo pseudonimo di Marco Antonio Terminio l'Apologia di tre illustri Seggi di Napoli, dove sostiene la maggiore nobiltà dei tre seggi (o sedili) di Porto, Portanova e Montagna a scapito dei due seggi di Nilo (definito con la corruzione Nido) e Capuana, che dalla loro avanzavano altrettante pretese di primazia. La versione di Di Costanzo-Terminio è riportata e condivisa anche da Camillo Tutini, Pietro Summonte e, in epoca assai più recente, da Ludovico de la Ville Sur-Yllon.[1]
Molto probabilmente la statua ripiombò nel oblio e fu di nuovo riscoperta nel XV secolo. Bartolommeo Capasso ha ipotizzato che fu ritrovata durante i lavori di demolizione che interessarono parte dell'antico edificio del seggio di Nilo (i cui resti secondo Roberto Pane sono riscontrabili nei tre portici inglobati nel muro laterale del palazzo Pignatelli di Toritto) attorno e non prima del 1476, quando le famiglie del seggio, notata la fatiscenza dell'edificio, acquistarono per la nuova sede una parte del monastero di Santa Maria Donnaromita.[2]
A causa dell'assenza della testa, che non permise un'identificazione certa del soggetto, fu interpretata erroneamente come la statua di un personaggio femminile, per via della presenza di alcuni bambini (i putti) che sembrano allattarsi in seno alla madre. L'opera, secondo le cronache antiche (a partire dalla trecentesca Cronaca di Partenope e dalla Descrittione dei luoghi antichi di Napoli del 1549 di Benedetto De Falco), stava a simboleggiare la città madre che allatta i propri figli; da qui nacque il toponimo «Corpo di Napoli», dato al largo dove è tuttora ubicata.
Solo nel 1657 (quando fu totalmente demolito il vecchio edificio del sedile) la scultura fu adagiata su un basamento e restaurata per iniziativa delle famiglie del seggio dallo scultore Bartolomeo Mori, il quale integrò la statua con la testa di un uomo barbuto, le sostituì il braccio destro e vi apportò la testa del coccodrillo presso i piedi del dio, la testa della sfinge posta sotto il braccio sinistro e i vari putti; infine sul basamento fu posta un'epigrafe a ricordo; dopo che fu persa la prima epigrafe e la statua fu danneggiata, nel 1734 fu applicata l'epigrafe dettata dal noto erudito Matteo Egizio che tuttora si può leggere, in occasione dei lavori di restauro patrocinati dalle nobili famiglie Dentice e Caracciolo e promossi da varie personalità tra cui l'architetto Ferdinando Sanfelice. Ulteriori restauri furono apportati dallo scultore Angelo Viva tra la fine del XVIII secolo e i primi anni del XIX secolo.
Durante il secondo dopoguerra, due dei tre putti che circondavano la divinità nonché la testa della sfinge che caratterizzava il blocco di marmo furono staccati e rubati, probabilmente per rivenderli al mercato nero. La testa della sfinge verrà poi ritrovata nel 2013 in Austria dal Nucleo Tutela Patrimonio Artistico dei Carabinieri.[3]
Descrizione[modifica | modifica sorgente]
La scultura raffigura il Dio Nilo come un vecchio barbuto e seminudo disteso su una pietra, con a destra una cornucopia e con i piedi appoggiati sulla testa (non più visibile) di un coccodrillo.
Sotto la statua è posta una targa in marmo fatta per i lavori di restauro del 1734. Sulla targa è incisa in latino la storia e le peripezie della plurimillenaria scultura, che nonostante tutto, domina ancora quel largo.
Così recita l'iscrizione incisa sul basamento della statua:
(IT)
« Gli edili dell'anno 1667 provvidero a restaurare e ad installare l'antichissima statua del Nilo, già eretta (secondo la tradizione) dagli Alessandrini residenti nel circondario come ad onorare una divinità patria, poi successivamente rovinata dalle ingiurie del tempo e decapitata, affinché non restasse nell'abbandono una statua che ha dato la fama a questo quartiere. Gli edili dell'anno 1734 provvidero invece a consolidarla e a corredarla di una nuova epigrafe, sotto il patronato del principle Placido Dentice. »