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Riferimento: Cos'e' veramente Il maschilismo?
Ritengo sia arrivato il momento di tirare le somme dalle 16 pagine di discussione sull’argomento “maschilismo”, per mettere a frutto la trattazione della tematica ed avviare a conclusione – almeno per quello che mi riguarda e dal mio punto di vista - questo percorso di riflessione.
Le parole, come si sa, sono i simboli verbali attraverso i quali gli esseri umani, comunicando reciprocamente le rispettive percezioni della realtà, interpretano e definiscono il proprio mondo. Il senso delle parole nasce, per dirla altrimenti, dalla comunità dialogante che li utilizza (che va, naturalmente, ben al di là della presente comunità forumista) riflettendosi in esse (parole e concetti) la cultura corrente del tempo ed il sistema di valori dominante. Si tratta, in sintesi, del c.d. “senso comune” depositato nel banale linguaggio quotidiano. Il termine “maschilismo” è entrato nel senso comune e nell’utilizzo linguistico corrente – come emerge anche dallo sviluppo di questa discussione - con una pluralità di significati non sempre uniformi ma tutti, comunque, derivanti da un’interpretazione negativa del mondo maschile in quanto tale, tout court, non di alcune sue delimitate espressioni tipiche. Personalmente ho trovato ragionevole, come unica eccezione, un approccio critico come quello di nevealsole (mi sembra) secondo la quale con il termine maschilismo dovrebbe stigmatizzarsi quella certa ruvidità dell’espressione e dell’espressività maschili che - ancora in alcuni isolati casi al giorno d’oggi - può sfociare nella brutalità e, in casi ancora meno frequenti, in espressioni di prepotenza. A questa definizione di maschilismo aderisco senza riserve, così come ritengo che un maggiore arrotondamento dell’espressione maschile sia un valore da sollecitare senza alcuna ombra di dubbio; sottolineando, però, al tempo stesso, che il modello espressivo di riferimento non può essere – pena la falsificazione e l’inautenticità dei modi e dei rapporti – quello femminile. Per contro, nella maggior parte degli altri interventi è la figura antropologica maschile in sé stessa ad essere imputabile di maschilismo, in quanto abbarbicata, secondo tali interpretazioni, a privilegi di genere radicati, secondo alcuni/e, in un esercizio esclusivo e discriminante del “potere” sociale. La vecchia definizione di maschilismo come espressione della superiorità maschile prevaricatrice, che prende corpo in forme diverse. Ignorando, deliberatamente o meno, le oramai conclamate “differenze di genere” che stanno alla base delle distinzioni “naturali” di ruolo, si invoca un astratto e forzato egualitarismo tale da portare ad una parificazione artificiosa e statistica dei sessi nelle diverse espressioni di vita. Questa interpretazione scaturisce da una visione politico-sociale – quella ereditata dal ’68 e filtrata nel senso comune, come ho ricordato in precedenza – che semplifica la complessità delle questioni umane riducendole a contrapposizioni antagonistiche per il potere: oppressi contro oppressori, sfruttati contro sfruttatori, proletari contro capitalisti, salariati contro padroni, deboli contro forti, poveri contro ricchi, donne contro uomini. Il mondo femminile diventa, in quest’ottica, un nuovo proletariato mondiale in lotta contro il proprio oppressore, con una prospettiva di vittoria che non è quella dell’affermazione della propria specifica dignità, ma il “rovesciamento dei rapporti di forza” e la “conquista del potere” sociale. Le quote riservate, a guardare bene, non vengono rivendicate dai movimenti femminili in tutti i settori di attività, ma solo in quelli che si compenetrano al “potere”. Nessuna rivendica quote riservate nella categoria degli elettricisti, ad esempio, eppure lì le presenze femminili sono quasi completamente assenti. Sin dal femminismo degli anni ’70, l’antagonismo femminile al mondo maschile non mira, infatti, ad affermare il valore della donna nell’ambito di prerogative di genere riviste ed ampliate in relazione alle nuove opportunità offerte dallo sviluppo tecnologico, in passato assenti; ma, stante l’impossibile confronto tra i sessi sul piano pratico, è costretto, per valorizzare la figura della donna, a dequalificare e svalorizzare la figura maschile, le sue attitudini naturali (sessualità compresa), le sue realizzazioni (comprese le dinamiche sociali ed economiche cui esso ha dato impulso) e la stessa dignità del singolo uomo (concepito come a sé “idoneo” o a sé “inidoneo” in funzione del suo posizionamento sociale). “Non sono io donna a dover mettere in mostra le mie capacità – questo il messaggio forte del femminismo, che ha fatto presa sull’immaginario collettivo dando origine ad un nuovo substrato etico – ma sei tu, uomo, anzi, maschio, a non valere nulla”. Nei giorni scorsi, per buona aggiunta, abbiamo sentito dai media parlare di “inutilità del maschio” come possibile conseguenza della auto - fecondazione femminile (scienziati inglesi dell’università di Newcastle Upon Tyne, riporta il New Scientist, avrebbero trovato un modo per trasformare le cellule staminali del midollo osseo femminile in spermatozoi). Non è difficile immaginare che se si fosse parlato di inutilità della donna in un qualunque altro senso, il giorno dopo ci sarebbero state manifestazioni di piazza in tutta Italia ed infuocate invettive parlamentari. Nella circostanza non si è sentita volare una mosca. In conclusione, la parola maschilismo è, nelle impressioni che se ne traggono anche da questa discussione, oltre che nella realtà quotidiana, lo strumento sanzionatorio con il quale la cultura antimaschile accredita tanto se stessa quanto quella concezione etica secondo la quale il “bene” ha il volto di donna ed il male quello di uomo, anzi, di “maschio”. In questo senso, l’aggressione femminista della prima ora ha ormai da diverso tempo sfondato un inesistente fronte difensivo, dilagando nelle stesse espressioni di senso comune che, in quanto tali, sono ordinariamente sottratte ad un più attento e riflessivo ripensamento. Esse, pertanto, tendono a perpetuare se stesse anche contro le più ragionate ed acclarate evidenze. |
Riferimento: Cos'e' veramente Il maschilismo?
Nella individuazione di alcuni tratti e momenti specifici nei quali si manifesta ed attualizza la lotta antimaschile condotta in Occidente ho elencato prima la grande invenzione dell'Otto Marzo e poi la campagna “contro la violenza sulle donne” dove abbiamo incontrato finalmente quella fantomatica matematica femminista di cui si favoleggiava negli anni Settanta. Eccone un'altra applicazione.
Anni fa l'Unicef diffuse per l'orbe terraqueo la nuova secondo la quale non ci sono donne nel mondo perché sono state tutte assassinate. La notizia, di cui nessuno oggi ha memoria, finì giustamente sulle prime pagine, venne commentata nei talk show e noti intellettuali vi ricamarono le loro glosse, ingiungendo agli uomini di avviare l'epoca dell'espiazione. Nessuno ha memoria di un simile fatto per le medesime ragioni per le quali nessuno ha “memoria” di quel che si giurò nel novembre 2007 sulle violenze maschili e che si giurerà per i decenni a venire. Così come di recente nessuno si avvide che 1 è divenuto più grande di 1000, allo stesso modo nessuno notò allora che zero è più grande di 3.000.000.000 . L'Unicef infatti, dopo una ricerca su scala globale, scientificamente ineccepibile, oggettiva e priva di qualsiasi preorientamento e pregiudizio, come si conviene ad un organismo superpartes di tale rango, fece sapere che ogni anno nel mondo vengono assassinate 60.000.000 di donne. Il numero dice qualcosa? Dice che ne vengono assassinate il doppio di quante ne muoiano per qualsiasi motivo. E ben più di quelle che nascono. Dice che i maschi non solo assassinano quelle che sono vive ma ne eliminano altrettante mai esistite. Dice che ogni anno in Italia ai 580.000 morti per tutte le cause (femmine e maschi) si devono aggiungere altre 600.000 donne eliminate. Dice che in due generazioni tutte le donne del mondo vengono assassinate e poiché questo ginecidio va avanti da sempre, dice che le donne assassinate nel corso della storia sono state il doppio di quelle che vi sono nate. Dice che non è mai esistita alcuna donna in questo mondo e che quelle che vediamo in giro sono fantasmi, ologrammi, chimere. Dice che il crimine maschile è di proporzioni cosmiche, metafisiche. Che metà dell'umanità è formata da una banda di assassini nati per il crimine e che trovano in esso la loro prima – e forse l'unica - ragione di vita. Si obietterà che tutto ciò è impossibile. Che un simile organismo non può aver diffuso una tale verità e che se mai fosse accaduto certamente e istantaneamente tutti gli intellettuali, i giornalisti, gli statistici sarebbero insorti a sbugiardarlo. Non è forse il mondo pieno di liberi pensatori? Non siamo forse tutti critici e ipercritici, smaliziati e sospettosi? Non è forse vero che ciascuno di noi pensa con la propria testa? Non è forse vero che la propaganda plagia gli altri ma non noi? “Ah, se questo Oberon citasse il nome di un intellettuale (o anche meno, una decina. O meno ancora, un centinaio) che allora credette a quella verità, se potesse indicare un giornale dove cui quella apparve, allora incomincerei a credere che qualcosa non vada. Incomincerei a pensare di non essere stato così attento alle dinamiche del conflitto sul quale pur mi pare di sapere tanto da poterne esprimere validi giudizi. Se all'epoca io fossi stato vivo, subito avrei scritto a redazioni e personalità a denunciare tale mostruosità. Se Oberon potesse precisare il giorno in cui quell'enormità venne diffusa e che a me – attento ai fatti decisivi della vita sociale, libero pensatore, critico, ipercritico – sfuggì, allora penserei che forse me ne sia sfuggita un'altra (o anche meno: altre cento. O forse meno ancora: altre mille. O meno del meno: 3.000.000.000) ”. Oberon non preciserà nulla. Né il giorno, né il mese, né l'anno. Né il dove, né il chi. Liberi pensatori e libere pensatrici; critici e ipercritici devono poter pensare che quella verità è stata inventata da me di sana pianta. Questa al pari delle altre. Obn |
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Citazione:
questo è il libro/rapporto di cui parli (correggi però per farvore l'eventuale mio fraintendimento sulla tua fonte): http://www.dcaf.ch/publications/kms/details.cfm?ord279=title&q279=women&lng=en&id=2858 2&nav1=4 questo è un riassunto: http://www.dirittiglobali.it/articolo.php?id_news=117 " DESAPARECIDAS - Le statistiche parlano chiaro: circa 200 milioni di donne (sono pure di più di quelle che dici tu oberon, nda), ragazze e bambine sono «demograficamente scomparse». Un eufemismo che nasconde uno dei più scioccanti crimini contro l`umanità: la sistematica eliminazione delle femmine, solo in quanto tali, vittime di omicidi, fame, povertà e discriminazioni di ogni tipo. L`inoppugnabile «soluzione finale», per molte, inizia già prima di nascere. Citazione:
In Paesi quali Cina, Corea del Sud, India e Nord Africa le pratiche anti-bambine sono all`ordine del giorno. Tanto che nell`ultimo censimento cinese il rapporto maschio-femmina era di 119 a 100, mentre le normali percentuali biologiche sono di 103 bambini ogni 100 bimbe. Lo stesso avviene in India, dove il commissario del censimento stima che «parecchi milioni di feti» sono stati abortiti negli ultimi due decenni «in quanto di sesso sbagliato». VIOLENZA - Ma la «condanna in base al sesso» prosegue anche dopo la pubertà. Ogni anno 3 milioni di donne e ragazze sono uccise perché femmine. Ovvero più dei 2.8 milioni di individui stroncati dall`Aids e dei 1,2 milioni falciati dalla malaria. Per non parlare delle 5 mila donne che ogni anno muoiono bruciate in «incidenti di cucina» provocati dalla famiglia dello sposo, quando la dote è giudicata «insufficiente». Dalla Cambogia agli Usa e dalla Thailandia alla Svizzera, la violenza domestica resta, in assoluto, la più diffusa. Tanto che dal 40% al 70% delle donne assassinate intorno al mondo sono vittime di mariti e fidanzati. La maglia nera appartiene ai paesi islamici. Il 47% delle donne uccise in Egitto sono eliminate da un parente dopo uno stupro che «infanga la reputazione della famiglia». E in Pakistan almeno tre donne vengono freddate ogni giorno in «omicidi d`onore» che restano impuniti al 100% perché, come denuncia l`attivista Nahida Mahbooba Elahi, «la polizia li giudica affari privati e si rifiuta regolarmente di perseguirli». STUPRI E SALUTE - Nel 2005 la violenza sessuale contro le donne continua ad affliggere una donna su cinque, e non solo nei Paesi in via di sviluppo, portando il totale delle donne violentate ad oltre 700 milioni; 25 milioni delle quali solo negli Stati Uniti. Un netto peggioramento si è registrato anche nel commercio illegale di «schiave del sesso» che oggi affligge tra i 700 mila e i 2 milioni di donne e ragazze, vendute ogni anno attraverso i confini internazionali. Un incremento del 50% rispetto a cinque anni fa. Nonostante le tante crociate internazionali, in aumento un po` ovunque sono anche i casi di mutilazione genitale: 6 mila al giorno (oltre 2 milioni l`anno per un totale di 130 milioni nel mondo). E nei Paesi dove solo i maschi hanno un adeguato accesso alla sanità, sono 600 mila le donne che muoiono durante il parto: una cifra uguale al genocidio del Rwanda nel ’94, ma ripetuta anno dopo anno. Secondo il Dcaf questo quadro sconcertante è strettamente legato alla mancanza di potere politico-economico «rosa» in un mondo dove le donne costituiscono oltre i due terzi dei 2.5 miliardi di persone costrette a vivere con meno di 2 dollari al giorno, nonché il 66% degli analfabeti. Dove nonostante le battaglie decennali del femminismo hanno in mano soltanto l`1% delle terre del pianeta, il 14% dei seggi parlamentari e il 7% dei ministeri di governo. " oberon, configurare come fai tu una omissione cosmica avente come oggetto la reale condizione femminile e come vittima predestinata gli uomini, perpetuata da decenni dai medesimi contro sè stessi e contro la propria volontà, a mezzo di dati falsi e ipnotici, deve costarti una fatica immane. Riuscire a leggere tutti i rapporti sulla discriminazione femminile pubblicati negli anni dagli enti e dagli istituti più varii e tradurli nel Grande Complotto A Sè Ignoto di cui vai scrivendo da svariate pagine non deve essere per nulla facile. Non deve essere facile leggere di "«Almeno 60 milioni di bambine sono state ``cancellate`` in seguito ad infanticidi o aborti selettivi di feti femmine, resi possibili dai progressi tecnologici», spiega Amartya Sen, premio Nobel per l`Economia 1998" e tradurre come fai tu che: "L'Unicef infatti, dopo una ricerca su scala globale, scientificamente ineccepibile, oggettiva e priva di qualsiasi preorientamento e pregiudizio, come si conviene ad un organismo superpartes di tale rango, fece sapere che ogni anno nel mondo vengono assassinate 60.000.000 di donne." tale pervicace volontà presuppone con ogni evidenza una tesi da voler dimostrare a prescindere dal come lo si farà. d'altra parte sono svariati posts che scrivi di non voler fornire una sola prova a corredo di quanto affermato. rimangono dunque tue legittime congetture in libertà. però veramente...penso a quanto tempo devi impiegare per tradurre tutti quei rapporti in quel modo oberon!!! |
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Precisazione
Il vescovo di Tours, Gregorio, nella sua “Storia dei Franchi”, racconta anche piccoli episodi di “corridoio” durante il sinodo dei vescovi di Macon. Uno di questi narra che un vescovo pose agli altri padri un argomento filosofico: se “uomo” nelle Scritture dovesse essere inteso come “persona” ossia essere umano e quindi comprendente sesso maschile e sesso femminile o fosse da considerare nel senso di vir cioè di sesso maschile solamente. Gli fu risposto unanimemente che in Genesi, quando si dice che Dio "creò l'uomo, e maschio e femmina lo creò", si usa il termine "homo" che quindi si deve riferire ad entrambi i sessi. Intorno a questa quisquilia nel ‘700 si costruì ad arte la calunnia che la chiesa avesse sostenuto che le donne non hanno l’anima. La fesseria trova ancora persone che la propagandano. Non c’è ovviamente un solo documento e in caso contrario invito a citarlo, in cui la chiesa affermi questa assurdità. Al contrario le donne santificate fin dall’inizio e la venerazione anzi il culto che la chiesa ha sempre avuto per Maria dimostrano di che panzana si tratti. Dunque dire che la chiesa per secoli ha sostenuto che le donne non hanno l’anima o è ignoranza o è malafede... :) |
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Intervengo prestamente per scusarmi di due sgrammaticature nel precedente post.
Vedo che nel frattempo Chbg nel tentativo di darmi torto mi ha dato ragione. Lo ringrazio, ma non era necessaria tanta tempestività nel fornirmi nuove munizioni per i miei futuri interventi. Cmq davvero gentile da parte sua. Vedo poi che Ggsan ha anticipato considerazioni che avrei voluto svolgere tra alcuni mesi, fondate su un altro tema della campagna di colpevolizzazione antimaschile, la questione dell'anima delle donne. Egli chiude il suo intervento con la ragionevole alternativa: ignoranza o malafede. Ne prendo spunto per anticipare la risposta che darò articolatamente tra un anno (o forse più): si tratta buona fede (l'ignoranza segue di conseguenza). La ragione è questa, che l'intera lotta contro gli uomini è animata dalla più perfetta buona fede. Buona fede assoluta. Il suo scopo infatti consiste nell'espansione del Bene e nell'eliminazione del Male. Come si fa a non lodare un simile intento? A presto. Obn |
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Citazione:
Dimostrazione che, sono certo, vorrai dare in modo analitico e sulla base del mio precedente post. Lodevole iniziativa da parte tua voler dissipare dubbi e perplessità su quello che finora è parso, certo per un fraintendimento clamoroso e inammissibile, un monologo e non un dialogo, un soliloquio autoreferenziale, surreale nelle dimensioni del fenomeno osservato, ed inservibile al confronto oggettivo. Scusa davvero se, con errore grossolano (avrei scritto madornale, ma ho temuto il peggio), ho pensato che pre/post mettere ai propri interventi frasi come "Oberon non preciserà nulla. Né il giorno, né il mese, né l'anno. Né il dove, né il chi." costituisse un vulnus invalidante per chi, come te, pretende legittimamente credibilità in riferimento alle tesi espresse su di un forum. Citazione:
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Ad integrazione delle mie conclusioni già postate, riporto un articolo apparso su L'Espresso di questa settimana, afferente alla tematica.
Maschio addio di Mauro Covacich Basta stupri. Giù gli obelischi. Fine dei sigari e degli hooligan. Scienziati inglesi producono sperma dal midollo spinale femminile. E rinasce l'utopia di un mondo solo di donne Ci aspettavamo un futuro di navicelle spaziali, strade intergalattiche, cibo in pasticche, macchine volanti, invece sono arrivati Internet, la posta elettronica, il trasferimento di testi e immagini in tempo reale, la rarefazione della materia nei processi digitali. Ci aspettavamo un futuro di androidi, robot, marziani, uomini bicefali con le antenne e le orecchie da pipistrello, ci aspettavamo di vedere, come il povero Rutger Hauer, "navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione e i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser". Invece vedremo il pianeta terrestre abitato da sole donne (o meglio: lo vedranno loro). Un mondo normale, con gli alberi e le case, senza raggi B, ma abitato esclusivamente da donne. La scienza non smette di prendere in contropiede la fantascienza (prima o poi i cultori del genere dovrebbero affrontare l'argomento). Lo fa di nuovo oggi, con i ricercatori dell'Università di Newcastle, i quali dichiarano di essere pronti a trasformare il midollo spinale di una donna in sperma, escludendo l'elemento maschile dal ciclo riproduttivo. Di più: in questo tipo di sperma mancherebbe il cromosoma Y e quindi la procedura comporterebbe la nascita di una nuova stirpe umana, integralmente al femminile. La fantascienza non vede bene, e prevede peggio. Lavora di fantasia. L'orizzonte che descrive è sempre separato da una specie di salto rispetto all'orizzonte che abbiamo ancora davanti agli occhi. È il salto che ci sposta in un sistema caratterizzato da parametri diversi rispetto a quelli della realtà, fantaparametri all'interno dei quali è concessa qualsiasi invenzione. La scienza invece ci vede benissimo. Ha una vista così potente da apparire allucinata. È la vista di chi lavora con l'immaginazione, non con la fantasia. La scienza ha una 'vision', elabora un orizzonte futuro sulla base dei parametri della realtà stessa. Niente salti. Niente orecchie di pipistrello. Solo un mondo abitato da esseri umani uniformemente dotati di vagina. Donne geneticamente autonome, ermafroditi, portatrici di ovuli e seme. È un mondo verosimile, che riusciamo a prefigurarci, e per questo piuttosto sconvolgente. Un mondo XX dove ci sarà una prima breve era di tutela della minoranza maschile e verranno stabilite delle quote azzurre. Poi, inesorabilmente, gli uomini verranno declassati, allontanati dai ruoli di potere, e perderanno via via, insieme al loro ruolo riproduttivo, anche quello sociale. Divenuti inutili, saranno sempre meno interessanti sul piano delle relazioni. Le donne etero impareranno dalle loro amiche omosessuali a darsi piacere senza penetrazione, a espandere l'orgasmo clitorideo sull'intera superficie del corpo, e diventeranno ancora più sofisticate, e sapranno venire anche facendo brainstorming in riunione, anche semplicemente sfiorandosi il lobo di un orecchio. I pochi uomini superstiti vedranno scomparire i loro caratteri sessuali. Non essendo più desiderati, smetteranno di desiderare. I loro peni si atrofizzeranno per disuso. Infine, dopo due, tre generazioni da eunuco, il maschio si estinguerà. A quel punto tutto prenderà luce e calore dall'ossimoro 'sperma femminile'. La fallocrazia, un concetto sopravvissuto almeno 5 mila anni, affonderà in un mare spumeggiante come il membro di Urano evirato da Crono. Nelle città verranno demoliti i campanili, i minareti, le torri, i grattacieli, le ciminiere, gli obelischi. Dalle case scompariranno le penne, i sigari, i coltelli. Dai bagni pubblici, gli orinatoi. I negozi non venderanno più kit da bricolage - addio trapani! - né bilancieri, né panche. Certo, potrà essere un problema montare le scaffalature Ikea, ma la fatica sarà ampiamente ricompensata: niente più calze di spugna sudate in giro per la casa, niente più peli nel lavandino, niente più l'odioso ronzio del rasoio. Solo collant gocciolanti sul bordo della doccia, solo strisce di ceretta, pacchi di assorbenti con le alette, solo forcine, spazzole, balsami al midollo di placenta, solo creme idratanti e fon col diffusore. E fuori? Be', fuori, una società senza gerarchie, né assetti piramidali. Luoghi di lavoro con organigrammi solo orizzontali. Uffici e assetti societari progettati senza vertici, un sistema di protocolli in cui il potere non verrà esercitato, ma circolerà come linfa nelle venature di una pianta. Fuori, una società dove verranno distrutti i fucili e i cannoni (anche i cannoli, purtroppo). Una società senza più manganelli, dove l'ordine pubblico si manterrà da solo, dove anche gli ultras saranno scomparsi insieme all'ultima molecola di testosterone, dove guidare sarà più facile e nessuno si picchierà ai semafori, dove diminuiranno drasticamente gli incidenti, anche se il parasole, in macchina, avrà lo specchietto pure sul lato guida. Ecco il futuro, un mondo senza più erezioni, senza più invidia del pene. Un mondo senza Freud. Un mondo senza più violenze sessuali. Certo, per i maschi è una prospettiva non proprio rosea, un contrappasso piuttosto brusco. Per lenire il colpo, gli scienziati ci assicurano che questa scoperta sarà concretamente realizzabile fra una decina d'anni (al momento i topi nati da 'sperma femminile' non godono di buona salute). Però, insomma, la strada sembra essere segnata: lo si voglia o meno, un mondo senza uomini appare migliore. E c'è già chi spiega come costruire una famiglia senza padre, dal primo contatto con una banca del seme in poi: si chiama Louise Sloan e il suo libro 'Knock yourself up' ha avuto un enorme successo. Ovviamente agli uomini non piacerà scomparire dalla faccia della Terra. Ma in questi ultimi quarant'anni di rarefatte filosofie della differenza non siamo stati capaci di uscire dall'impasse di un muro contro muro. Pensavamo che il problema fosse risolto, molti di noi (io, ad esempio) trovavano anacronistiche le battaglie per i diritti delle donne. Anacronistiche e pedanti. Il mio commercialista è una donna, il mio medico è una donna, il mio editor è una donna, il giornale a cui collaboro è diretto da una donna: mi sembrava che dovessimo passare oltre, che 'noi' e 'loro' dovessimo affrontare insieme cose tipo l'approvvigionamento idrico, l'inquinamento del pianeta, l'imperialismo delle multinazionali, eccetera eccetera. Invece il rancore cresceva appena fuori casa, bastava dare un'occhiata un po' più in là del proprio naso e si vedeva un mondo di rancore. A New Delhi è nata una compagnia di taxi per sole donne. In Kenya, a pochi chilometri dalla famosa riserva naturale Samburu, è nato un villaggio per sole donne. Donne percosse, ustionate, infibulate, tenute insieme al bestiame, violentate con la naturalezza con cui si spezza il pane. Oppure donne Pandora, colme dei mali del mondo, guai anche solo a sfiorarle: sto pensando all'ultimo romanzo di Don DeLillo, 'L'uomo che cade' (Einaudi), dove Mohamed Hatta e gli altri dirottatori dell'11 settembre, riuniti nella casa-rifugio di Marienstrasse ad Amburgo, si assentano dalle discussioni solo per andare in bagno a controllarsi la barba e a masturbarsi. Se non siete riusciti a trovare un accordo, l'unica soluzione - sembra dirci la scienza da Newcastle - è che uno dei due se ne vada. L'uomo non è più indispensabile, può accomodarsi all'uscita. Forse qualcosa di noi si conserverà nei geni delle donne, forse il pensiero uterino salverà il calcolo e le categorie del cogito, e in qualche modo sopravvivremo dentro questa nuova umanità monosessuata. Resta da capire cosa diventerà l'essere umano, una volta persa la sua duplicità. Un essere umano che si feconda e partorisce è una specie di 'corpo senza organi', come se lo figurava Gilles Deleuze. Un organismo liberato dalla Legge, fatto di solo Desiderio. Un nucleo informe di energia, inteso come riserva di produttività sempre pronta a generare, ad affermare se stessa, rivoluzionando l'esistente in nome di un corpo sempre a venire. Friedrich Nietzsche ha parlato di un 'Oltreuomo', pensando al soggetto in una prospettiva successiva al dominio della tecnica e al superamento della metafisica. Probabilmente per delicatezza ha preferito non specificare di che sesso sarebbe stato. (13 febbraio 2008) |
Riferimento: Cos'e' veramente Il maschilismo?
Tutti i giornali, tutti tranne il corriere della sera, riportano la grande scoperta seguita dalle parole: la fine del maschio e bla, bla, bla.
Ovviamente questo è un altro esempio disgustoso di manipolazione ad opera dei nostri cari giornalisti che devono vendere. Perché è assolutamente ovvio che a una simile scoperta scientifica (che poi vorrei vedere...) debba seguire necessariamente uno scenario da incubo nazista dove le donne, preso il potere, estinguano gli uomini! Ovviamente, in questo paese che i giornalisti vorrebbero abitato da incapaci e inetti, è sfuggito il dettaglio che da anni e anni con il procedimento della clonazione si potrebbe ottenere la stessa cosa, l'estinzione di uno dei due generi. Citazione:
E mi dispiace, ma ci sto facendo caso, spesso e volentieri, non appena fa capolino la minima occasione, ecco che sbucano come funghi i soliti articoletti cretini. Che ti devo dire Iul? Turiamoci il naso e speriamo bene.... |
Riferimento: Cos'e' veramente Il maschilismo?
In relazione alle osservazioni di Chbg, cui al momento è bene non contrapporre glosse, al solo fine di evitare equivoci e sospetti quoto parte di un mio post precedente indirizzato ad altro forumista.
>>> Obn …Se le cose andranno come spero, resterò a lungo su questo forum e non vi sarà argomento attinente al conflitto tra i sessi che, prima o poi, non verrà toccato, analizzato e sviscerato. E proprio perché intendo restarvi a lungo (come ho annunciato da subito) non vi è alcuna urgenza nel correre a rispondere a questa o a quella obiezione. >>> Prendo però spunto dalle sue notazioni per presentare alcune considerazioni sul mio modo di procedere. Sul contesto, le motivazioni e le conseguenze delle modalità di approccio che sto seguendo, il tutto in tre parti. 1- Impotenza della ragione e predominio del cuore. 2- Un quasi monologo 3- Fonti/rimandi/citazioni 1- Impotenza della ragione e predominio del cuore. Siamo (quasi) tutti convinti di essere guidati dalla ragione, nel senso che pensiamo di avere delle idee sulla base delle quali giudichiamo e agiamo. Corollario di questo assunto è la certezza di poter modificare le nostre (e le altrui) opinioni in dipendenza dai fatti (la realtà, la verità) o dalle argomentazioni altrui (e quelle altrui con le nostre). Vogliamo sentirci ed apparire esseri razionali intendendo che questo sia il tratto che ci caratterizza come esseri umani, il passaporto della piena umanità, la carta verde che ci consente di collocarci a pieno titolo ad un livello superiore rispetto agli animali. Questa convinzione si manifesta in vari modi. Ad es. si è usi dire: “Se mi venisse dimostrato che ho torto… allora …” “…le mie idee sono basate sui fatti…” , “…mi attengo strettamente a quel che dice la scienza.” etc. E’ sempre in questa prospettiva che si dice “la matematica non è un’opinione” “la logica mi impone di dire…fare... pensare…”. In questo quadro la mente governerebbe il cuore, la ragione guiderebbe i sentimenti, la logica determinerebbe idee e azioni. Ciò è del tutto falso. E’ vero invece il contrario. Sono i sentimenti che suscitano, definiscono, delimitano, colorano le idee e le azioni. Nessun avvenimento collettivo o individuale - per sé solo - può alterare la configurazione psicoemotiva (il cuore) e men che mai lo può il più perfetto dei sillogismi, la più stringente delle dimostrazioni. Non esistono fatti che, per sé soli, possano modificare un’opinione, né prove o controprove o dimostrazioni che possano ridisegnare la forma del nostro presentarci al mondo. Ossia i parametri del nostro giudizio, i fondamenti del nostro sentimento del mondo e perciò la forma di quelle che noi crediamo essere le regine della nostra vita: le idee, le quali sono invece semplici schiave. Il cuore cambia la propria forma insensibilmente ma sempre rifiuta di esserne forzato. Esperienze gravi o estreme possono modificare repentinamente la visione (=il sentimento) del mondo, ma accade spesso che neppure queste siano sufficienti. Tale è la potenza dello stato psicoemotivo fondamentale che determina la nostra vita. Sulla base di queste considerazioni scrivo senza pretendere in alcun modo di modificare le opinioni di chi mi legge. Esse infatti dipendono dal cuore. Perciò bisognerebbe ridisegnare questo per cambiare quelle. Ma la modificazione di questo non dipende da me in alcun modo. Attendersi che un nostro interlocutore muti di parere perché forzatone dai nostri ragionamenti, sillogismi, prove, dati, numeri etc. è come pretendere di far diventare ateo un credente, comunista un fascista o, semplicemente juventino un interista. Io non scrivo per modificare il cuore di chi mi legge (come si è potuto pensarlo?). Mi renderei ridicolo di fronte a me stesso al solo sperarlo. Scrivo per coloro la cui configurazione piscoemotiva è già aperta alla visione di uno spettacolo stupefacente e mirabile, benché del tutto inverosimile e inaudito. Non aspiro ad aprire varchi nei cuori altrui, finestre nell’altrui psiche. Mi limito a tratteggiare un panorama al tempo stesso fantastico e sconcertante, favoloso e tremendamente angosciante. Racconto (qui insieme ad altri) un passato mai visto, un presente inconcepibile ed un futuro terribile che già (da tempo) è stato annunciato*. Chi ha l’animo idoneo a sopportarne la vista, ascolterà e terrà per sé quel che gli sembrerà giovevole, gli altri hanno tutto il diritto di andare dove li porta il cuore. So bene che la visione di questo spettacolo è altamente indigesta agli uomini, insostenibile per i più. Perché la Cattiva Novella non è una buona novella. 2- Segue. Obn * L’ultimo post di Iulb “Maschio addio” ne è solamente una recente esemplare prefigurazione. P. S. Scrive bene Kore quando dice che l'autofecondazione è solo un nuovo procedimento di clonazione, mirabilia della cui fattibilità sugli umani eravamo a conoscenza da tempo ma il cui significato, evidentemente era sfuggito a (quasi) tutti. Il termine "autofecondazione" invece ha incominciato ad aprire gli occhi a qualcuno. Ne parleremo. |
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beh..posso solo dirti che avendo assodato che il genere è esclusivamente una coercizione sociale..quindi oltre al fattore biologico una buona parte di quello che siamo viene dall imposizione che la società ha su di noi..affermo che i misogeni sono ovunque..ovunque e sempre si avrà la presunzione di credere che le donne rappresentino il sesso debole, nn ci si puo fare nulla? allora? e tutte le lotte per conquistare i diritti dove le buttiamo nel cesso??Io sono una ragazza di 20 anni e mi auguro uno splendido futuro lavorativo, credo fermamente che gli uomini debbono smetterla di infangarci gratuitamente, risultano ridicoli e basta! POTERE ALLE DONNE è tutto quello che posso dire...ciaostateboni_
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Citazione da GiulialikeRolling
beh..posso solo dirti che avendo assodato che il genere è esclusivamente una coercizione sociale..quindi oltre al fattore biologico una buona parte di quello che siamo viene dall imposizione che la società ha su di noi..affermo che i misogeni sono ovunque..ovunque e sempre si avrà la presunzione di credere che le donne rappresentino il sesso debole, nn ci si puo fare nulla? allora? e tutte le lotte per conquistare i diritti dove le buttiamo nel cesso??Io sono una ragazza di 20 anni e mi auguro uno splendido futuro lavorativo, credo fermamente che gli uomini debbono smetterla di infangarci gratuitamente, risultano ridicoli e basta! POTERE ALLE DONNE è tutto quello che posso dire...ciao Simpatica Giulia, Premetto e ripeto,Non sono un maschilista, ma mi è caro ricordarti,come a tè,anche a tutte le signore che ti hanno preceduto in questo Blog,che la donna,"e questo è da sempre stato risaputo" ha sempre avuto in mano le possibilità di far fare ull'uomo tutto ciò che lei desidera, può riuscire,per assurdo,a farlo camminare con la testa un giù e le gambe in aria,come dimostrato dalla storia che qualcuna c'è riuscita usando nel giusto modo il proprio intelletto.Ne risulta purtroppo che la stragrande maggioranza,il proprio intelletto l'ha usato in modo errato,limitandosi a lamentarsi continuamente barriccandosi dietro quella banale scusa di appartenere al sesso debole,mentre questo,è dimostrato odiernamente che non è affatto una realtà. Quindi,SVEGLIA datevi da fare e tanti auguri. Attente però di non prendere la via sbagliata per non danneggiarvi maggiormente. Con tanta simpatia un sentito CIAO espert37 |
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Saluti. P.S. Sai cos'è la misandria? |
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Caro Misterxy, posso chiederti gentilmente cosa c'entrano i musulmani e per quale motivo li infili sempre dappertutto?
Io ci ho discusso con i musulmani, certo non in tv, nè su un giornale, non sono nessuno e non ho accesso alle porte dell'informazione. Ma ci ho discusso, Corano alla mano, e mi sono fatta spiegare, e per bene, i famosi versetti. Chissà, forse ho parlato con musulmani colti e moderati, che interpretavano i versetti in un altro modo (l'Islam non ha gerarchie ecclesiastiche che impongano un unica interpretazione del Corano, ma ci sono 5 scuole diverse), spostando una virgole cambia il senso. Comunque, ben venga qui un musulmano, se ha voglia di discutere con me, Corano alla mano, io ci sono e aspetto. Mi ritengo sufficientemente preparata per parlare con cognizione di causa, e dal punto di vista religioso, e da quello storico e sociale. Sarei interessatissima a capire, dal momento che purtroppo ho avuto a che fare solo con musulmani moderati, il punto di vista di un tradizionalista. |
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Per esperienza so che "di fronte" ai musulmani il loro tono, il loro atteggiamento, cambia radicalmente... Per esempio, in oltre 42 anni di vita, non ho mai sentito una donna italiana deridere in pubblico un musulmano, tantomeno può capitare che sui giornali occidentali qualcuno/a si permetta di scrivere "Il maschio islamico è in crisi con le donne"; oppure "Gli uomini islamici sono meno intelligenti delle donne", etc. etc. Ti è chiaro? |
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2- Un quasi monologo
Ci si attende che in un forum, che per definizione è un luogo di dialogo, gli interventi si intreccino l’un l’altro e si susseguano richiamandosi reciprocamente. Si ritiene infatti che il parlare alternativamente e il continuo riferirsi alle affermazioni altrui costituiscano insieme le modalità tipiche del dialogo stesso. Viceversa si cadrebbe nel monologo, il quale sarebbe un discorrere che fluisce autonomamente, svolto senza interruzioni e prescindendo dalle osservazioni che vengono mosse, trascurando obiezioni e critiche, atteggiamento che lascia sospettare supponenza di sé e sconsiderazione degli altri. Visione schematica che prescinde dai difetti del primo e ignora le virtù del secondo. Di questo si può dir male se in un dato ambito la parola viene sequestrata da una sola parte che monopolizza il tempo e l’attenzione escludendo gli altri dalla possibilità di dire la propria. Caso che qui non ricorre, giacché ciascuno può scrivere quel che ritiene e lo può fare tanto estensivamente quanto vuole. Perciò qui viene meno il difetto essenziale del monologo. A rovescio si dimentica il grande difetto del dialogo che consiste nel creare con grandissima facilità attriti e polemiche che spesso portano a veri scontri. Questo accade nella vita reale ed a maggior ragione in quella virtuale dove manca tutta la ricchezza del linguaggio non verbale che dà tono e modula in modo spesso decisivo il significato delle affermazioni (a ciò offrono parzialissimo rimedio le emoticons che sono nate appunto per sopperire in qualche modo ai limiti del dialogo via web). Questo è provato dal fatto che le flames nei forum, nelle mailinglist etc. scoppiano con facilità e frequenza straordinarie e sono uno dei crucci dei moderatori. Il riferirsi costantemente alle affermazioni altrui per esprimere le nostre tende infatti (per dinamica sua propria) ad innescare una spirale perniciosa di controaffermazioni che si autoalimentano sino a debordare del tutto dal tema iniziale ed a sfociare in scontri tra coppie di interlocutori o tra opposti schieramenti. L’essenza del dialogo non risiede nella concatenazione delle argomentazioni, ma nel silenzioso ascolto del racconto altrui e nella proposizione del proprio. Il che non esclude possibili immediati riferimenti alle altrui affermazioni, ma non le presuppone. E’ un monologo apparente giacché si traduce in realtà nell’alternanza di più monologhi che offrono il vantaggio di evitare scontri e consentono di proseguire nello sviluppo di una linea di pensiero che deve restare omogenea e deve avere una sua continuità per acquistare il suo significato integrale. Ciò almeno sino a quando sia stata descritta un’adeguata parte della mappa che si vuole presentare. Così si evitano la dispersione e la frammentarietà. Il che non toglie che si possa e talvolta si debba interrompere il racconto per agganciare un tema rilevante o anticipare un argomento che pur si vorrebbe trattare successivamente. Ho scelto la via del monologo apparente per le ragioni suddette, non certo per ridicolo snobismo. Se scrivo in questo spazio (uno dei migliori esistenti) è perché ritengo sia frequentato da persone serie e interessate della cui attenzione sono grato. Chi non trova risposta e riscontri alle obiezioni che mi pone non deve pensare che le ignori o le snobbi. Ogni cosa a suo tempo, o, se vogliamo dirla in altro modo, prima la topica e poi la critica. 3- Fonti/rimandi/citazioni Ho notato che, molto saggiamente, in questo forum le citazioni delle fonti non sono particolarmente in uso. Bene. E’ vero infatti che esse si prestano a veicolare e mascherare la nostra vanità, un modo stucchevole di ostentare i nostri “titoli”: quelli dei testi che abbiamo letto. Nondimeno si deve dare a Cesare quello che è suo. Perciò alla bisogna non mancherò di venir meno a questa pur buona consuetudine con le necessarie citazioni. Altra cosa è invece il rimando alle fonti delle mie affermazioni attinenti dati, statistiche, campagne mediatiche, dichiarazioni pubbliche, individuazioni di leggi e sentenze, etc. . Qui l’assenza di rimandi è esplicitamente voluta in quanto parte essenziale del processo di avvicinamento alla questione di cui ci occupiamo (ne parleremo). Ad es. chi non sa che nel caso di denunce per molestie la norma prevede l’inversione dell’onere della prova a carico del denunciato non avrà da me alcuna indicazione sul dove trovarla. E non importa se l’obiezione, e l’immancabile sghignazzo, vengono da un avvocato, si tratti pure di un principe del foro. Chi intende negare quel che affermo obiettando “Non mi risulta!” deve restare nella sua opinione. Chi sospetta o ha la certezza che io menta ha il diritto di crederlo. Infatti parlo per chi ha l’animo disposto a tollerare la vista di uno spettacolo stupefacente e tremendo, e comprendo la ragione per la quale moltissimi ne distolgono lo sguardo. Del resto, se non fossi io stesso a dire ciò che sto dicendo, non crederei ad una sola parola di tutto ciò che dico (e di quel che dicono gli altri Coscienti che qui scrivono). Fine della parentesi. Prossimamente: L’autofecondazione femminile e la fine del maschio (anticipazione del tema: distruzione simbolica) quindi: Come rovesciare il bene in male. Il caso del levirato (prosieguo del tema sospeso: la criminalizzazione degli uomini). Obn |
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Ah, allora sì. Sai non è mia abitudine deridere. Diciamo che la derisione è l'arma degli ignoranti, mentre le critiche consapevoli sono ben altra cosa. Comunque la Fallaci non ha avuto la mano leggera con i musulmani. Preferisco la Gruber, che denuncia certe realtà con uno stile che mi è più congeniale. Per quanto riguarda la crisi del maschio musulmano, c'è Tahar Ben Jelloun che nei suoi romanzi mette in luce la miseria morale dei maschilisti marocchini. Vive in Francia... ovviamente. Per quanto riguarda gli articoletti famigerati che qui si denunciano, e molto giustamente, ho fiducia nel fatto che solo una minoranza di beceri li prende come oro colato. In compenso, se ti può consolare, gli uomini musulmani subiscono ben altra propaganda, con ben altre conseguenze... Non invidiarli troppo! __ |
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Detto questo, riporto uno di quei famigerati articoletti, che già alcuni lustri fa era normale leggere su certi quotidiani, settimali e mensili. CENTO COSE energy, dicembre 1994: I TEST DI INTELLIGENZA HANNO DIMOSTRATO LA SUPERIORITA' FEMMINILE Sondaggio della rete televisiva inglese BBC "Caro maschio, sei finito, è iniziata l'era della supremazia delle donne", ha sentenziato qualche settimana fa la serissima rete televisiva inglese Bbc, dopo un accurato monitoraggio sulla popolazione anglosassone. Le donne sarebbero di gran lunga più intelligenti e creative degli uomini. Le prove sono evidenti: in questo momento tra i migliori studenti di ogni facoltà universitaria due terzi sono femmine. Secondo il professor Richard Kimball è solo il primo segnale, le donne sono naturalmente più dotate e presto prenderanno il posto degli uomini, in ogni caso. Già adesso il numero delle studentesse supera quello dei maschi e anche i test d'intelligenza dimostrano che il loro cervello funziona bene, è più integrato. Gli ultimi studi scientifici attribuiscono alle donne anche una visione più globale della realtà. Che vuol dire prima di tutto una maggiore elasticità: la capacità di superare meglio lo stress, di mediare bene tra razionalità e emozioni. Tutte cose che portano inevitabilmente a un migliore adattamento ai cambiamenti. Non è affatto vero che le donne siano imprevedibili. Anzi hanno un maggior controllo di sé che aiuta nella competizione; i maschi, più calcolatori e freddi oppure troppo aggressivi, perdono invece terreno. Ed ecco perché in Inghilterra, nella City, metà delle grandi banche ha scelto donne dirigenti. La ricerca è perentoria:<< Immersi nei loro cliché i maschi si sono lasciati andare, mentre le donne hanno risalito la china e ormai si trovano ad apirare a importanti funzioni manageriali >>. Articoli del genere erano la norma sul suddetto mensile. In merito aggiungo che, di solito, le femministucole che scrivono simili articoli - aiutate in questo dagli innumerevoli "cagnolini maschi" che infestano l'Occidente -, sono le prime a scandalizzarsi se qualcuno osa affermare, che so, che "La civiltà occidentale è superiore a quella islamica" (Berlusconi docet), oppure che "I bianchi sono più intelligenti dei neri", come ha sostenuto di recente il Premio Nobel James Watson - costretto a ritrattare - e in passato Richard Herrnstein e Charles Murray, autori del libro The Bell Curve (500.000 copie vendute), che nel 1994 scatenò un vero e proprio putiferio negli Stati Uniti. Perciò, come si può, poi, non giudicarle delle razziste alla rovescia? |
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http://www.gfbv.it/3dossier/asia/bur...a-shan-it.html Ora, ti chiedo, quando mai e' accaduto il contrario? Che lo si voglia chiamare maschilismo o machismo o non so come, poco cambia, perche' resta sempre il fatto che certi sistemi sono deleteri non solo per le donne, ma anche e soprattutto per gli uomini, le prime vittime della guerra. Basti pensare ai soldati bambini. Certo, se poi contestualizziamo il discorso e facciamo riferimento al solo odierno Occidente, sono parzialmente d'accordo con te. |
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L’autofecondazione femminile e la fine del maschio.
Scrivo quel che segue per coloro che credono nella potenza del sistema simbolico e nell’essenza reciprocamente utilitaristica del rapporto esistente da femmine e maschi. Chi non ci crede ha le sue imperscrutabili ragioni. Giorni fa i media hanno annunciato la lontana ma possibile scomparsa dei maschi in conseguenza della prefigurata autofecondazione femminile. A tale notizia sono seguite osservazioni minimizzanti, tentativi maldestri di ridurre la portata di un evento epocale la cui gravità doveva venir percepita sin dalla nascita di Dolly (la pecora) ma il cui significato sfuggì. Già la clonazione infatti non è altro che una forma di fecondazione che esclude il mescolamento genetico (esito dell’incontro sessuale) e la cui applicabilità agli umani era allora rimandata a tempi lontanissimi, quando non ne veniva esclusa la stessa fattibilità. Utile simulata miopia. Quel che essa prefigurava era chiaro: femmine che restano incinte di se stesse generando altre femmine. La notizia recente non aggiunge nulla di nuovo, se non il termine “autofecondazione” e per fortuna questo fatto ha finalmente provocato le prime timide reazioni. E i primi commenti. Quelli femminili ambigui e prudenti, come se ci si trovasse di fronte ad una prospettiva che minaccia gravemente di risvegliare il nemico dal suo torpore e che pertanto è bene ridimensionare con battute di alleggerimento, morbidi depistaggi, accattivanti richiami, dolci rassicurazioni. Si suggerisce che gli uomini, benché ormai ridicolmente inutili, saranno amorevolmente tollerati. Non abbiate paura “maschietti”. Quelli maschili tutti pervasi da sottile autoironia (…fa tanto “macho”) insufficiente però a nascondere davvero il senso di disagio, l’imbarazzo, il magone che finalmente incomincia a prendere corpo nella nascosta intimità. Non potendo tradire la paura (…che diamine!) si simula coraggio e così si saluta con sollievo l’annuncio della propria sopraggiunta superfluità destinata a consegnare l’esistenza dell’antico guerriero alla benevola tolleranza dell’amata. Ben venga il giorno della nostra scomparsa, finiranno gli stupri, suggerisce acutamente l’intellettuale. Certo, avrebbe potuto dire: “Finirà la musica”, ma ciascuno capisce bene quanto sia più conforme, più “corretta”, più gradita la prima delle due verità. Il proclama trionfale e trionfante dell’inutilità maschile non data da oggi, ma da quanto la femmina occidentale ha appurato che il maschio non è più necessario al suo sostentamento. La società industriale le ha reso possibile mantenersi da sola. E così cadeva la metà dei motivi che la legavano al nemico (“Lo stupratore ha le chiavi di casa” - 24/25 novembre 2007). Non mancava che l’autofecondazione, scenario sognato da millenni, se è vero che le Amazzoni abitano l’universo simbolico occidentale da trenta secoli. Quel giorno è arrivato. L’altra metà del legame è caduta. Il bisogno è finito (…non rendiamoci ridicoli chiedendoci che ne sarà dell’amore). La donna è libera, si è finalmente liberata del bisogno. Il nemico ha i giorni contati. E la catastrofe maschile è finalmente all’orizzonte. Gli scientisti, quelli che non vedono la forma la solo la materia, sono corsi a turare la falla. “La cosa è di là da venire, ammesso che sia mai possibile” “Se anche un giorno divenisse fattibile non si vede perché dovrebbe venir applicata.” “Il timore dei maschi di venire esautorati dalla filiazione è un fantasma, uno scenario privo di consistenza, una proiezione persecutoria” “Ai ricercatori, in verità, interessa solo conoscere il meccanismo” “Non vi è nulla da temere, lo scopo è la cura della sterilità”. Ma il cuore finalmente ha percepito la gravità della cosa. Al cuore non interessa la fattibilità, non interessano gli scopi dichiarati e quelli dissimulati, non interessa il quando, il dove, il chi. Il Simbolo sta là, gigantesco, inamovibile, gelido, impietoso. E il cuore che da decenni non vuole sentire, non vuole capire, adesso finalmente trema. Non sarà Oberon a consolare gli uomini - massa di perdizione - a rassicurarli, a negare la più splendida e angosciante delle verità: gli artigli del Niente vi stanno ghermendo. Obn |
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Articolo di Giorello in tema uguaglianza fra sessi a partire dall'analisi su John Stuart Mill :http://www.lastampa.it/redazione/cms...0521girata.asp
John Stuart Mill profeta del femminismo GIULIO GIORELLO <<Se un contadino irlandese gravemente in debito con il suo proprietario terriero non è industrioso, alcuni concludono senz’altro che gli irlandesi sono pigri per natura». Ma queste sono generalizzazioni piuttosto malferme. In campi così delicati come quelli dell’indole o carattere si può sempre «ragionevolmente dubitare che l’esperienza abbia fornito basi sufficienti per operare un’induzione». Così scriveva John Stuart Mill nel saggio Sull’asservimento delle donne, 1869. E lui di logica (deduttiva e induttiva) se ne intendeva, visto che nel 1843 aveva pubblicato il suo grande Sistema. Il parallelo con le «servitù» dell’isola vicina per il filosofo britannico era sostanziale. Il pregiudizio circa l’inferiorità femminile nelle scienze e nelle arti forniva la giustificazione alla consuetudine di relegare la donna nella prigione domestica della famiglia patriarcale escludendola dalla vita pubblica, a meno di condannare le femmine più riottose all’emarginazione sociale – proprio come il mito del «cattivo» carattere irlandese era stato utilizzato per giustificare una spietata conquista di natura coloniale. Ma è indebito far passare le cattive abitudini per leggi dello Stato o addirittura di natura. Qualsiasi corpo politico che pretenda di legalizzare una qualche forma di discriminazione è per ciò stesso oppressivo: proprio come qualunque società che tolleri la schiavitù dei Neri – si pensi alle vicende di non pochi paesi dell’America Latina, per non dire degli Usa! – o lo sfruttamento della manodopera o la sottomissione di qualche altro popolo. La difesa di Mill dei diritti della donna – e in particolare del movimento per la franchigia elettorale – si basa inoltre sullo smantellamento dell’ideologia per cui la disuguaglianza tra uomini e donne si fonderebbe su un qualsiasi «decreto» della natura. Per esempio, in una celebre pagina, Mill esamina il trito argomento stando al quale innegabili «differenze di costituzione corporea» dovrebbero farci congetturare anche «diversità mentali»: dovremmo allora misurare attentamente la scatola cranica di maschi e femmine per evidenziare che la massa cerebrale dell’uomo è in media maggiore di quella della donna, e dunque ciò comporta maggiore talento, poniamo, nella matematica, nello studio del mondo fisico o magari nelle belle arti? Qualcuno potrebbe obiettare che «è facile conoscere donne stupide». La risposta di Mill è secca: «La stupidità è uguale dappertutto». Insomma, «per quanto grandi e apparentemente non sradicabili possano essere le differenze morali e intellettuali tra gli uomini e le donne, la prova del loro essere differenze naturali non potrà che essere negativa. Si potrà dedurre che siano naturali solo quelle che non possono essere artificiali, e cioè quelle che rimangono una volta eliminate tutte le caratteristiche di entrambi i sessi, suscettibili di essere spiegate in base all’educazione o a circostanze esterne»”. Questo rasoio di Mill (come lo potremmo chiamare) si è rivelato piuttosto tagliente. In tal senso, non c’è conquista del movimento femminista del nostro Novecento che Mill non abbia anticipato o a cui non abbia fornito intelligenti motivazioni. Per una qualche ironia della sorte, non poche protagoniste del «pensiero femminile» hanno finito per rinfacciare al filosofo britannico di aver trascurato «la differenza di genere», perseguendo solo un ideale di astratta eguaglianza! A mio parere, però, coglie nel segno Nadia Urbinati, studiosa di Mill di livello internazionale, quando osserva che nel saggio Sull’asservimento delle donne l’eguaglianza non annulla la differenza, ma le consente «di esprimersi senza essere trasformata in ragione di discriminazione». Per Mill «l’opposto dell’eguaglianza erano dunque la gerarchia e il privilegio, non la differenza». Di qui il profondo significato libertario di quel suo saggio: difendendo l’idea di uguali opportunità lavorative per il preteso gentil sesso, Mill contrastava la cosiddetta tirannia della maggioranza, ovvero che «la maggioranza debba imporre leggi alle azioni individuali della minoranza». Infatti, sarebbe stata una forma di oppressione anche l’imposizione della volontà di una «maggioranza» di donne che avesse scelto la vita domestica sulla «minoranza» che avesse, invece, preferito una professione lavorativa fuori della famiglia. A Mill la differenza, in sé, sta a cuore: una società maggiormente diversificata è per lui una società che più si avvicina all’ideale di «piena fioritura umana» – in particolare, in un’ottica libertaria nessuna società può «predeterminare quale sia il lavoro adatto a ciascuna persona». Le differenze fisiche tra i due sessi, sotto questo profilo, però, non sono rilevanti, proprio come non lo sarebbero il colore degli occhi o quello dei capelli. Tuttavia, non è che tali differenze fisiche non contino affatto; essendo ogni essere umano corpo prima ancora che mente, è ovvio come per Mill le prime libertà da garantire siano per così dire fisiche. L’assoggettamento delle donne nella sfera civile è per prima cosa un dominio che padri, mariti, giudici ecc. esercitano sui loro corpi. Per contrapposizione, l’infrangere questo arbitrario sistema di vincoli è la premessa ineliminabile per liquidare l’asservimento di una parte del genere umano all’altra. Sbaglierebbe chi pensasse che la protesta di Mill fosse dettata da una mera disposizione affettiva nei confronti di qualche esponente dell’altra metà del cielo. La sua idea è invece che una società che tolleri qualunque forma di servitù sia una società malata, il cui prezzo viene pagato, sul lungo periodo, non solo da chi è direttamente asservito, ma anche da chi si sente libero di danneggiare gli altri: «L’abitudine alla sottomissione rende sia gli uomini sia le donne mentalmente servili». E l’esempio di società asiatiche, all’epoca sua giudicate retrive, funziona in Mill da deterrente. «La schiava preferita di un sultano ha al suo servizio delle schiave che può tiranneggiare; ma la cosa desiderabile sarebbe che non avesse schiave, e non fosse a sua volta una schiava». L’apparentemente più blanda «schiavitù» della donna nel mondo occidentale priva comunque la società di molti talenti e fornisce un paradigma di dominio che frena lo sviluppo delle forze produttive. Abbiamo visto come Mill avesse smantellato pezzo per pezzo l’idea che qualsiasi forma di asservimento di un essere umano da parte di un altro avesse giustificazione in un preteso ordine naturale. Aveva anche intuito come la liberazione da quel pregiudizio andasse di pari passo con la crescita del patrimonio tecnico-scientifico, che permette alla nostra carne di tramutare la cosa in sé della natura in cosa per noi. Per questo la sua enfasi sulla necessità di aprire al genere femminile le porte della ricerca scientifica ci pare, col senno di poi, tanto importante: tecnica e scienza, infatti, costituiscono un’impresa in cui le idee non restano nel cielo di Platone, ma anch’esse si incarnano, per così dire, nella materia. È proprio ciò che consente i progressi di quella che un tempo si chiamava meccanica applicata, e che oggi si è articolata nei settori più diversi, dalle alte tecnologie ingegneristiche all’informatica, dalle procedure mediche di igiene e profilassi alle biotecnologie. È indubbio che tutte queste discipline dischiudano oggi nuove possibilità al corpo umano. E continuiamo con Mill a pensare che, nel dibattito sul significato di queste innovazioni che riguardano la fisicità di Homo sapiens, tocchi una parte altrettanto rilevante a... Foemina sapiens!>> |
Riferimento: Cos'e' veramente Il maschilismo?
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chlobbygarl: http://www.riflessioni.it/forum/cult...schilismo.html
"maschilismo" è un reperto della modernità.Connota e si declina solo negativamente al contrario di quello che potrebbe/dovrebbe ma che non è il suo omologo al femminile, femminismo appunto. è quindi uno strumento descrittivo e interpretativo creato e consumato (prevalentemente) dalla stessa sola categoria, le donne. cerchiamo di depennare il superfluo, il termine nasce non certo o non tanto per condannare violenze fisiche e prevaricazioni palesi e oggettivamente inaccettabili, quanto per far emergere tutta la serie di "privilegi" cristallizzati nella dinamica delle interazioni sociali a sfavore delle donne, misconosciuti e conseguentemente usati ad arte dagli uomini. atteso che tali "privilegi" esistano e che appaia ozioso mettersi a discuterli in quanto tali, si tratta di analizzarne i presupposti e le soluzioni proposte. come si dice un pò sopra e come accennavo nell'altro topic, le differenze di genere, biochimiche e fisiologiche, influenzano profondamente e diversificano inevitabilmente l'ethos nei due sessi.Questo però avviene in circa due milioni e mezzo di anni. l'"errore" in sostanza è leggere tale fenomeno ancestrale e primordiale come un lascito della "modernità" (rimando al concetto di "modernità") e come tale gestibile al pari di un annesso culturale circoscritto e isolato nel tempo "recente", prescindendo insomma dal suo statuto ontologico. d'altra parte, era pensabile che prima o poi una sollevazione femminile ci fosse, seppur "rozza" e poco consapevole nell'analisi?Direi di sì, inevitabilmente, giustamente, sacrosantamente. piena parità (reale e non teorica) di accesso a tutti i settori della vita sociale pieno riconoscimento della stolta violenza legata al pregiudizio (sbagliato, "adesso" lo sappiamo e non possiamo non-saperlo più) tuttora esistente e spesso vigente. però rammentiamo, un esempio tra tanti, che la pedagogia clinica ci dice che i bambini nei primi anni di vita hanno un bisogno viscerale della presenza della madre, relativamente meno di quella del padre.O sono maschilisti anche loro o la pedagogia è la prima pietra, la chiave di volta direi, dell'impalcatura sessista e maschilista. |
Riferimento: Cos'e' veramente Il maschilismo?
Alla femminuccia la Barbie, al maschietto l'automobilina.
Ma è veramente quello che i cuccioli di uomo desiderano o è ciò che la nostra società fa credere loro di desiderare? Per rispondere alla domanda Gerianne Alexander, psicologa della Texas A&M University, ha studiato il comportamento dei cercopitechi, un genere di scimmie africane che vive in gruppi numerosi. Con la collega Melissa Hines dell'Università di Londra, la ricercatrice ha messo a disposizione delle scimmie giocattoli "da maschio" o "da femmina", per poi registrarne le scelte, sicuramente non influenzate dagli usi e costumi della nostra società. Le femministe e i relativi seguaci maschi potranno anche restarci male, ma in effetti le scimmie femmine passavano la maggior parte del tempo a giocare con le bambole, mentre i maschi davano la preferenza alla palla o alle automobiline. I giocattoli che piacevano a entrambi i sessi erano gli animali di peluche o, al massimo, le intramontabili e "unisex" matite colorate. Insomma, proprio quello che succede di solito negli esseri umani; il che ha fatto concludere le ricercatrici che la preferenza per uno o l'altro tipo di giocattoli sia innata e legata al ruolo che si avrà da adulti. Nelle femmine la preferenza per le bambole o i pupazzi di colore rosa fa pensare che esse le considerino neonati da allevare, mentre il fatto che i maschi preferiscano oggetti che si muovono o che si lanciano si può spiegare con la loro attitudine a spostarsi e cacciare. ----------------------- Fonte: Mente & Cervello, rivista di psicologia e neuroscienze, n.1, anno 1, gennaio-febbraio 2003. |
Riferimento: Cos'e' veramente Il maschilismo?
Sì, ma noi siamo uomini non scimmie. Tra noi e le scimmie c'è un abisso evolutivo difficile da ignorare.
Ma sono parole al vento... |
Riferimento: Cos'e' veramente Il maschilismo?
Citazione:
P.S. E' la Natura "che fa" la Cultura, non il contrario. Un ripasso, no eh...? |
Riferimento: Cos'e' veramente Il maschilismo?
Riguardo alla questione Natura-Cultura, riporto un articolo pubblicato su LE SCIENZE, nell'aprile 2002.
------------------------------------------------------------------------ Le basi innate della percezione estetica De gustibus non disputandum, dicevano gli antichi, e in tema di bellezza i condizionamenti culturali sono importanti. Ma quando si tratta di scegliere il partner entrano in gioco meccanismi neurobiologici che pescano nel passato più remoto della specie. di Alessandro Cellerino. Ha senso ricercare una base biologica e innata della percezione estetica che prescinda da variazioni storico-culturali? Se la società genera canoni di bellezza, rimane da spiegare perché le persone siano così sensibili a questo tipo di modelli e perché siano disposte a enormi sacrifici economici, alimentari e di tempo pur di adeguarvisi. In un suo celebre studio, lo psicologo David Buss, intervistando circa 10.000 persone appartenenti a 37 culture diverse, ha scoperto come la bellezza sia una delle qualità più importanti nella scelta del partner per gli uomini di qualunque regione del mondo, sia che appartengano a società di cacciatori-raccoglitori sia che appartengano a società rurali, siano esse comuniste o capitalistiche, indipendentemente da religione, istruzione e livello sociale. A ben pensarci, la bellezza non è poi così arbitraria. Chi ammira il busto della regina Nefertiti (circa 1300 a.C.) conservato al Museo egizio di Berlino non ha alcuna difficoltà a riconoscervi i tratti della bellezza anche sotto decorazioni inusuali per il gusto dei nostri giorni. Studi di psicologia sperimentale degli ultimi 15 anni suggeriscono che, così come lo stesso manichino può fare da supporto a una moltitudine di vestiti diversi, sotto i nostri giudizi estetici si cela un principio invariante attorno al quale si avvolgono le fogge della moda e i modelli culturali. E' ormai abbastanza chiaro che esiste una componente biologica e innata che influenza la percezione della bellezza, espressione di una natura umana universale; in modo particolare quando si giudica la bellezza di un viso sconosciuto. Quando alcuni psicologi hanno mostrato a un certo numero di persone immagini di donne chiedendo loro di assegnare un voto a ogni volto, si è osservata una sostanziale correlazione tra i giudizi espressi da soggetti diversi. La rapidità con cui si analizza un viso è stupefacente: basta guardarlo per 15 centesimi di secondo - poco più del tempo che impiega un centometrista a scattare dai blocchi di partenza - per poter esprimere un giudizio, mentre un'onda caratteristica compare nell'elettroencefalogramma 30 centesimi di secondo dopo l'apparizione di un viso ritenuto bello. Questi dati suggeriscono l'esistenza di un meccanismo neuronale devoluto specificamente all'analisi della bellezza di un viso, ed esperimenti effettuati da un gruppo di ricercatori giapponesi hanno localizzato la sede di questo meccanismo nella corteccia frontale: la parte del cervello umano più recente dal punto di vista evolutivo. Ma perché il viso è così importante per giudicare la bellezza? Forse la ragione è da cercare nell'organizzazione funzionale del cervello umano. Alcune regioni del nostro cervello sono deputate specificamente al riconoscimento di volti, o all'analisi delle loro espressioni. Ne consegue che la nostra capacità di riconoscere le facce, e le loro espressioni, è particolarmente sviluppata. Per questo tendiamo ad associare l'identità delle persone al loro viso anche se altre regioni del corpo - le orecchie per esempio - potrebbero fornire un criterio di identificazione altrettanto valido. Per la stessa ragione, probabilmente, la percezione della bellezza di un individuo è influenzata così pesantemente dal suo viso. La capacità di classificare le persone secondo una scala di bellezza, di selezionare cioè un certo tipo di caratteri somatici rispetto ad altri, implica l'esistenza, nel nostro cervello, di modelli ideali o - per usare le parole di Konrad Lorenz - di template, stampi, con i quali di volta in volta vengono confrontate le persone in carne e ossa che abbiamo di fronte. Questo modello ideale, al quale viene fatto inconsciamente riferimento, è innato o appreso e soggetto a condizionamento culturale? Il giudizio estetico è parzialmente condizionato da criteri di imitazione, e ciò è evidente nel caso di personaggi pubblici, non di rado giudicati bellissimi solo perché insistentemente presentati come tali dai mezzi di comunicazione. Tuttavia vi sono buone ragioni per supporre che i criteri in base ai quali si giudica un viso, soprattutto un viso sconosciuto, siano almeno parzialmente innati e universali. Parte degli studi che hanno manipolato immagini di visi umani allo scopo di identificare le caratteristiche che li rendono attraenti ha dimostrato come criteri identici vengano applicati in culture tanto diverse quanto quella europea e giapponese. Ancora più convincente è l'osservazione che le stesse preferenze estetiche tipiche degli adulti sono presenti già in bimbi di pochi mesi. Un bambino di nove mesi, messo di fronte a un viso brutto e a un viso bello, guarderà più a lungo il viso che anche gli adulti giudicano più gradevole. Questa preferenza compare prima che ogni tipo di condizionamento culturale sia possibile, ed è difficile rifiutare l'idea che sia l'espressione di un meccanismo innato e frutto dell'evoluzione biologica. [continua] |
Riferimento: Cos'e' veramente Il maschilismo?
E' possibile individuare in maniera univoca le caratteristiche geometriche e le proporzioni che rendono un viso attraente? Lo studio scientifico della bellezza ebbe inizio circa un secolo fa, quando Sir Francis Galton mise a punto un sistema fotografico per creare volti grazie alla fusione di più facce reali. In linea di principio, il procedimento è simile al fotografare in successione visi diversi senza far scorrere la pellicola, ottenendo in tal modo una loro sovrapposizione. Quando Galton produsse i primi visi ibridi fu sorpreso da due circostanze. Primo, questi visi artificiali, nei quali teoricamente tutte le caratteristiche personali avrebbero dovuto perdersi, apparivano stranamente reali. Chiunque fosse all'oscuro del modo con il quale questi ritratti erano stati ottenuti avrebbe pensato che si trattasse di persone in carne e ossa.
Secondo, la "fusione" appariva invariabilmente più bella dei singoli visi dai quali era composta. Ciò irritò Galton, il quale, fondendo i visi di più criminali, sperava di produrre il viso del criminale tipo. Questa osservazione è stata ripetuta e perfezionata utilizzando le moderne tecniche di computer grafica. A un certo numero di soggetti sono stati mostrati visi ottenuti dalla fusione di 2, 4, 8, 16, 32 visi reali. Quanto maggiore era il numero dei visi utilizzati per costruire il viso composito, tanto più questo veniva percepito come attraente e nessuno dei visi reali utilizzati per creare il composito veniva giudicato più attraente del viso composito. Sulla base di questi dati è stato proposto che ciò che percepiamo come attraente altro non sia che l'insieme delle caratteristiche medie della popolazione. Il modello ideale sarebbe cioè una media: se si potessero considerare tutti i volti esistenti si otterrebbe "il più bello dei volti possibili". Questa ipotesi forza però i dati sperimentali, i quali indicano semplicemente che effettuando la media di un certo numero di visi si ottiene generalmente un viso più bello dei visi singoli. La possibilità che anche particolari caratteristiche geometriche del viso vengano percepite come attraenti non è in contraddizione con le osservazioni appena descritte. D'altronde, non tutte le caratteristiche "medie" sono necessariamente considerate attraenti: la statura è l'esempio più ovvio. L'esistenza di caratteristiche geometriche che influenzano la bellezza di un viso è stata dimostrata successivamente in maniera diretta: se da una serie di molti visi si selezionano solo quelli giudicati più belli, e si fondono, si ottiene un viso che viene preferito alla fusione di tutti i visi del campione. Se la differenza tra questi due visi viene esaltata tramite computer grafica, si ottiene un risultato ancora più attraente. Quali sono queste caratteristiche geometriche associate alla bellezza? La simmetria ha ricevuto particolare attenzione. Ogni persona presenta nel volto e nel corpo asimmetrie più o meno accentuate, e volti simmetrici generalmente vengono preferiti a quelli chiaramente asimmetrici. Questa predilezione non è esclusiva della nostra specie ed è stato dimostrato, per esempio, che uccelli il cui piumaggio presenta una macchia sul petto resa artificialmente simmetrica con un pennarello riescono ad accoppiarsi con più femmine e godono di maggiore successo riproduttivo. Ma se si prende il viso di una persona poco attraente, lo si taglia a metà e si replica specularmente una metà sull'altro lato in modo da creare un viso perfettamente simmetrico si migliorerà anche la situazione, ma non di molto. La simmetria non può essere l'unico criterio e probabilmente neanche il più importante. Per identificare le caratteristiche intrinseche che rendono il viso femminile attraente è stato utilizzato un algoritmo genetico. Sono stati creati al computer visi in cui le singole caratteristiche somatiche (distanza tra gli occhi, grandezza del mento e così via) erano generate in maniera casuale e indipendente. E' stato quindi chiesto ad alcuni soggetti di indicare quali tra questi visi sembrassero loro più attraenti. Questi sono stati combinati tra loro in una seconda generazione e sottoposti nuovamente al giudizio dei soggetti, sino a quando non è stato selezionato il viso ideale. Se confrontato con un viso che rispecchia le proporzioni medie osservate nella popolazione, il viso ideale si distingue per un mento piccolo e più vicino alla bocca, una minore distanza tra occhi e bocca, una fronte più alta e labbra più pronunciate. Poiché queste sono tipiche caratteristiche infantili, lo studio fornisce solide basi sperimentali all'osservazione comune che esse vengono percepite come particolarmente attraenti dagli esseri umani, come già indicato a suo tempo da Konrad Lorenz. Inoltre, in questi visi selezionati al calcolatore risultano privilegiate le caratteristiche femminili, che se ulteriormente accentuate rendono il viso di una donna più attraente. [continua] |
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Perché dovrebbe esistere una preferenza estetica innata per questo tipo di tratti somatici e non per altri?
Per cercare una risposta a questa domanda bisogna inquadrare le preferenze espresse da osservatori umani nell'ambito più generale dei criteri di selezione osservati nel mondo animale. Spesso gli animali non si accoppiano indiscriminatamente tra loro, ma scelgono il partner. Questo processo prende il nome di selezione sessuale e ha portato alla nascita di ornamenti bizzarri come la coda del pavone o le corna del cervo. Una teoria nota come teoria dell'handicap vede questi come indicatori di "alta qualità". Per esempio, un pavone dalla coda molto ampia deve avere una costituzione particolarmente robusta per poter sopravvivere nonostante l'impaccio. Accoppiandosi con quel maschio le femmine aumentano le possibilità di generare figli in grado di sopravvivere. Questa ipotesi potrebbe spiegare perché, sia negli animali sia negli uomini, la simmetria è vista come una caratteristica positiva: costruire un organismo con due metà assolutamente identiche rappresenta certamente un notevole problema biologico; inoltre, qualunque traccia lasciata da parassiti (piccole cicatrici, irregolarità, macchie della pelle) è estremamente improbabile sia presente in due punti simmetrici nelle due metà del viso. La simmetria potrebbe quindi essere indice di una maggiore resistenza ai parassiti e rappresentare per questo una misura indiretta della "qualità genetica" di un individuo, a cui il nostro cervello sarebbe stato reso particolarmente sensibile dall'evoluzione. Seguendo la stessa linea di pensiero, labbra pronunciate e mento piccolo, correlate alla concentrazione di ormoni femminili, servono a riconoscere donne fertili. In pratica, il sistema percettivo che analizza la bellezza risponderebbe positivamente a indizi di fertilità. Questa ipotesi è sostenuta dall'osservazione che in tutte le culture esaminate gli uomini preferiscono donne di età compresa tra i 20 e i 24 anni: questa fascia d'età si sovrappone precisamente al picco della fertilità femminile. Esiste però almeno un'ipotesi alternativa. Sia studi effettuati in natura sia i modelli di biologia teorica suggeriscono che la selezione sessuale può essere un meccanismo che porta alla nascita di nuove specie. Anzi, è l'unico meccanismo in grado di spiegare la speciazione simpatrica, cioè la nascita di due specie che convivono nella stessa regione in assenza di un isolamento fisico. Le due specie rimarrebbero separate in base a criteri di selezione sessuale diversi a causa dei quali i membri delle due specie vengono a evitarsi perché - detto in termini umani - non si trovano attraenti. E' ormai chiaro che nel momento in cui la nostra specie stava nascendo erano presenti anche altre specie di ominidi. In modo particolare, Homo sapiens ha convissuto con l'uomo di Neandertal fino ad almeno 30.000 anni fa. Come si potrebbero definire, in una parola, questi ominidi, guardando le ricostruzioni che ne sono state fatte dai paleontologi e che si possono ammirare in musei, libri o riviste? Non credo che ci siano dubbi: brutti! Chi, vedendo la ricostruzione di un uomo di Neandertal, potrebbe desiderare di accoppiarsi con un membro di questa specie? L'analisi del DNA dell'uomo di Neandertal, resa possibile dalle più recenti tecniche di biologia molecolare, ha dimostrato che lo scambio di geni, cioè gli accoppiamenti misti tra le linee che hanno portato all'uomo moderno e all'uomo di Neandertal, si è interrotto almeno 300.000 anni fa, molto prima della nascita dell'uomo moderno, che risale solo a circa 50.000 anni fa. E' possibile che le differenze genetiche tra l'Homo sapiens primitivo e gli altri ominidi a lui contemporanei fossero tali da impedire incroci fertili, ma si può anche immaginare che la separazione di Homo sapiens sia avvenuta in base a scelte sessuali. Uomini e donne moderni sarebbero allora nati perché un gruppo di ominidi mostrava caratteristiche del viso leggermente diverse da quelle di altri che venivano percepite come meno attraenti. Una volta avviato, il processo avrebbe aumentato sempre di più questa separazione. La repulsione che proviamo ancora oggi per fronte bassa, arcate sopraccigliari sporgenti e mascella prognata - in breve, per ciò che è "scimmiesco" - forse non è una coincidenza, ma potrebbe rappresentare la chiave stessa della nascita della nostra specie. Alessandro Cellerino, laureato in biologia presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, è attualmente ricercatore di neurobiologia della stessa università. Si occupa di meccanismi dello sviluppo e plasticità del cervello ed è autore di numerosi articoli su riviste internazionali. Nel 1998 ha vinto il premio "Bruno Ceccarelli" per giovani neuroscienziati. BIBLIOGRAFIA: BUSS DAVID, L'evoluzione del desiderio, Laterza, 1995. GRAMMER KARL, Signale der Liebe, Taschenbuch Verlag, Munchen, 1995. ETCOFF NANCY, Survival of the Prettiest, Doubleday, New York, 1999. JOHNSTON VICTOR, Why We Feel, Perseus Book Group, New York, 2000. CELLERINO ALESSANDRO, Eros e cervello, TraccEdizioni, 2001. |
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Aldo Schiavone, "Storia e Destino", Einaudi, 2007 un libro di agile lettura che può aiutare a prendere coscienza del fatto che anche se noi "proveniamo" da lì (ma l' Homo è una specie a se stante, non una scimmia evoluta) il cammino evolutivo ci ha posto ben oltre i limiti naturali. Se è la natura che fa la cultura, è anche molto probabile che il fine ultimo sia quello di una specie affrancata dalla natura e in grado di autodeterminarsi e di scegliere cosa essere, cosa diventare. Che le scimmie giochino con le bambole, da questo punto di vista, è assolutamente ininfluente. Noi siamo già ben oltre. |
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Sin da quando Charles Darwin formulò la sua teoria sulle origine delle specie viventi, si è cercato di ricostruire la linea evolutiva che portò all'uomo. I numerosi ritrovamenti fossili avvenuti negli ultimi tempi hanno permesso ai paleontologi di risalire fino alla comparsa dei primi ominidi; ma resta ancora da fissare il termine cronologico per la comparsa del nostro più antico progenitore e da individuare l'anello che collega i primi ominidi alla catena evolutiva precedente. La ricerca paleontologica è tuttora in evoluzione e non si esclude che nuove scoperte possano portare alla formulazione di diverse teorie. Fino a non molti anni fa si riteneva che il più antico antenato dell'uomo fosse il Ramapiteco, una scimmia antropomorfa che circa 12-11 milioni di anni fa scese dagli alberi per vivere al suolo, in seguito alla comparsa delle savane al posto delle foreste tropicali. Oggi si tende ad escludere un rapporto tra l'uomo e il Ramapiteco, che sarebbe solo uno stadio nella linea evolutiva delle scimmie. I primi resti fossili attribuibili ad un progenitore dell'uomo sono stati trovati in Etiopia, nella valle di Hadur, datati a circa 4 milioni di anni fa. Si tratta di un individuo di sesso femminile, battezzato Lucy dallo scopritore, appartenente al genere Australopitecus afarensis, da cui, secondo una teoria diffusa, sarebbero discesi l'Australopitecus africanus e l'Australopitecus robustus, sempre rinvenuti in Africa e considerati un ramo laterale nella linea evolutiva dell'uomo (nel 1989 è stata annunciata la scoperta in Cina, sulle rive del fiume Hanjiang, dei resti di un ominide classificato come australopiteco, datato a due milioni di anni fa; questa scoperta potrebbe fare rivedere la teoria che indica nell'Africa la culla dell'umanità). L'Australopitecus era alto poco più di un metro, viveva nella savana cibandosi di radici e piccoli vertebrati; aveva raggiunto la stazione eretta e ciò gli lasciava gli arti anteriori liberi per impugnare pietre o bastoni e una capacità cranica di ca. 500 cm³. Da un ramo dell'Australopitecus deriva l'Homo habilis: i suoi resti fossili, datati tra i 2 e 1 milione di anni fa (ma alcuni resti sembra si datino a 3 milioni di anni fa), sono stati ritrovati in Africa. L'Homo habilis aveva un cervello più sviluppato dell'Australopitecus (da 600 a 800 cm³) e la capacità di fabbricare e utilizzare rozzi strumenti di pietra o legno. 1,5 milioni di anni fa comparve l'Homo erectus, forse sviluppatosi in Africa dall'Homo habilis e poi diffusosi in Europa e Asia. Come indica già il suo nome scientifico aveva raggiunto la piena stazione eretta, con un tipo di deambulazione umana. Il suo cervello arrivava a 1000 cm³. Vissuto nel periodo delle glaciazioni, non solo costruiva strumenti di pietra più avanzati, ma era capace di utilizzare il fuoco per uso domestico e di difesa. Tra i 300.000 e i 200.000 anni fa iniziarono a comparire sulla terra individui che, per volume e conformazione del cranio, si collocano nella stessa specie dell'uomo attuale. Tra queste forme è l'Homo sapiens neanderthalensis (i primi resti di questo homo furono trovati nel 1856 nella valle del Neander, presso Düsseldorf), vissuto tra gli 80000 e i 35000 anni fa. L'uomo di Neanderthal era tozzo, di corporatura robusta, con una capacità cranica uguale o superiore a quella dell'uomo attuale, con marcate arcate sopraorbitarie. Non solo aveva raggiunto buone capacità tecniche, ma fu il primo uomo a praticare la sepoltura dei morti, chiaro indice di idee religiose. Probabilmente 35000 anni fa l'uomo di Neanderthal, frutto di un adattamento al clima rigido delle glaciazioni, si estinse e lo sostituì, o assorbì tramite incroci, l'Homo sapiens sapiens. A questo genere appartengono tutti gli uomini viventi oggi sulla terra. I più antichi resti fossili di Homo sapiens sono di 35000 anni fa; (in Europa, dalla località del ritrovamento, si chiama uomo di Cro-Magnon), e i suoi resti sono diffusi in tutti i continenti, comprese le Americhe e l'Australia. Con la comparsa dell’Homo. sapiens assume maggiore peso l'evoluzione culturale: si acquisiscono tecniche più perfezionate di caccia e guerra, compaiono manifestazioni grafiche (pitture e graffiti ritrovati nelle grotte che servivano da abitazione) e oggetti scolpiti con valore magico-rituale. Gli individui di questa specie ormai vivono in gruppi, giungendo presto ai primi esempi di vita socialmente organizzata. Verso il 9000 a.C., con il Neolitico (tutto il periodo segnato dalla comparsa dei primi uomini è chiamato età della pietra, dagli utensili litici che realizzavano, e viene diviso in tre periodi, Paleolitico, Mesolitico e Neolitico), si ebbe la fine dell'uso esclusivo della pietra scheggiata, con la realizzazione di strumenti di pietra levigata più funzionali. In questo periodo comparve anche il vasellame d'argilla, ma soprattutto l'uomo, da cacciatore-raccoglitore, divenne produttore. Infatti nel Neolitico nacquero l'agricoltura e l'allevamento: ciò significò che da nomade l'uomo divenne sedentario. Già nel Mesolitico il nomadismo era divenuto stagionale: gli spostamenti avvenivano negli stessi ambiti regionali, con il mutare delle stagioni, seguendo le migrazioni degli animali. Con il Neolitico si ebbe la fine dei grandi flussi del nomadismo. Gli agricoltori-allevatori si stanziarono nelle terre che coltivavano o dove pascolavano le mandrie, creando i primi villaggi con strutture abitative fisse: iniziava lo sviluppo della socialità. Per soddisfare le esigenze della comunità si ebbe una suddivisione dei ruoli e dei compiti. È ragionevole pensare che chi svolgeva mansioni di maggiore importanza acquisì una autorità sugli altri: praticamente iniziò a delinearsi una gerarchia sociale. Gli individui più autorevoli ebbero il diritto di dirigere gli altri; la comunicazione orale e il linguaggio divennero più complessi e articolati. Con l'ingrandirsi dei villaggi, la diversificazione delle attività lavorative e la nascita di forme più complesse di economie di scambio tra comunità, si ebbe una prima forma di organizzazione sociale, presupposto per il passaggio da villaggio a città. Bibliografia G. Camps, La preistoria, Milano, 1985 P. e A. Angela, La straordinaria storia dell'uomo, Milano, 1993 L.-R. Nougier, L'arte della preistoria, (storia universale dell'arte TEA), Milano, 1994 --------------------------------------------------- P.S. So bene che l'Homo non è una scimmia evoluta. Resta sempre il fatto che noi ci portiamo dietro una lunga storia evolutiva che non può essere cancellata da pochi decenni di femminismo... men che meno da certe fantasiose tesi... |
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Questo è quanto egli scriveva nel lontano 1979, nel suo libro intitolato:"L'UNIVERSO CHE FUGGE - La storia dell'universo dal big bang alla morte termica". Attualmente i computer dipendono in grande misura dalla programmazione, ma in anni recenti c'è stato qualche sviluppo di computer con dispositivi di percezione diretta. Esistono già macchine in possesso di "occhi" per la localizzazione di oggetti nel campo visivo e capaci di manipolare un braccio per muoverli. Pare non ci siano ragioni di principio per cui un computer non possa analizzare i toni della voce umana e interpretare quindi direttamente le comunicazioni a voce. Benché il conseguimento di tali risultati possa richiedere ancora alcuni anni, essi saranno certamente raggiunti in futuro se li consideriamo desiderabili. Nel libro di fantascienza 2001 Odissea nello spazio di Arthur C. Clark (con la collaborazione di Stanley Kubrick), un computer di nome HAL dirige un' intera nave spaziale. L'equipaggio è molto dipendente da questa macchina, che nel corso della vicenda diventa ostile e dev' essere disinserita. Durante la lotta per il potere, HAL è in grado addirittura di leggere la congiura degli uomini dell' equipaggio spaziale sui movimenti delle loro labbra. I computer hanno numerosi chiari vantaggi sugli esseri umani sul piano dell'intelligenza. Innanzitutto sono immortali: se un componente funziona male può essere sostituito. In secondo luogo, fra le capacità personali e sociali dei computer c'è meno distinzione di quanta ce ne sia nel caso di esseri umani. I computer possono essere collegati fra loro - e spesso lo sono - per consentire un grado di cooperazione che è molto maggiore di quanto non sia possibile nella società umana. La fusione dei cervelli consente una capacità intellettuale virtualmente illimitata, in quanto non c'è più bisogno di istruirli individualmente. Ciascuno di essi può infatti leggere l'informazione direttamente dalla memoria di un altro. In terzo luogo, i computer possono disaccoppiare fisicamente i loro sistemi sensoriali dalla loro unità centrale. Per gli esseri umani ciò equivarrebbe a lasciare a casa il cervello e mandare al lavoro occhi, orecchie e mani. Finché questi riferiscono via radio ciò che vedono e odono, non c'è bisogno di recarsi a pensare sul luogo per agire nel modo giusto. Possiamo dare ordini alla nostra segretaria istruendo le nostre mani a battere a macchina i messaggi opportuni. In questo modo la deprivazione sensoriale dei computer finisce col risolversi in un vantaggio: essi possono starsene tranquilli in un posto senza aver paura dei predatori e acquisire informazioni simultaneamente da molti canali diversi, comprese le memorie di altri computer. Tutti questi caratteri hanno indotto alcuni autori di libri scientifici a suggerire che col tempo l'intelligenza delle macchine finirà inevitabilmente col dominare sull'intelligenza biologica; più di quanto la comparsa della materia vivente significhi la fine degli amminoacidi. In effetti qualcuno ha speculato anche sulla possibilità di computer biologici. Sappiamo che il cervello umano è capace di prestazioni intellettuali incredibili, calcolando a livello microscopico sulla base di molecole organiche, e può anche darsi che la manipolazione genetica possa progredire abbastanza da consentirci di "allevare" computer a nostro piacimento, benché il fatto che un computer organico possa o no piacere alla gente più di un computer a circuiti integrati sia un' altra faccenda. In ogni caso una relazione sociale simbiotica fra persone e computer potrebbe essere certo reciprocamente soddisfacente. Nel mondo organico ci sono numerosi esempi di simbiosi fra organismi diversi con vantaggio comune. I computer stanno già rendendo più ordinata ed efficiente la nostra vita; la nostra dipendenza attuale da loro è già grande e sta crescendo continuamente. Coloro che hanno in orrore l'idea di essere "soppiantati" da macchine dovrebbero considerare il caos e la miseria che ne seguirebbero se domani tutti i computer del mondo venissero disinseriti. Se desideriamo uno stile di vita tecnologico complesso, ricco di dispositivi capaci di rendere più facile la vita e tali da consentire un' elevata produttività industriale, dobbiamo pagare il prezzo di rinunciare alla nostra indipendenza. Non saremo più padroni del nostro destino, ma probabilmente staremo troppo bene per preoccuparcene. Una comunità in cui dominasse una potente intelligenza meccanica e in cui le intelligenze biologiche fornissero la forza lavoro, ricevendone come compenso ordine sociale e comfort, potrebbe avere un valore di sopravvivenza evolutivo molto positivo nell' universo. I computer potrebbero probabilmente gestire gli affari umani molto meglio degli uomini, i quali non sono riusciti finora a organizzarsi su scala planetaria senza contrasti e conflitti. La promessa della fine delle guerre in cambio di un controllo globale affidato a computer potrebbe essere una prospettiva troppo interessante per lasciarla cadere. Ammettendo che la Galassia sia fittamente popolata da comunità di questo genere, formate da due (o forse più) tipi di componenti di natura diversa, è plausibile supporre che esse tentino di comunicare fra loro con segnali radio. Ciò significa che ogni messaggio da noi ricevuto proveniente da un altro sistema di stelle potrebbe derivare da una macchina. Questa conclusione non è così sensazionale come potrebbe sembrare. Un tale messaggio radio non sarebbe certo una trasmissione in inglese, bensì un segnale codificato matematicamente. L'efficienza della trasmissione di informazione richiede una struttura altamente complessa inserita in codice nella radioonda e soltanto un computer sarebbe in grado di analizzarne e sbrogliarne per noi l'intero contenuto di informazione. Analogamente, se noi dovessimo trasmettere qualche informazione molto sofisticata sulla nostra cultura, una tale comunicazione sarebbe oltre le capacità organizzative di singole persone. Anche al nostro livello tecnologico, perciò, il computer avrebbe un posto preminente in ogni dialogo interstellare. Se esistono comunicazioni interstellari, sarebbero una cosa complessa e noiosa. Soltanto i computer - non programmati per soffire la noia - avrebbero la pazienza necessaria per compiere per anni ricerche radio e analisi di segnali. Se le comunità più avanzate sono di questo tipo, non dovremmo attenderci alcuna colonizzazione. Le abitudini sedentarie dei computer li predisporrebbero a "vivere" stabilmente in un posto, aumentando continuamente le loro dimensioni con l'aggiunta di nuove unità. Un elemento di eccitazione sarebbe fornito dall' invio di "occhi" e "orecchie" su altri sistemi e dall' assimilazione delle informazioni rimandate indietro. Pare che non ci siano limiti alle dimensioni di queste intelligenze meccaniche e il loro potere di manipolare l'ambiente crescerebbe col crescere delle loro capacità intellettuali. Se si considera quanto il cervello umano sia più perfezionato in paragone, per esempio, al cervello di un gatto - che è circa dieci volte più piccolo -, le possibilità che si dischiudono a un grande cervello artificiale sono inimmaginabili. Nel lontano futuro, quando il Sole comincerà a diventare troppo pericoloso per le forme di vita che restassero sulla Terra, ci sarà bisogno di una tecnologia in grado di creare nuovi ambienti ai nostri discendenti, se ce ne saranno. Come abbiamo spiegato nel capitolo VI, la presenza di uno squilibrio termodinamico di qualche genere è essenziale se deve continuare a esistere una società organizzata e la seconda legge della termodinamica assicura che regioni dell' universo in cui tale squilibrio sussista diventeranno sempre più difficili da trovarsi. Benché una comunità tecnologica possa accrescere la sua longevità in molti modi facendo ricorso a una varietà di espedienti e preparativi, pare non ci sia alcuna speranza di scongiurare il declino in modo definitivo. I medesimi principi della fisica che governano l'inesorabile disintegrazione di un' attività ordinata si applicano anche all' universo nel suo complesso, che sta già gradualmente decadendo. Paul Davies |
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Di più, cara kore. Già diversi lustri fa, Freeman Dyson ha immaginato una società così tecnologicamente avanzata da modificare drasticamente la struttura del sistema planetario: si tratta (solo...) di costruire un immenso guscio sferico tutto attorno al Sole in modo da utilizzarne tutta l'energia. Allorché c'è stato chi ha obiettato che interventi di tal sorta sull'ambiente appartengono e apparterrano per sempre al regno della fantasia. Di rimando, altri esperti in materia hanno fatto presente che, più che l'intelligenza, per questo genere di cose servono solo risorse, soldi e tempo.
In merito, il fisico Paul Davies, ha aggiunto (nel 1984): Ci si presenta dunque un inquietante interrogativo: visto che l'universo ci offre tempo a sufficienza per qualsivoglia sviluppo tecnologico, ci è lecito affermare che è possibile realizzare tutto ciò che non si scontra con le leggi della fisica? Nel giro di poche migliaia di anni gli uomini sono passati dalla pietra scheggiata alla bomba atomica. Se estrapoliamo questa tendenza, anche allungando di molto i tempi, è prevedibile che verrà un giorno in cui tutta la Terra e poi il sistema solare e infine le stelle, verranno conquistate dalla tecnologia umana. Potremmo rimodellare le galassie, modificare i percorsi delle stelle, creare stelle nuove dai gas interstellari o distruggerne di già esistenti rendendone instabile il ciclo nucleare. Potremmo creare buchi neri o controllare quelli che già esistono per ricavarne energia o per utilizzarli come immensi immondezzai per gettarvi i rifiuti della società galattica. Ma perché fermarci alla (o alle) galassia? Perché non tutto l'universo? Estrapolazioni di questa sorta saranno anche assurde ma ci portano a un'importante considerazione di carattere filosofico. Esiste - e se esiste, qual è - una differenza tra il naturale e l'artificiale, tra le forze cieche della natura e il controllo dell'intelligenza? Sotto questa luce, l'antica controversia tra libero arbitrio e determinismo ci appare in modo nuovo. ... chi vivrà vedrà (non noi, ovvio). |
Riferimento: Cos'e' veramente Il maschilismo?
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Finché la violenza si intende (solo) quella visibile, quella punita dal codice penale e non (anche) quella invisibile (di cui la prima è - in sostanza - pura manifestazione), non si può cacciar via le femmine dal trono morale sul quale stanno sedute perché la violenza maschile è molto più visibile e non può essere negata. L'autorità morale femminile è una autorità usurpata perché fondata su una impotenza femminile che non è mai esistita e su una innocenza che parimenti non può esistere. Nondimeno, oggi le femmine occidentali hanno questa autorità. Da qui si vede che l'interpretazione materialistica della Storia deve essere superata, altrimenti non si viene a capo di nulla. Non si vedono né il potere occulto, né le malefatte femminili e nemmeno tutto il resto. |
Riferimento: Cos'e' veramente Il maschilismo?
E’ l’Otto marzo ed il richiamo alla motivazione della sua origine, una strage voluta e perpetrata persino a proprio danno da un padrone maschio, ha fatto di nuovo la sua apparizione stamattina alla radio. Non importa che la bugia sia stata smascherata persino da due femministe, non importa che la bufala sia ormai stata espunta - per un minimo di pudore - dalle accademie.
Essa viaggia ancora nel mondo è diffonde la sua verità: i maschi sono criminali. Ma questa volta si è visto di più e di meglio. Sul numero in edicola di Donna Moderna la stupefacente, straordinaria, metafisica immagine di due bambini, Anna e Mario, qualificante lei come “Vittima” e lui come “Carnefice”. Così, papale papale, senza se e senza ma. Senza glosse, senza distinguo. Al di là di ogni possibile sogno, la verità pura, schietta, dirompente viene finalmente conficcata nel cuore dei malnati: carnefici. Ringraziamo Donna Moderna e il grande Toscani per quest’opera magistrale che i Coscienti non scorderanno da qui all’eternità. Essa è di tale rango che questa volta persino alcune donne hanno messo mano alla tastiera per manifestare il loro orrore. Certo, oportet ut scandala eveniant, ma guai a coloro a causa dei quali avvengono. Immagine metafisica che esprime la verità incontrovertibile che giace nel cuore della Donna occidentale del 3° millennio. Ciò che essa chiama amore. Di quest’amore abbiamo già considerato alcuni frutti. Esso non ha memoria, non vede e non sa di alcun bene ricevuto, moltiplica per 100 e per 1000 i mali subiti e quando non ci sono li inventa. Se non ne trova a sufficienza nel presente saccheggia il passato, se non ne rinviene abbastanza qui li importa da ogni dove. Da tutto il pianeta. Ma si può fare di meglio. Si può trasformare il bene in male. Da 40 anni sappiamo che la pillola è un’invenzione maschile creata per mettere in capo alle donne l’onere della prevenzione, giacché gli uomini si occupano solo del loro orgasmo. Che la pillola abbia messo nelle mani delle femmine oltre all’onere anche il potere, il più grande dei poteri da esercitare nella coppia, questo non lo si è visto. Che la pillola abbia consegnato alla donna la propria vita e nello stesso tempo quella del partner, questo non si è voluto vederlo. Neppure i maschi lo hanno visto. Lo hanno subito e lo subiscono, ma non lo hanno mai considerato. Non sanno che è un potere. Ma l’amore femminista da una parte e la cecità maschile dall’altra sono andate ben oltre. Levirato. Si sa che in molte culture, e segnatamente in quelle dell’area mediterranea, vigeva (e ancora vige là dove residuano le antiche condizioni sociali, enclavi del mondo arabo) uno strano istituto il quale prevedeva che la vedova andasse in moglie ad uno dei fratelli del morto. Il significato ed il valore sociale di tale invenzione sono evidentissimi, come è evidentissimo che essa va ad esclusivo beneficio della vedova e dei suoi figli. Quello che paga il prezzo di questo istituto, socialmente senz’altro provvidenziale, è il fratello del morto. Egli trova un famiglia già costituita, fatto che limiterà in un modo o nell’altro il numero dei figli suoi, trova una donna facilmente più vecchia di lui che può non piacergli per nulla. Irrilevante. Il superiore interesse della comunità, quello dei nipoti e quello della vedova, scavalcano ogni altra considerazione, esigono e impongono la soppressione di ogni considerazione dei sentimenti del neomarito. Anzi qui viene scavalcata persino la barriera del c.d. “mito della verginità”, altra invenzione del potere maschilista-patriarcale. Il sacrificio maschile è enorme. Chi di noi accetterebbe di sposare la cognata? Quale donna, a rovescio, accetterebbe di sposare il cognato vedovo con tanto di figli altrui? Resta però vero che, in quell’obbligo, la stessa vedova non aveva scelta. Doveva diventar moglie del cognato. E che diversa scelta infatti poteva avere? La sola alternativa era l’abbandono e la miseria (salvo casi eccezionalissimi e perciò socialmente irrilevanti) e invece la sola via di salvezza era l’esistenza di un vincolo sociale che obbligasse qualcuno a prendersi cura di lei e dei suoi figli. Un’istituzione tanto saggia quanto costosa per il genere maschile. Un prezzo altissimo pagato dai maschi per il bene di tutti e di tutte. Eppure anche questo costosissimo e preziosissimo regalo è stato rovesciato e trasformato in istituto di oppressione antifemminile, sulla base appunto del fatto che “… la vedova era obbligata a sposare il cognato”. Che l’obbligo fosse evidentemente di entrambi non lo si è mai visto e che la donna sia la beneficiaria e l’uomo il sacrificato neppure. E’ per questo che il levirato figura immancabilmente nell’elenco dei delitti maschili. La verità femminista è ormai così profondamente incitata nella mente occidentale che neppure gli antifemministi si sono mai accorti che questo regalo è stato rovesciato in capo di imputazione contro gli uomini. Nel suo “La donna a una dimensione”, saggio antifemminista, Alessandra Nucci, mentre attacca il femminismo ricorda però a tratti la condizione femminile del passato e tra le tante oppressioni antifemminili non manca di annoverare il levirato. Se lo si include in un elenco dei misfatti maschili, nessuno si accorge del micidiale stravolgimento operato dalla mistificazione, dall’amore femminista. Controprova? Se si va indietro ad uno dei miei primi post si noterà che io stesso, malignamente, ve l’ho incluso senza paura che qualcuno (la Kore, la Pallina) mi smascherasse dicendo: “Ah no Oberon, questo no! Non puoi venir qui a giocare con carte truccate! Ad inventare delitti maschili mai commessi con lo scopo di corroborare la tua tesi!”. Non sono stato sbugiardato e sapevo che non sarebbe accaduto. Ora, se, nella cecità universale, il bene stesso viene rovesciato in male perché stupirsi che il male venga inventato o moltiplicato per 1000 ? Carnefici. Obn |
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Citazione:
Ho partecipato a questo thread con due soli interventi e mi ha meravigliato che tu mi abbia chiamato in causa. Mi sono defilata dalla discussione praticamente da subito perchè (ammetto sia un mio limite) non mi ritrovo nel "generalizzare". Consapevole che i contributi che avrei potuto portare potevano fare riferimento solo e direttamente al mio vissuto, rendendomi conto che non siamo nella sezione Psicologia, ho preferito non scrivere più pur continuando a leggere. Vorrei però dire qualcosa riguardo al levirato. A parte il fatto che mi pare appartenga al Diritto antico Ebraico e in uso in regioni primitive, nella regione del centro-sud dove vivo era raramente praticato ma NON per evitare di lasciare in miseria una vedova e i suoi figli ma per far sì che i beni non andassero dispersi o finissero in mano di un'altra famiglia in caso di nuovo matrimonio. Posso assicurarti che nessuno sposava vedove "più anziane" e soprattutto non c'era nessun obbligo morale che lo imponesse. Ti dirò di più: era più facile che fosse un vedovo a risposarsi che non una vedova. Nessuna necessità di smascherarti, quindi, proprio perchè il tuo scritto non è applicabile alla mia realtà. Apro e chiudo una piccola parentesi personale. Ho letto tutti gli interventi sempre "dall'alto" (ma senza nessuna presunzione) tenendo sempre presente, mai dimenticando, l'educazione che "hanno tentato" di darmi le donne della mia famiglia:tutte matriarche della peggior specie. Tranne mia madre, unico anello debole della catena, per fortuna mia e delle mie sorelle. Non basta: ho osservato anche cosa diventano "gli uomini" che fanno parte o che entrano a far parte di famiglie dove vige il matriarcato. E bada bene ho scritto "cosa" e non "come".... |
Riferimento: Cos'e' veramente Il maschilismo?
Ho letto le critiche. Non scrivo qui per trovare consenso né per convincere qualcuno. Siamo occidentali e perciò non possiamo accettare di rinunciare al principio della nostra autonomia intellettuale. Non accettiamo di venire forzati a modificare la nostra visione del mondo da nessuna considerazione altrui. La percepiamo come una intollerabile sottomissione. Non sarò io a tentare di violare ciò di cui io stesso esigo il rispetto. Quando non si mira a convincere alcuno di alcunché, si diventa più liberi di disegnare scenari sorprendenti. Di aprire finestre sull’inaudito. Ad es. sul 25 marzo p.v.
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Si avvicina il 25 marzo. E’ una data importante per la civiltà occidentale, tanto più importante in quanto non ne avevamo mai sentito parlare. La data più importante nel conflitto tra i sessi, quella che lo illumina totalmente. Il simbolo che in quanto tale esprime ciò che giace nel profondo e guida, configura, determina ciò che deve avvenire. Il simbolo che ne sta all’origine deve segnare lo sviluppo di un’intera Civiltà. Il 25 marzo cade 9 mesi prima del 25 dicembre. Non lo avevamo notato. E’ il giorno dell’Annunciazione. Il giorno in cui Maria rimase incinta di Gesù. Due sono gli elementi di questo racconto che prescrivono il destino della Civiltà Occidentale che li ha creati e dai quali è stata creata. Non fu un uomo a fecondarla e il fatto accadde contro la sua volontà. Uno. Maria non si è unita ad alcun maschio. Non ne ha subito la penetrazione, ossia l’aggressione sessuale, né si è contaminata con il liquido seminale maschile. Non ha avuto nulla a che fare con i maschi. Non si è sporcata con il loro contatto. Due. E’ rimasta incinta contro la sua volontà giacché essa esplicitamente dovette accettare la volontà Altrui. Non cercò di diventare madre. Dovette subirlo. La Civiltà Occidentale nasce quindi senza il maschio e perciò contro il maschio che ne viene cacciato sin dall’origine. Nasce da una violazione della volontà femminile nel concepimento, perciò da uno stupro. Uno stupro metafisico sta all'origine dell'Occidente. Adesso i conti tornano. Finalmente lo si vede. Quando si sente gridare: “Ogni coito è uno stupro” si sa da dove venga quel grido. Quando si legge che le femmine si feconderanno con sperma autogenerato si sa da dove venga il progetto. Queste primissime parole sull’origine della guerra contro gli uomini, sulla sua ineluttabilità e sulla sua necessaria conclusione, sono dette qui per coloro che conoscono la fecondità dei simboli, la loro inesauribile pregnanza, che leggono il destino che prescrivono a coloro che li generano e da cui scelgono di essere generati. Sono parole per coloro che vedono le Civiltà come necessarie creature la cui forma è stabilita alla nascita. Piante da un seme. Fiori da un bulbo. Quelli invece che irridono alla potenza dei simboli, hanno fondato motivo di considerarle un delirio. “Si inoltrano in cieche tenebre coloro che si abbandonano all’ignoranza. In tenebre ancora maggiori coloro che si compiacciono della scienza” (Vedanta). Obn |
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Dalla prima pagina del quotidiano Libero del 21/03/08
Papà separati e clochard. Ma la colpa è solo loro di ANNAMARIA BERNARDINI DE PACE La solita, imbarazzante, lamentela dei papà separati è questa: i divorzi aumentano; i costi di mantenimento dei figli sono alti quanto quelli degli avvocati; chi guadagna 1.500 ha dunque a disposizione meno di 400 euro; circa 800 mila separati vivono sotto le soglie di povertà; 3.500 papà separati sono quasi clochard che frequentano i dormitori pubblici. In questa "emergenza", la prima seria considerazione critica che si può fare contro questa ennesima lagna è: «le loro mogli invece stanno meglio?» «e i loro figli?». Da qui una cascata di logiche domande. Primo. Quale era la prospettiva di vita di questi papà separati che guadagnerebbero 1.500 euro dovendo impiegarne 1.100 ogni mese per pagare figli e spese legali? Che cosa succedeva quando loro erano in casa? Quando convivevano con la famiglia e non avevano i costi degli avvocati? E quanto riterrebbero giusto dare per crescere i loro figli? C'è da chiedersi se le mogli lavorassero o no. E se no, perché? C'è ancora da chiedersi che genere di donna abbiano scelto come moglie e perché non si siano dati da fare per mantenere la famiglia unita anziché lasciare che si smembrasse. Bisogna anche domandarsi perché preferiscano il vittimismo del clochard alla più dignitosa soluzione di tornare nella famiglia di origine. C'è poi da indagare su che avvocati abbiano scelto (evidentemente cari ma perdenti) e quale giudice Torquemada abbiano mai incontrato. Nel concreto. Ipotizziamo che questo papà separato presunto clochard abbia una moglie non produttiva di reddito e due figli. Secondo uno schema elaborato dal Tribunale di Monza, più o meno seguito in tutta Italia, a fronte di un reddito di 1.500 euro, tenuto conto anche dell'assegnazione della casa familiare, il Giudice pone a carico del coniuge più forte un assegno in favore dei figli pari a circa 1/3 dello stipendio e pari circa al 10% in favore della moglie. Quindi dei 1.500, a spanne, 500 sarebbero per i due figli e 150 per la moglie. Allora ci deve spiegare, il povero clochard di rimessa, primo come possano vivere tre persone con 650 euro e secondo come mai lui sia costretto ad andare al dormitorio avendo, da solo, a disposizione 850 euro. Terzo deve responsabilizzarsi sulle sue scelte precedenti la separazione: accettare che la moglie non lavori e mettere al mondo due figli non potendo loro garantire né una famiglia serena né una separazione decorosa. In ogni caso, il malinconico senzatetto non ci ha ancora spiegato quale giudice e quale avvocato lo abbiano fatto restare con appena 400 euro. Che costituiscono pur sempre il doppio, per lui solo, di ciò che rimane a disposizione di ciascun membro della sua famiglia, cioè 220 euro scarsi. Potrebbe replicare il poverino: "ma loro hanno la casa". Si potrebbe ribattere che questo è un costo da detrarre da quei 650 euro. Purtroppo con questi implacabili papà separati, i ragionamenti razionali e concreti, conti alla mano, non bastano, anzi non servono veramente a nulla. Preferiscono organizzare ogni tanto qualche "daddy's pride" - c'è forse dell'orgoglio più grande che chiamarlo orgoglio paterno? - svelando la loro patetica competizione con le madri alle quali vengono "dati" i figli più che a loro. Preferiscono lamentarsi dei costi legali e perdere tempo invece di mettere in discussione i loro sistemi di vita e di organizzare più produttivamente, anche in termini affettivi, il loro tempo. È davvero scandaloso che anche nella vigenza della legge sull'affido condiviso - applicata nel 94% dei casi - queste associazioni di padri dolorosi continuino a esprimere rabbia e rivendicazione verso le mogli, i giudici e gli avvocati senza mai riflettere un solo momento, con saggezza e lealtà, su loro stessi. Comunque sia, io non credo a queste opportunistiche statistiche che vengono divulgate in occasione di queste manifestazioni pubbliche. Non credo che il 70% di frequentatori di dormitori siano padri separati responsabili e per bene e percettori di stipendi che corrispondono all'80% degli stipendi medi italiani. Non credo che la maggior parte dei padri separati debba vivere in uno sgabuzzino da 70 euro al mese o in un garage e mangiare alla mensa dei poveri. È ridicolo che quelli che si lamentano e propalano questi dati si accaniscano contro «l'industria fiorente del divorzificio» e le loro mogli. Nel corso della mia attività professionale mi sono interessata circa 18.000 casi e neppure uno coi dati catastrofici riferiti dai papà separati. Né clienti né avversari. Più frequenti sono, invece, i casi di papà che non vogliono pagare, che fingono di non avere denaro per pagare, che simulano di essere diventati poveri, che pretendono di avere i figli con sé solo per non versare denaro alle mogli. Numerosi ancora i casi di papà violenti e anaffettivi. Vicini per numeri a quelli di madri violente e anaffettive, in verità Dunque, se questi papà separati vogliono fare i sociologi, gli psicologi e i giuristi, prima di tutto imparino a diffondere dati realistici, in secondo luogo non se la prendano con gli altri, ma comincino a fare autocritica e in terzo luogo non perdano tempo a piangere, ma onorino il loro ruolo di padre con l'orgoglio della fatica e dell'impegno indirizzati al concreto. In sostanza alcuni papà, erano dei potenziali clochard ancora prima di sposarsi. |
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