Fonte :
http://iltirreno.gelocal.it/livorno/cronaca/2014/04/15/news/via-la-prostata-per-errore-risarcito-con-215mila-euro-1.9051610Via la prostata per errore risarcito con 215mila euro
Uno scambio di provette con le biopsie all’origine dell’incredibile sbaglio: un imprenditore livornese di 69 anni, che era sano, è stato quindi sottoposto a un’operazione a Cisanello che l’ha reso impotente. Due dottoresse e una infermiera a processo
malasanità
IL CASO Scambio di provette, tolgono la prostata a paziente
LIVORNO. Ti tolgono la prostata sana per un errore. Poi se ne accorgono e cercano di rimediare. "Scusi ci siamo sbagliati, troviamo un accordo". La trattativa si conclude con una cifra che traduce in numeri il "disturbo" per aver subìto un'operazione non solo inutile, ma pure dannosa perché va a incidere sulla qualità della vita di una persona che finisce per caso in sala operatoria e ne resta menomato in modo permanente: 215mila euro.
È la somma che l'assicurazione dell'Azienda ospedaliera di Cisanello ha versato all'imprenditore di Livorno di 69 anni al quale nel febbraio 2011 fu asportata la prostata per uno scambio di analisi. La provetta a suo nome conteneva la biopsia di un altro malato, quello sì affetto da carcinoma. Il secondo paziente che per qualche mese ha pensato di essere in salute è stato informato dell'abbaglio, ma sapeva già di avere un tumore.
L'imprenditore livornese non si costituirà parte civile. La compagnia assicurativa ha saldato l'importo pattuito con la transazione portata avanti dal suo legale, l'avvocato Fausto Montagnani. "Ottenuto il risarcimento dall'assicurazione siamo fuori dal processo e, in caso di condanna , non ci saranno ulteriori rimborsi imposti dal giudice" chiosa l'avvocato. Il caso è seguito anche dalla Regione. L'assessore alla Salute Luigi Marroni: "I controlli sono attivati con il rischio clinico regionale, più una verifica che viene fatta dall'azienda. Ce ne scusiamo con la persona. Gli errori sarebbero da evitare tutti, ma non sempre ci si riesce".
Cosa non ha funzionato tra la biopsia e la classificazione delle provette sarà argomento su cui accusa e difesa si confronteranno in Tribunale. E sarà chiarito anche l'aspetto delle responsabilità penali di un caso di presunta malasanità in cui viene fuori quanto ancora incida il fattore umano nelle pratiche ospedaliere.
Anche se fuori dal processo, resta centrale la figura del paziente operato da sano. "È una storia che vorrei dimenticare - esordisce l'imprenditore che chiede la riservatezza dell'anonimato per le sue condizioni di salute - Al tempo stesso, però, è una vicenda che deve preoccupare tutti. C'è un'incognita non valutabile quando si entra in un ospedale. Può davvero succedere di tutto".
L'uomo racconta dall'inizio un calvario iniziato con un controllo di routine e concluso con una menomazione che lo accompagnerà per sempre. "Le prime visite le ho fatte nella clinica di San Rossore - spiega -. Avevo la prostata ingrossata e alcuni valori non erano buoni. Il consiglio del professore che mi segue è quello di fare la biopsia per capire bene se c'è qualcosa che non va". Il prelievo avviene all'ospedale di Cisanello nel dicembre 2010. "A gennaio 2011 mi chiamano dandomi l'esito delle analisi - prosegue l'imprenditore -. Purtroppo risulta un carcinoma prostatico e fissano l'intervento per febbraio".
Un intervento con l'asportazione radicale della prostata. "Per fortuna come effetto collaterale non sono diventato incontinente - aggiunge -. E meno male che dopo non mi hanno prescritto la chemioterapia. Dopo l'intervento, però, sono diventato impotente. Ogni volta che ho un rapporto sessuale sono costretto a fare iniezioni di Cavergen".
Passano alcune settimane e gli esami istologici sulla prostata asportata al livornese si trasformano in una sentenza che imbarazza chi ha avuto a che fare con questa storia. "Il chirurgo che mi ha operato non c'entra - chiarisce il 69enne -. È stata una persona squisita. L'intervento aveva basi sbagliate e lui non poteva saperlo". L'imprenditore livornese viene convocato a Cisanello per ricevere una notizia che avrebbe fatto infuriare anche un santo. "Li vedevo tutti molti amichevoli - riprende l'uomo - Con imbarazzo mi dicono: "Ci siamo accorti della sostituzione delle biopsie. La sua era negativa" (che in medicina è un bene, ndr). Mi avevano tolto la prostata ed era sana". Le tappe giudiziarie sono arrivate fino al processo. Ma l'uomo non ha perso la fiducia nella sanità e in Cisanello in particolare. "A Pisa ho trovato una grande professionalità - conclude - Al di là dell'errore, a Cisanello ci ritornerei senza pensarci due volte".
Sulla vicenda, come detto, è ancora pendente un procedimento penale. Lo scambio di provette, che ha portato all' "operazione per sbaglio", è da addebitare - secondo la Procura - a due dottoresse e a un'infermiera di Cisanello che son o state appunto rinviate a giudizio per lesioni colpose gravissime. Secondo le contestazioni incluse nella citazione diretta sarebbero state presenti al momento della biopsia, la cui successiva catalogazione ha ingenerato il l'equivoco sfociato nell'intervento da manuale degli errori subìto da un imprenditore di Livorno di 69 anni.
Ai primi di maggio compariranno davanti al giudice monocratico la dottoressa Claudia Leonetti, 62 anni, livornese, ma residente a Pisa, medico dell'unità operativa di Urologia 2 a Cisanello, difesa dall'avvocato Patrizio Pugliese; la dottoressa Irene Di Stefano, 35 anni, di Pisa, all'epoca dei fatti medico specializzando nello stesso reparto, assistita dall'avvocato Maria Luisa Bresciani; l'infermiera Cristina Conforti, 53 anni, di Pisa, rappresentata dall'avvocato Gabriele Marroni. Secondo quanto sostenuto dall'accusa, sostenuta dal pm Aldo Mantovani, le due dottoresse e l'infermiera, effettuando un prelievo istologico (biopsia prostatica) sul paziente, due mesi prima dell'operazione avvenuta nel febbraio 2011, inserirono nelle provette etichettate con il nome dell'uomo i campioni prelevati a un altro malato (affetto da carcinoma prostatico).
Il paziente che doveva essere operato era risultato sano, anche se alla fine, venne, comunque, operato perché altri esami avevano rivelato la presenza del tumore. Le posizioni delle imputate sono diverse. La linea difensiva dell'infermiera è quella di sostenere che lei, al momento della biopsia, era in un altro laboratorio e, quindi, non era materialmente presente quando sarebbe stato commesso lo sbaglio delle provette