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Citazione
ma il dissanguamento intenzionale era legato alla pratica alchemica di Erzsebet e alla magia nera,
Appunto, ma non viviamo in un'epoca laica e illuminata?
Inoltre sono tutti casi dell'Europa dell'Est, già famosa per abusi sulla popolazione, di cui erano responsabili personaggi di potere e non erano fatti così comuni.
Ma in Europa Occidentale non si registravano casi del genere, sicuramente non nel numero che c'è oggi e non da parte di tiranni perversi, ma di cittadini comuni, integrati nella società e "benvoluti da tutti".
Inoltre partiamo dall'idea sbagliata che a commettere queste atrocità non siano mai alti funzionari, politici, mag. o appartenenti alle FFOO mentre in certi ambienti è la regola, vedi l'isola di Epstein riservata a tutti i politici dell'arco costituzionale, o a certi ristoranti amici di presidenti e politici vari che non vendevano pizze ma esseri umani per usi innominabili.
Per cui sorge ancora la domanda: come mai in un'epoca laika e demokratica la classe dirigente è così malvagia, e ha credenze da "Medio Evo", non solo uno o due ma praticamente tutti sono invischiati con cose simili
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Ma Vlad era un tiranno, non pretendeva di essere una sorridente famiglia di Wimbledon che usava il barbecue d'ordinanza per arrostire domestiche. Inoltre è ricordato proprio per essere un caso raro, mentre in UK (chissà perché lì) non è l'unica famiglia "benvoluta dalla comunità" a far sparire dozzine di domestici e baby sitter.
Poi in Italia ci sono gli infermieri satanisti che mettono il curaro nelle flebo (da non confondere col filone delle infermiere matte tipo Sonya C.), altra specialità tutta moderna
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https://www.ilgiornale.it/news/personaggi/vlad-l-impalatore-principe-valacchia-vampiro-bram-stoker-2234087.html

Citazione
Il legame tra il voivoda Vlad III Țepeș (ovvero “l’Impalatore”, 1431-1477) e il personaggio letterario Dracula è ormai inscindibile grazie allo scrittore irlandese Bram Stoker (1847-1912). L’autore è riuscito a dare forma concreta a una antica superstizione del centro Europa, rinnovando la figura del vampiro e superando i lavori precedenti sull’argomento, ovvero “Il Vampiro” (1819) di John William Polidori e Carmilla di LeFanu (1872). Tuttavia la vera storia dell’uomo che Stoker nascose tra le pagine del suo libro non è meno sinistra e cruda di quella narrata nel romanzo. In fondo Vlad III e Dracula si somigliano molto, perché sono due riflessi di puro male.

Ostaggi alla corte ottomana
Vlad III nacque, forse, a Sighișoara. Non vi è alcuna certezza in merito, così come nulla sappiamo su sua madre. Fu voivoda (principe) di Valacchia per tre volte, nel 1448, dal 1456 al 1462 e nel 1476, ovvero circa otto anni in tutto. Durante questo breve periodo di tempo, però, il principe sarebbe riuscito, secondo gli storici, a uccidere circa 100mila persone, molte delle quali tramite impalamento (da qui il triste soprannome di “Impalatore”). Il voivoda visse in un’epoca tormentata: l’impero ottomano, che si stava espandendo nella parte meridionale dell’Europa, trovava dei fieri oppositori nell’Ungheria e nei principati di Moldavia, Valacchia e Transilvania (quest’ultima all’epoca faceva parte del Regno d’Ungheria).
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Vicus, un tempo era pure peggio.
La differenza sostanziale è che in passato non esistevano TV, internet, etc.
In merito questi sono un paio di commenti, di uno dei pionieri della QM, che sono andato a riesumare su Uomini 3000.

Citazione
Nata nel 1560, Erzsebet Bàthory era figlia di un militare aristocratico e sorella del re di Polonia in carica. La sua famiglia, infatti, era una delle più antiche casate nobiliari d'Ungheria: la sua insegna araldica portava l'emblema del drago, incorporato da re Sigismondo nell'Ordine del Dragone.
Il clan dei Bàthory comprendeva cavalieri e giudici, vescovi, cardinali e re, ma la casata era ormai decaduta dalla metà del XVI secolo: la nobile discendenza era stata guastata da incesti ed epilessia, i rami più recenti della famiglia annoveravano alcolizzati, sadici e assassini, omosessuali (considerati al tempo dei criminali) e satanisti. Nonostante fosse bellissima, Erzsebet era chiaramente il frutto di una genetica "corrotta" e di un'educazione perversa. Per tutta la vita soffrì di atroci emicranie ed era vittima di improvvisi svenimenti - probabilmente di natura epilettica - che i superstiziosi membri della famiglia ritenevano segnali di possessione demoniaca. Cresciuta nella dimora dei Bàthory ai piedi della cupa catena dei Carpazi, Erzsebet fin dall'adolescenza fu introdotta al culto del demonio da uno zio seguace di Satana.
La zia preferita, una delle più note lesbiche d'Ungheria, insegnò a Erzsebet i piaceri della flagellazione e altre perversioni, ma la giovane Erzsebet aveva sempre creduto che fosse meglio infliggere il dolore, piuttosto che provarlo.
Quando Erzsebet aveva solo 11 anni, i genitori decisero il suo futuro matrimonio con il conte Ferencz Nadasdy, un aristocratico guerriero. Le nozze furono rinviate fino al momento in cui Erzesebet compì 15 anni e furono celebrate solennemente il 5 maggio 1575.
La sposa conservò il proprio cognome, a significare che la sua famiglia era di rango superiore ai Nadasdy.
I novelli sposi si stabilirono al castello di Csejthe, nella zona nordoccidentale dell'Ungheria, ma il conte Nadasdy disponeva anche di altri palazzi in varie parti del Paese, ciascuno provvisto di una prigione sotterranea e di una sala di tortura, appositamente concepita per soddisfare le "esigenze" di Erzsebet.
Nadasdy si assentava spesso, ogni volta per settimane o mesi, lasciando la sua sposa "sola e annoiata" in cerca di "svaghi".
Erzsebet si dilettava d'alchimia, soddisfava i suoi capricci sessuali con uomini e donne senza distinzione, cambiava abiti e gioielli cinque o sei volte al giorno, rimirava se stessa per ore in specchi a figura intera.
Ma soprattutto, quando era arrabbiata, nervosa o semplicemente annoiata, la contessa torturava le domestiche per divertimento.
Nei primi anni di matrimonio una delle maggiori fonti di irritazione per Erzsebet era sua suocera.
Impaziente di avere dei nipoti, la madre di Nadasdy tormentava incessantemente Erzsebet per la sua incapacità di concepire.
Erzsebet avrebbe poi avuto "finalmente" dei figli dopo dieci anni di matrimonio, ma non provava alcun istinto materno allora, poco più che ventenne.
Le giovani donne del suo personale di servizio arrivarono ben presto a temere le visite della madre di Nadasdy, sapendo che alla partenza della vecchia signora avrebbe fatto inevitabilmente seguito un'altra serie di brutali violenze.
In materia di torture la contessa bisessuale possedeva una feroce immaginazione.
Alcune delle sue diavolerie erano state apprese fin dall'infanzia, altre provenivano dall'esperienza che Nadasdy aveva acquisito durante le guerre contro i Turchi, ma Erzsebet aveva anche inventato delle tecniche personali.
Aghi e spilli erano tipici ferri del mestiere: con essi forava le labbra e i capezzoli delle vittime, a volte infilava loro degli aghi sotto le unghie.
"Piccola sgualdrina!", sogghignava mentre la sua prigioniera si contorceva per il dolore.
"Se fanno male, non deve far altro che levarseli".
A Erzsebet piaceva anche mordere le sue vittime sulle guance, sui seni, ovunque, cavando loro il sangue con i denti. Altre venivano spogliate, ricoperte di miele ed esposte all'assalto di formiche e api.
Il conte Nadasdy, a quanto si sa, si univa a Erzsebet in alcune delle sedute di tortura, ma con gli anni arrivò ad aver paura della moglie, trascorrendo sempre più tempo in viaggio o nelle braccia della sua amante.
Quando alla fine il marito morì nel 1600 o 1604 (le fonti variano), Erzsebet perse ogni ritegno, dedicandosi a tempo pieno al tormento e all'umiliazione sessuale di giovani donne.
In breve ampliò il proprio orizzonte, dal personale di servizio alle fanciulle sconosciute.
Domestici fidati perlustravano la campagna alla ricerca di nuove prede, attirando le giovani contadine con l'offerta di un lavoro, ricorrendo alla droga o alla forza brutale, mentre si diffondevano voci allarmanti che assottigliavano le fila delle reclute volontarie.
Nessuna delle persone che andò a servizio da Erzsebet ne uscì mai viva, ma i contadini dell'epoca avevano ben pochi diritti e una nobildonna non veniva biasimata dai suoi pari se a casa esagerava con la "disciplina"..
Poco più che quarantenne, Erzsebet Bàthory presiedette un olocauso in miniatura di sua invenzione.
Con la complicità dell'anziana balia, Ilona Joo e della mezzana Doratta Szentes - alias "Dorka" - Erzsebet imperversò per le campagne, esigendo tra i contadini vittime a volontà.
Essa portava con sé speciali pinze d'argento, concepite per strappare la carne, ma era altresì a suo agio con aghi e spilli, ferri per la marchiatura e attizzatoi roventi, fruste e forbici...di tutto un po'.
Alcuni complici nella famiglia delle vittime le spogliavano, tenendole ferme mentre Erzsebet riduceva loro i seni a brandelli o bruciava loro la vagina con la fiamma delle candele, a volte mordendo via grossi lembi di carne dal viso o dal corpo.
Una delle vittime fu costretta a cuocere e mangiare un pezzo del suo stesso corpo, mentre altre furono bagnate e lasciate a congelare nella neve.
A volte Erzsebet apriva loro la bocca con una tale forza da lacerarne le guance.
In altre circostanze, i servi si occupavano del lavoro sporco, mentre Erzsebet andava e veniva lì accanto gridando:"Di più! Di più! Ancora più forte!", fino a quando sopraffatta dall'eccitazione, crollava a terra priva di sensi.
Un "giocattolo" del tutto particolare di Erzsebet era una gabbia cilindrica, all'interno della quale erano state poste delle lunghe punte.
Una ragazza nuda veniva costretta a entrarvi, per essere poi sollevata a diversi metri da terra per mezzo di una puleggia.
Erzsebet o uno dei suoi servitori, girava intorno alla gabbia con un attizzatoio rovente che spingeva contro la ragazza, costretta così, per sfuggirvi, a finire contro i ferri appuntiti.
Sia nel ruolo di spettatrice che in quello di esecutrice, Erzsebet era sempre "brava" a fornire il suo commento in diretta, con "suggerimenti e battute" disgustose, che con il trascorrere della notte diventavano crude oscenità e incoerente balbettìo.
Liberarsi dei corpi senza vita delle vittime era una faccenda relativamente semplice nel Medioevo.
Alcuni venivano sepolti, altri erano lasciati in giro per il castello a decomporsi, mentre certi venivano gettati all'esterno in pasto ai lupi e agli altri predatori della zona.
Se ogni tanto veniva ritrovato un cadavere smembrato, la contessa non doveva temere alcuna incriminazione.
In quel luogo e a quel tempo, il sangue reale costituiva una protezione assoluta.
A questo contribuiva la circostanza che uno dei cugini di Erzsebet era il primo ministro d'Ungheria e che un altro cugino rivestiva la carica di governatore della provincia nella quale essa viveva.
Nel 1609, alla fine, Erzsebet andò troppo oltre, passando dalle sventurate contadine alle figliole dei nobili di rango inferiore e aprì le porte del castello di Csejthe per offrire a 25 fanciulle selezionate "istruzione nel contegno da tenere in società".
Questa volta, quando nessuna delle sue vittime sopravvisse, le lamentele giunsero alle orecchie di re Matthias, il cui padre era stato presente alle nozze di Erzsebet.
Il re, a sua volta, assegnò al conte Gyorgy Thurzo, il più vicino al castello di Erzsebet, il compito di indagare.
Il 26 dicembre 1610, Thurzo organizzò un'incursione a tarda notte al castello di Csejthe e sorprese la contessa in flagrante, nel bel mezzo di una seduta orgiastica di torture.
Una mezza dozzina di complici di Erzsebet furono arrestati per essere poi giudicati; la contessa fu costretta agli arresti nella sua dimora, mentre il parlamento emetteva una speciale legge che la privava dell'immunità da procedimenti giudiziari.
Il processo si aprì nel gennaio del 1611 e durò fino a febbraio inoltrato, con il Primo Giudice Theodosius Syrmiensis a presiedere un gruppo di venti giuristi minori.
Dinanzi alla corte furono dichiarati ottanta capi d'accusa per omicidio, sebbene la maggior parte dei resoconti storici collochi il conto finale delle vittime di Erzsebet tra 300 e 650.
La stessa Erzsebet fu dispensata dal presenziare al processo e venne tenuta rinchiusa nel suo appartamento sotto stretta sorveglianza, ma la condanna per tutti i capi di imputazione era una conclusione scontata. Il tempo della contessa sanguinaria era finito.
I domestici complici di Erzsebet furono giustiziati, Dorka e Ilona dopo essere state pubblicamente torturate, ma la contessa venne risparmiata e condannata alla prigione a vita in una piccola suite del castello di Csejthe. Le porte e le finestre del suo appartamento furono murate, lasciando solo delle piccole aperture per la ventilazione e per il passaggio dei vassoi con le vivande.
Là visse in isolamento per tre anni e mezzo, fino a quando fu trovata morta il 21 agosto 1614.
Non si conosce la data esatta della morte di Erzsebet, dato che molti vassoi erano rimasti intatti prima che fosse trovato il suo corpo.
La "leggenda" [...] della Bàthory è andata crescendo racconto dopo racconto, fino alle narrazioni più recenti che comprendono storie di vampirismo e di bagni rituali nel sangue, ritenuti da Erzsebet un aiuto per "restare giovane".
Il culto sanguinario di Erzsebet è in genere collegato al sangue versato da una giovane domestica sconosciuta, schizzato per caso sulla contessa, in seguito colpita dal fatto che la sua pelle sembrasse ancora più pallida e diafana del solito, una caratteristica considerata all'epoca segno di grande bellezza.
In realtà, durante le ampie deposizioni rese al processo di Erzsebet non si fece alcun accenno a veri e propri bagni di sangue.
Alcune delle vittime rimasero dissanguate per le brutali ferite inferte o per un piano particolare, ma il dissanguamento intenzionale era legato alla pratica alchemica di Erzsebet e alla magia nera, piuttosto che all'idea di un "bagno caldo".
In ogni caso, la carneficina di Erzsebet cominciò quando era sulla ventina, molto prima che la paura di invecchiare potesse farsi strada nella sua mente.



Citazione
Di Giulia Fazekas si sa poco prima del 1911, quando comparve improvvisamente nel villaggio ungherese di Nagyrev, situato a un centinaio di chilometri a sud-est di Budapest sul fiume Tisza.
Era una femmina di mezz'età, vedova, a quanto da lei riferito, anche se nessuno sapeva esattamente cosa fosse successo a suo marito. Tra il 1911 e il 1921, l'ostetrica Fazekas era stata arrestata dieci volte per aver praticato aborti illegali, ma giudici comprensivi [...] l'avevano ogni volta assolta.
Nel frattempo, a quanto pare senza destar sospetti, aveva dato inizio a una delle "sagre" più micidiali d'Europa.
L'ondata di delitti è da far risalire alla prima guerra mondiale, quando gli uomini idonei alle armi di Nagyrev furono arruolati per difendere l'impero austro-ungarico.
Al tempo stesso, il piccolo centro rurale di Nagyrev fu ritenuto luogo ideale per l'allestimento dei campi nei quali rinchiudere i prigionieri di guerra alleati, circostanza questa che scatenò le più sfrenate fantasie di femmine che erano state improvvisamente private della presenza degli uomini.
Molto probabilmente i prigionieri godevano, all'interno del villaggio, di una relativa libertà, per cui divenne presto motivo d'orgoglio per le mogli di Nagyrev, rimaste sole, vantare un amante straniero, se non tre o quattro.
Prevaleva dunque un'atmosfera di dilagante promiscuità e gli uomini, che poco alla volta tornavano a casa dalle zone dei combattimenti, trovavano le loro donne stranamente "emancipate", spesso inappagate con un solo uomo nel loro letto.
Dato che le mogli cominciarono a lamentarsi per la noia o per le violenze che subivano, l'ostetrica Fazekas offrì il suo aiuto fornendo loro arsenico, ottenuto facendo bollire la carta moschicida per poi separare il letale residuo. Nel 1914 Peter Hegedus fu la prima vittima accertata e altri mariti seguirono col tempo, prima che l'avvelenamento si trasformasse in mania, per cui l'elenco delle vittime arrivò a comprendere genitori, figli, zie, zii e vicini.
A metà degli anni Venti, Nagyrev si era guadagnato il soprannome di "distretto degli omicidi".
In questo periodo si calcola che circa 50 donne fecero uso dell'arsenico per sfrondare l'albero genealogico della loro famiglia.
Julia Fazekas era quanto di più vicino a un medico vi fosse nel villaggio e suo cugino era l'impiegato che archiviava tutti i certificati di morte, minando così ogni investigazione fin dall'inizio.
Il numero finale delle vittime è ancora sconosciuto, ma la maggior parte dei rapporti indica in 300 la cifra più verosimile di persone uccise in 15 anni di omicidi su larga scala.
Le "Fabbricanti di angeli" videro il loro mondo sgretolarsi nel luglio 1929, quando un maestro del coro del vicino villaggio di Tiszakurt accusò la signora Ladislaus Szabo di avergli servito del vino avvelenato.
Una lavanda gastrica gli salvò la vita e gli investigatori stavano ancora valutando l'accusa, quando un altro uomo si lamentò per essere stato avvelenato dalla sua "infermiera", la stessa signora Szabo.
Quest'ultima fu arrestata e nel tentativo di ottenere clemenza, denunciò un'amica, la signora Bukenoveski, come sua complice. La signora Bukenoveski, a sua volta, fu la prima a fare il nome di di Julia Fazekas.
Nel 1924, raccontò, la Fazekas aveva fornito l'arsenico utilizzato per uccidere la madre settantasettenne della Bukenoveski, che fu poi gettata nel Tisza per simulare un annegamento accidentale.
La Fazekas fu fermata per essere interrogata e negò tutto risolutamente.
Non disponendo di prove concrete, la polizia fu costratta a rilasciarla, ma si mise a sorvegliarla, seguendola in giro per Nagyrev mentre andava ad avvertire le sue clienti, che furono arrestate una per una.
Vennero incarcerate trentotto donne sospettate di omicidio e la polizia piombò a casa della Fazekas per prendere il (la...) capobanda.
Trovarono la donna morta per una dose della sua stessa medicina, circondata da recipienti pieni di carta moschicida a mollo nell'acqua.
Ventisei donne di Nagyrev sospettate furono sottoposte a giudizio a Szolnok, dove otto vennero condannate a morte, sette ebbero l'ergastolo e le altre ebbero pene minori.
Tra le condannate vi erano Susannah Olah, una sedicente "strega" che si vantava di addestrare dei serpenti velenosi ad attaccare le sue vittime a letto e faceva a gara con la Fazekas nel vendere "la polvere dell'eredità di zia Susi"; Lydia, sorella settantenne della Olah, che negò con decisione la sua colpevolezza, ma non riuscì a impressionare la giuria; Maria Kardos, che uccise suo marito, un amante e il figlio malaticcio di 23 anni, convincendo il giovane a cantarle una canzone sul letto di morte; Rosalie Sebestyen e Rose Hoyba, condannate per l'omicidio dei loro "noiosi" mariti; Lydia Csery, condannata per l'uccisione dei genitori; Maria Varga, che confessò di aver acquistato il veleno dalla Fazekas per uccidere suo marito, un eroe di guerra rimasto cieco, che si lamentava perché lei portava a casa gli amanti; Juliana Lipke, tra le cui sette vittime si trovavano la suocera, una zia, un fratello, una cognata e il marito, che avvelenò alla vigilia di Natale; infine Maria Szendi, una vera "paladina della liberazione delle donne", [...] che dichiarò alla corte di aver ucciso suo marito perché "riusciva sempre ad averla vinta. E' terribile come gli uomini abbiano tutto il potere". [...]
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Sicuramente è la malvagità umana, ma una volta c'erano al massimo i briganti di passo, non famiglie dissociate che cucinavano gli ospiti per futili motivi
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Citazione
Una domanda: questa assurda violenza era venuta dal nulla o non era altro che il prodotto, presente anche altrove in forme meno esasperate, dello stile di vita basato sull'apparenza?

No, questa assurda violenza (al pari di tante altre) ha semplicemente origine dalla malvagità umana.
Riguarda alle due merde in questione - principalmente lei - avrei proprio voluto vedere cosa avrebbero fatto se invece di una ragazza "alla pari", fosse entrato in quella casa un ragazzo "alla pari" di nome "Frank"...
Certo, avrebbero potuto accoltellarmi o spararmi, oppure prendermi a martellate in testa mentre dormivo; ma a parte queste ipotesi, avrei proprio voluta vederla la tipa che cerca di sequestrarmi i documenti e poi di picchiarmi, chiamando poi in suo soccorso quell'altro coglione del "compagno"...
Te lo dico io il risultato: lui con la faccia rotta e le braccia spezzate; lei direttamente sulla sedia a rotelle, a causa delle spina dorsale  frantumata dal sottoscritto, unita ad altre fratture di vario genere.

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Calcola che io son stato a lungo un fautore della pena di morte, indipendentemente dal sesso, dall'etnia, dal credo religioso e dall'orientamento sessuale.
Oggi e ormai da anni non sono più favorevole alla summenzionata pena di morte (per ragioni che ora non mi va di spiegare), ma in casi estremi resto sempre un fautore della tortura (esempio: un terrorista che ha messo una bomba in un centro commerciale e non vuole dire dove ha posizionato l'ordigno) e a livello personale dell'antica legge del taglione: occhio per occhio, dente per dente.
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Buon Natale a tutti gli utenti del forum, credenti e non, a chi festeggia e a chi scriverà il solito post sul sol invictus (spero di no, almeno quest'anno) :lol:

Non solo l'edificio, che parla di una civiltà spirituale che non può che essere di stampo MASCHILE (le architettE di cattedrali non abbondano affatto): in Francia malgrado una Chiesa in liquidazione coatta abbondano le conversioni, raddoppiate quest'anno.
La rinascita di questo simbolo della cristianità èil miglior regalo di Natale:


Tutto il mondo, l’8 dicembre 2024, ha ammirato lo splendore di Notre-Dame, ricostruita dopo il devastante incendio del 15 aprile 2019, in tutta la bellezza delle sue vetrate, delle sue torri, e soprattutto della sua guglia centrale. E tutto il mondo ha definito un vero e proprio miracolo lo sforzo collettivo che ha permesso di compiere l’opera di restauro in soli cinque anni.

Ma perché la bellezza della cattedrale di Notre-Dame ci emoziona? La ragione è che, dietro la sua bellezza, la nostra intelligenza e il nostro cuore colgono una verità profonda. Il bello infatti è sempre vero e il vero è sempre bello. Qual è questa verità? I costruttori di Notre-Dame si sono ispirati a un’idea di ordine, di misura, di armonia, che hanno espresso in luce e in pietra. Quest’idea è una concezione del mondo, ordinata a Dio, la stessa concezione del mondo architettonica che è espressa nella Summa Theologiae di san Tommaso d’Aquino.

Anche Notre-Dame può essere considerata una “summa theologica” in pietra, vetro e luce: una visione unitaria dell’universo, di cui solo la liturgia tradizionale della Chiesa può esprimere la verticalità, lo slancio verso Dio, lo spirito contemplativo.

Come può il presidente francese Emmanuel Macron non avvertire la contraddizione radicale che esiste tra la luminosa cattedrale che egli ammira e l’ideologia tenebrosa che sta dietro ad atti iniqui, come la costituzionalizzazione dell’aborto da lui voluta in Francia?

Ci vorrebbe un miracolo per aprire gli occhi a questi personaggi, così come un miracolo, o almeno un intervento straordinario della grazia è avvenuto la sera dell’incendio di Notre-Dame [c'ero anch'io a documentare l'accaduto]. Ce lo racconta un protagonista, uno degli eroici vigili del fuoco che sono entrati per primi nella cattedrale in fiamme e hanno contribuito a salvarla (https://les7routes.fr/elementor-3117/). 

 «È stato durante il viaggio che ci siamo resi conto dell’entità dell’incendio. Ciò che mi ha colpito di più all’inizio – racconta il vigile del fuoco – è stata la folla in strada, che ha rallentato la nostra corsa dentro Parigi. I parigini accorrevano per vedere la loro cattedrale bruciare. Quando sono arrivato, sono rimasto molto colpito dalla visione di tutte quelle persone in ginocchio, che pregavano. È stato molto emozionante! Cantavano, pregavano e li vedevamo affranti, erano incredibilmente uniti! È stato molto bello». Il vigile del fuoco è entrato. L’atmosfera era rovente, il tetto e la guglia centrale cadevano a pezzi, ma tra i detriti e le ceneri risplendeva intatta la croce dorata, situata dietro l’altare principale della cattedrale.

«A un certo punto – racconta il vigile del fuoco – mi sono trovato di fronte all’altare e alla famosa croce d’oro che lo sovrasta, che credo tutti abbiano visto dopo l’incendio. Mi sono bloccato per quindici o venti secondi, sbalordito: questa croce brillava, brillava con una luminosità intensa che illuminava la cattedrale, anche se non c’era nessuna luce – era notte. Mi sono detto: “Siamo al sicuro, siamo protetti”. Sì, il Signore era davvero lì, vegliava su di me. Ero certo della sua presenza. Ho avuto un rapporto totale con quella croce. Ho lasciato la cattedrale da convertito».

La conversione del vigile del fuoco, che non entrerà mai nei libri di storia, ma è entrato nel Libro della Vita, ricorda la conversione, avvenuta oltre un secolo prima, di un celebre scrittore francese, Paul Claudel (1868-1955).

Era la sera di Natale del 24 dicembre 1886. Il giovane Claudel era uno studente di diciotto anni, che aveva abbandonato la pratica religiosa e vagava per le strade di Parigi, inquieto e insoddisfatto di sé, quando entrò quasi per caso nella cattedrale di Notre-Dame, inondata dal suono dell’organo e dai canti.

 «Io – racconta– ero in piedi tra la folla, vicino al secondo pilastro rispetto all’ingresso del Coro, a destra, dalla parte della Sacrestia. In quel momento capitò l’evento che domina tutta la mia vita. In un istante il mio cuore fu toccato e io credetti. Credetti con una forza di adesione così grande, con un tale innalzamento di tutto il mio essere, con una convinzione così potente, in una certezza che non lasciava posto a nessuna specie di dubbio che, dopo di allora, nessun ragionamento, nessuna circostanza della mia vita agitata hanno potuto scuotere la mia fede né toccarla. Improvvisamente ebbi il sentimento lacerante dell’innocenza, dell’eterna infanzia di Dio: una rivelazione ineffabile! Cercando – come ho spesso fatto – di ricostruire i momenti che seguirono quell’istante straordinario, ritrovo gli elementi seguenti che, tuttavia, formavano un solo lampo, un’arma sola di cui si serviva la Provvidenza divina per giungere finalmente ad aprire il cuore di un povero figlio disperato: ‘Come sono felici le persone che credono! Ma era vero? Era proprio vero! Dio esiste, è qui. È qualcuno, un essere personale come me. Mi ama, mi chiama. Le lacrime e i singulti erano spuntati, mentre l’emozione era accresciuta ancor più dalla tenera melodia dell’’Adeste, fideles’ […]».

Paul Claudel entrò incredulo nella cattedrale e ne uscì convertito. Il mondo moderno vive nell’incredulità ma dobbiamo pregare per la sua conversione alla fede di Notre-Dame, che è la fede cattolica. Dietro questa fede c’è una visione del mondo sacrale e gerarchica, austera e luminosa, che le vetrate della cattedrale esprimono in luce, il canto gregoriano trasforma in suono, il rito tridentino della Messa traduce in atti liturgici. Il mondo moderno pretende di distruggere questa visione del mondo che però è destinata a risorgere, come è risorta Notre-Dame, la cattedrale di luce. Il Santo Natale che si avvicina ce lo ricorda invitandoci a Betlemme, con le note dell’Adeste fideles che toccarono il cuore di Paul Claudel.

https://www.corrispondenzaromana.it/notre-dame-le-miracolose-conversioni/
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Superati, oggi usano disoccupazione e lavoro femminile. Oltre a cani e gatti nei passeggini. Senza dimenticare l'aborto: 6 milioni, come ai tempi dei nazi
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Vai a sapere:

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Diceva un generale che non sono così onnipotenti come credono
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