Autore Topic: alla nascita in realtà le donne sono il 7% in meno degli uomini  (Letto 1989 volte)

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Offline gabriel

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alla nascita in realtà le donne sono il 7% in meno degli uomini
« il: Novembre 25, 2014, 21:26:40 pm »
ok magari lo sapete già ma tanto per aprire un flame  :)

http://it.wikipedia.org/wiki/Demografia_d%27Italia

sostanzialmente le donne alla nascita sono meno degli uomini,
il problema è che gli uomini muoiono molto più velocemente delle donne (come mosche direi)
anche nella fascia 0-30 anni
questo fino ai 40 anni quando donne e uomini diventano di numero uguale
e poi le donne continuano ad aumentare dai 40 in poi

avrebbe anche una ragione evolutiva pensandoci
gli uomini devono "selezionarsi"
e quelli che non riuscivano a scappare al leone morivano...
quelli che rimanevano apportavano i geni migliori alle donne ed alla popolazione
hum non so se la teoria tenga
solo due cose sono certe, le tasse e la morte.
tutto il resto è "forse"

Online Frank

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Re:alla nascita in realtà le donne sono il 7% in meno degli uomini
« Risposta #1 il: Novembre 25, 2014, 21:33:31 pm »
Be', se è per questo nel mondo ci son più uomini che donne (100 uomini ogni 99 donne*), per non parlare del fatto che prima dell' industrializzazione gli uomini vivevano mediamente più a lungo delle donne.
Ancora oggi, in alcuni paesi del terzo mondo, gli uomini vivono più a lungo; oppure lo scarto col sesso femminile è minimo.

@@

* Basterebbe informarsi sulla Cina e l' India - e non solo.

Offline COSMOS1

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Re:alla nascita in realtà le donne sono il 7% in meno degli uomini
« Risposta #2 il: Novembre 26, 2014, 19:23:53 pm »
in India e Cina ci sono fattori diversi per i quali vengono abortite di più le donne
ne abbiamo già parlato

ma la maggiore mortalità maschile post partum è un dato di fatto
dobbiamo parlare di un maschicidio molto più grave del tanto noto femmicidio ...
Dio cè
MA NON SEI TU
Rilassati

Online Frank

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Re:alla nascita in realtà le donne sono il 7% in meno degli uomini
« Risposta #3 il: Novembre 26, 2014, 19:28:56 pm »
ma la maggiore mortalità maschile post partum è un dato di fatto

Sì, su questo punto son d'accordo.
Del resto è un dato di fatto.

Online Frank

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Re:alla nascita in realtà le donne sono il 7% in meno degli uomini
« Risposta #4 il: Novembre 26, 2014, 20:04:41 pm »
Questo è un vecchio articolo segnalatomi da alcune mie conoscenze.

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Le donne mancanti: lo squilibrio demografico in India (*)

Antonella Rondinone
1. Premessa

L'interesse sempre crescente rivolto al ruolo della donna nella società odierna ha originato negli ultimi anni una notevole produzione scientifica sull'argomento. La diffusione degli studi sul genere è andata di pari passo con l'acquisizione da parte della donna dello status di individuo, ben differenziato dall'uomo dal punto di vista non solo biologico ma anche sociale (Marengo, 1996), avvenuto a partire dalla seconda metà degli anni '70 sulla scia del movimento femminista. Da allora gli studiosi di tutte le discipline, tra cui anche i geografi, si sono soffermati, ognuno nella propria ottica su questa nuova protagonista. Ma, se negli altri paesi europei e in particolare nel mondo anglosassone la ricerca geografica ha prodotto in tale ambito un filone autonomo ben definito, in Italia le voci che si sono levate sono state rare e per lo più disgiunte (Cortesi, 1996).

Questo lavoro di ricerca vorrebbe andare ad ingrossare le fila, un po' scarne, della geografia del genere, ovvero di quella geografia che nelle parole di Gabriella Arena (1990), "comporta prendere in esame i due agenti modificatori (uomini e donne) che, con la stessa incidenza, ma in modo diverso concorrono a trasformare lo spazio".
2. Meno donne che uomini

Senza l'aiuto delle statistiche, basandoci sull'intuito, si è portati a presumere che uomini e donne più o meno si eguaglino numericamente all'interno della popolazione in cui vivono. Tale intuizione, tuttavia, non corrisponde alla realtà. Il tasso di natalità, di mortalità e di mobilità, che costituiscono le principali variabili risultanti nel rapporto numerico di genere, la sex ratio (1), non sono gli stessi per la componente maschile e per quella femminile, così come variano nello spazio e nel tempo producendo alterazioni della sex ratio, anche notevoli, da un luogo all'altro.
2.1 Una panoramica mondiale

Biologicamente il rapporto numerico di genere alla nascita svantaggia la popolazione femminile (2) con una media di 94,5 ogni 100 maschi (3). Però, nel periodo neonatale essi hanno una percentuale di sopravvivenza inferiore rispetto alle femmine e successivamente il tasso di mortalità specifica per età è sfavorevole ai primi in qualunque fascia. Inoltre, le donne vivono più a lungo degli uomini per una media di circa sei anni nei paesi industrializzati, di 8 in Asia Centrale e di addirittura 10 anni nell'ex Unione Sovietica. Poiché il divario in loro favore cresce con l'avanzare dell'età (la media mondiale è di 123 ogni 100 nella fascia di età 60+, 189 ogni 100 nella fascia di età 80+ e 385 ogni 100 al di sopra dei 100 anni), la sex ratio complessiva dovrebbe favorire le donne o per lo meno tendere alla parità soprattutto se si tiene conto che ai privilegi biologici di longevità e resistenza se ne aggiungono altri rappresentati da alcune circostanze che, coinvolgendo specificamente gli uomini, come la maggior suscettibilità ad alcune malattie, le migrazioni a scopo lavorativo (4) e le guerre, ne sottraggono ulteriori quote (Gentileschi, 1991).

Nonostante tutto gli ultimi dati provenienti dalle Nazioni Unite (The world's woman, 2000) affermano che nel mondo si contano 99 donne ogni cento uomini. Ovviamente, una media eseguita su una scala così vasta non può che essere poco rappresentativa.

Fonte: Elaborazione su dati delle Nazioni Unite, 2001

Lo confermano i dati della tavola I rivelando che in alcuni paesi la sex ratio favorisce particolarmente le donne mentre in altri è notevolmente sbilanciata in senso opposto. Si tratta principalmente di India, Cina, Pakistan e Bangladesh (5), ovvero di quei Paesi che contano 95 donne ogni 100 uomini o meno.

Le stime numeriche sulle donne mancanti sono preoccupanti. Secondo il premio nobel Amartya Sen (1992) supererebbero i cento milioni in tutto il mondo mentre secondo Coale (1991) sarebbero 60 milioni e il trend non sembra cambiare rotta. In base alle stime eseguite dalle Nazioni Unite, solamente in India, sarebbero 50 milioni le donne mancanti e ed è proprio del caso indiano che mi occuperò in questo studio. Sebbene l'India non sia l'unico paese a presentare una piramide demografica squilibrata resta uno di quelli in cui il rapporto numerico di genere è per le donne uno dei più sfavorevoli nel mondo, senza dimenticare che ospita una popolazione di vaste proporzioni la cui sex ratio influenza fortemente il numero globale delle donne mancanti. Un'ulteriore ragione che lo rende un caso di studio interessante è che l'India conduce censimenti decennali da più di un secolo ed è quindi in grado di fornire una quantità di dati che non sono disponibili per gli altri paesi che presentano una struttura della popolazione analoga, rendendo così possibile eseguire analisi dettagliate e con una significativa continuità temporale. Infine, la mia seppur limitata conoscenza diretta della situazione sociale e culturale indiana rende più agevole questa indagine.
2.2 Il caso dell'India

Il 2001 è stato testimone del primo censimento del nuovo millennio ed ha aggiunto un altro tassello negativo alla storia della sex ratio femminile indiana. Fonte: Elaborazione su dati del Census of India, 2001

Prima di analizzare i fattori che concorrono allo squilibrio demografico illustrato dalla figura 1 vorrei soffermarmi su una caratteristica particolare che questo fenomeno mostra nel caso indiano, identificabile con il peggioramento del suo trend nell'ultimo secolo. Mentre è possibile fornire delle risposte, seppure indicative, sui perché dello squilibrio demografico, la ragione della continua discesa del suo trend rimane ancora una questione aperta, specialmente se si tiene conto dei miglioramenti generali che sono avvenuti negli ultimi 50 anni nel campo delle strutture igieniche e sanitarie, che hanno contribuito all'abbassamento del tasso di mortalità aggregato e all'aumento della longevità di cui generalmente si avvantaggia la popolazione femminile (Bellencin Meneghel, 1996). Mayer (1999) suggerisce che il peggioramento della sex ratio femminile è attribuibile agli effetti della discriminazione di genere amplificati dalla transizione demografica in corso che porta a far sì che il miglioramento delle strutture sanitarie e delle risorse alimentari benefìci in particolare gli uomini. In sostanza, durante la transizione, si registra una diminuzione differenziale del tasso di mortalità che ha per conseguenza l'allargamento del divario di genere.

A questo punto è necessario esaminare brevemente i possibili fattori responsabili dello squilibrio demografico. Prima di cominciare vorrei puntualizzare che la migrazione specifica per genere, componente che di norma ha un peso importante nello squilibrio demografico, nel caso indiano, date le piccole proporzioni delle migrazioni, ha effetti minimi sulla sex ratio del paese (Griffith, Matthews e Hinde, 2000) e quindi non saranno prese in considerazione.

a) Il ruolo dei censimenti nello squilibrio demografico: il problema della sottostima numerica femminile.

Vi sono persistenti evidenze che suggeriscono che nei censimenti il genere femminile ha più possibilità di quello maschile di essere numericamente sottostimato. Lo dimostrano i test d'enumerazione successivi ai censimenti eseguiti dal 1951 in poi. Nel 1981, il test di post enumerazione ha segnalato che 17,1 persone ogni mille di genere maschile non erano state registrate mentre per il genere femminile si saliva di 18,9 ogni mille.

Nel 1991 la situazione migliora leggermente mostrando un'omissione netta di 17, 3 ogni mille uomini e 17,9 ogni mille donne rivelando differenze di omissione ridotte fra le due categorie. Queste cifre, oltre ad evidenziare una diminuzione del divario di genere rilevato, dimostrano anche che la sottostima numerica può essere responsabile solamente per una piccola parte delle donne mancanti (Griffith, Matthews e Hinde, 2000). Però, sebbene questa sia l'opinione più diffusa tra gli studiosi del settore, non tutti sono d'accordo.

Inoltre esiste una divergenza, in favore delle donne, tra la sex ratio misurata dai censimenti e quella misurata dai National Family Health Survey (Nfhs) i quali ultimi utilizzano per eseguire le proprie statistiche principalmente personale femminile. Per esempio, nel 1992 il Nfhs ha rilevato, a livello nazionale, la presenza di 944 donne ogni 1000 uomini contro le 927 riportate dal censimento dell'anno precedente. L'incongruenza dei dati fa sorgere dei problemi di affidabilità che tuttavia non cambiano il problema di fondo. Considerando i dati forniti dal Nfhs la sex ratio sarebbe in ogni caso molto al di sotto della media mondiale. Perciò, anche volendo attribuire alla sottostima numerica femminile un ruolo di eccessiva importanza, considerandola un fattore rilevante per lo squilibrio demografico, da sola essa non sarebbe comunque sufficiente a spiegare una divergenza di genere di tali proporzioni.

b) La sex ratio alla nascita

La sex ratio alla nascita (Srb) si riferisce al rapporto numerico tra maschi e femmine nati in uno specifico arco di tempo ed è il fattore che influisce maggiormente sulla sex ratio globale in quanto tende ad essere costante. Tuttavia, ha un effetto inferiore sulla sex ratio del tasso di mortalità specifico per genere in quanto solo dall'1 al 4% di una popolazione nasce in un anno, e le nascite maschili raramente superano il 10% di quelle femminili, mentre la sex ratio dei decessi è spesso superiore. Il suo effetto è ancora minore su piccole popolazioni dove l'influenza delle migrazione è preponderante (Clarke, 2000).

Nel caso considerato in questa ricerca, poiché si tratta di dati su larga scala, la sex ratio alla nascita risulta significativa sia statisticamente che, in quanto particolarmente distorta, come campanello d'allarme della recente diffusione dell'aborto selettivo.

In India i dati statistici sulla Srb sono difficili da reperire ed è quindi impossibile condurre un'analisi sistematica a livello nazionale. Tuttavia, nel 2001 il Census of India, che solitamente non si occupa di queste statistiche, ha pubblicato insieme ai dati provvisori, un grafico raffigurante la sex ratio nazionale alla nascita divisa in trienni per il periodo che va dal 1982 al 1998. Per l'ultimo periodo sono strate registrate 902 nascite femminili ogni 1000 maschili. Fonte: Elaborazione su dati del Census of India 2001

Secondo il National Family Health Survey, condotto solamente due volte (1992-1993 e 1998-1999), che invece lo include tra i suoi dati, la Srb per lo stesso periodo è di 93 femmine ogni 100 maschi. In ogni caso la Srb risulta sensibilmente lontana da quella biologica.

c) La mortalità femminile in eccesso

I trend internazionali attuali dimostrano che con il miglioramento delle condizioni generali di vita, il tasso di mortalità si abbassa per tutti, ma favorisce maggiormente la popolazione femminile (6) (Bellencin Meneghel, 1996). Le statistiche riscontrano infatti, un tasso di mortalità femminile inferiore a quello maschile in ogni fascia d'età, con una differenza sul divario di longevità minore nei paesi in via di sviluppo. Tuttavia, vi sono paesi, che rappresentano un'eccezione al modello demografico corrente, in cui la mortalità femminile è più elevata di quella maschile specialmente nelle fasce di età basse.

In India la speranza di vita alla nascita, dal 1901 ad oggi, è aumentata da 23,3 a 63 anni per le donne e da 21,6 a 62 anni per gli uomini (United Nations, The World's Woman 2000). Il vantaggio di sopravvivenza delle donne, che nel 1901 era di due anni, si è attualmente dimezzato raggiungendo un livello molto basso rispetto ai modelli demografici odierni che indicano una longevità femminile superiore a quella maschile di almeno sei anni. Anche considerando esclusivamente i paesi in via di sviluppo si nota che per quanto riguarda la longevità delle donne lo svantaggio più consistente si rileva proprio nell'Asia Meridionale con in testa il Bangladesh e subito dopo l'India. In India, diversi studi sia a livello nazionale sia regionale (Das Gupta, 1987; Murthi, Guio e Dreze, 1995; Das Gupta e Mari Bhat, 1997) hanno mostrato come ciò sia attribuibile ad una mortalità femminile più alta in tutte le fasce di età ma soprattutto durante l'infanzia. Scendendo nei dettagli Das Gupta (1987) ha rilevato che in Punjab, uno degli stati più ricchi dell'India, la mortalità maschile nella fascia neonatale è più alta di quella femminile ma che dal primo mese in poi fino ai successivi 49 la mortalità femminile è superiore a quella maschile. I dati provenienti dal National Family Health Survey (Nhfs-1, 1992-93 e Nhfs-2, 1998-1999) confermano a livello nazionale ciò che Das Gupta aveva rilevato nel 1987 per il Punjab, ovvero, che la fascia neonatale è l'unica in cui il tasso di mortalità è più alto per i maschi che per le femmine dimostrando che la mortalità femminile in eccesso è un importante causa della discrepanza numerica tra uomini e donne.
3. Geografia della sex ratio: un'analisi regionale

L'India è divisa in 35 stati, distribuiti su un territorio molto vasto, che presentano grosse differenze economiche, culturali, sociali e anche demografiche. Tuttavia, una sex ratio sfavorevole alle donne è riscontrabile in tutti gli stati dell'India ad eccezione del Kerala, unico caso in cui, nell'ultimo secolo, la sex ratio ha sempre superato la parità e, al contrario del modello nazionale, dal 1901 ad oggi è sempre stata in ascesa. Per quanto riguarda gli altri stati il numero percentuale di donne decresce man mano che ci si sposta verso nord. L'Uttar Pradesh o il Punjab hanno una sex ratio femminile che è tra le più basse del mondo.

Fig. 3 - La sex ratio in India nel 2001. Divisione per stati
Fonte: Census of India 2001

Come mostra la carta è possibile raggruppare geograficamente gli stati con una sex ratio molto sfavorevole alle donne esclusivamente nel nord e quelli con una sex ratio ad esse favorevole a sud tanto da rendere indispensabile un'analisi dei possibili elementi comuni che ne sono la causa.

Tra gli stati del nord ce ne sono alcuni come il Rajasthan, l'Uttar Pradesh e il Bihar collocabili tra quelli più densamente popolati e più poveri dell'India con infrastrutture scarse e con un tasso di analfabetismo femminile molto alto -che raggiunge rispettivamente il 56,7%, il 57% e il 66,4% di donne analfabete (7)- però ce ne sono anche altri, come il Punjab, l'Haryana o Delhi, tra i più ricchi ed economicamente sviluppati. Il Punjab, ad esempio, che possiede un'economia prevalentemente agricola, ha notevolmente beneficiato della Rivoluzione Verde e della riforma agraria ottenendo un apprezzabile incremento del tenore di vita. Oggi, in Punjab, la maggior parte dei coltivatori possiede i terreni che coltiva, le infrastrutture sono tra le migliori del paese e l'analfabetismo femminile è in discesa. Nella stessa posizione troviamo l'Haryana, che fino al 1966 faceva parte del Punjab, il cui reddito pro capite, attualmente in crescita, è tra i più alti dell'India (George e Dahiya, 1998).

Elevati livelli di sviluppo economico portano ovviamente ad una maggiore disponibilità di risorse alimentari, igieniche e sanitarie che migliorando le condizioni di vita, influiscono positivamente sulla speranza di vita e sul tasso di mortalità. Questa affermazione, però, apre una serie di problematiche non facilmente risolvibili. I numeri dimostrano che il benessere provoca un abbassamento generale del tasso di mortalità ma non influisce positivamente sul tasso di mortalità femminile specialmente nelle prime fasce d'età (8). Se la discriminazione nell'accesso alle risorse non è dettata dalla disponibilità, come dimostra il fatto che la sex ratio è particolarmente sfavorevole alle donne proprio nelle zone economicamente più evolute, in casi di abbondanza le donne sono doppiamente svantaggiate. Risulta quindi chiaro che la possibilità di accedere alle risorse dipende dal valore che la famiglia, e più in generale il gruppo sociale, attribuisce alla donna facendo si che tra le famiglie benestanti del Punjab le bambine abbiano meno possibilità di sopravvivenza che tra le varie tribù sparse per il territorio indiano nonostante queste ultime appartengano alle fasce più basse della scala economica e sociale.

Kishor (1993) è stata la prima a condurre un'analisi approfondita sull'impatto che le diverse variabili, economiche e non, potessero avere sul raggiungimento di una sex ratio sfavorevole alle donne. Prima di lei Rosenzweig e Shultz (1982) eseguendo uno studio a livello familiare, avevano riscontrato una relazione positiva tra la partecipazione lavorativa delle donne e la diminuzione della mortalità femminile in eccesso nelle fasce basse di età. Nel nord dell'India, dove prevale il grano, che richiede soprattutto l'utilizzo di mezzi meccanici, si registra un tasso di partecipazione lavorativa delle donne inferiore a quello rilevato nel sud dove la coltura principale, il riso, impone un lavoro agricolo manuale intensivo.

Successivamente Dyson e Moore (1983), utilizzando dati statistici nazionali, mostrarono che il tasso di mortalità era invece principalmente correlato alle strutture familiari. Negli stati dell'India del Nord, dove si registra un alto tasso di mortalità femminile, si riscontra anche l'età al matrimonio più bassa oltre al tasso di fertilità e di mortalità infantile più alto. Ciò che accomuna socialmente questi stati è una struttura familiare caratterizzata dall'esogamia patrilocale dove le spose provengono da famiglie diverse e luoghi lontani. Abbandonando la famiglia di origine per andare a far parte della famiglia dello sposo le donne non sono in grado di fornire alcun supporto al proprio nucleo familiare dal quale sono considerate come uno spreco di risorse che andrà a beneficiare qualcun altro. Nelle famiglie caratterizzate dall'esogamia patrilocale l'aiuto in caso di bisogno proviene sempre dai parenti di sesso maschile, che di conseguenza godono di uno status familiare e sociale più elevato, escludendo inoltre le donne dall'eredità. In contrasto, gli stati del sud, dove la differenza di genere nel tasso di mortalità è relativamente bassa, i matrimoni sono principalmente endogami e alle donne, in alcuni casi, è permesso ereditare le proprietà di famiglia.

Kishor, mettendo insieme i fattori economici e non, considerati separatamente negli studi precedenti, è arrivata alla conclusione che per fornire delle risposte soddisfacenti sulle motivazioni che concorrono alla formazione della sex ratio sfavorevole alle donne registrata in India è indispensabile prendere in considerazione sia le componenti sociali che quelle economiche perché, sebbene i fattori economici rivestano un ruolo importante, sono i fattori culturali ad aver l'influenza maggiore sulle variazioni del tasso di mortalità, anche se il basso valore culturale attribuito alla donna e il basso valore economico tendono a rinforzarsi a vicenda.
4. Dietro la discriminazione di genere: lo status della donna in India

Con l'indipendenza, nel 1947 l'India, ha legalmente riconosciuto ai suoi cittadini l'assoluta uguaglianza accordando a tutti gli stessi diritti e doveri. Ha, inoltre, abolito le leggi discriminatorie provenienti da secoli di consuetudini religiose che organizzavano la società in una gerarchia incontrastabile che poneva la donna ai livelli più bassi. Legalmente la situazione è notevolmente migliorata grazie anche all'opera dei vari movimenti di riforma che, interessandosi alle molte problematiche femminili, hanno stimolato la promulgazione delle leggi per la tutela dei loro diritti e per l'abolizione di usanze centenarie quali l'immolazione della vedova, il matrimonio infantile, l'impossibilità della vedova di contrarre un ulteriore matrimonio e la poligamia. Infatti, oggi la legge concede alle donne il diritto all'eredità, all'aborto, al divorzio, punisce severamente la violenza carnale e proibisce la dote. Tuttavia, de facto, le vecchie istituzioni come le caste, la famiglia patriarcale, e tutte le usanze contro cui sono state promulgate le numerose norme giuridiche proseguono più o meno indisturbate mentre i precetti religiosi, fondati sulla nozione della superiorità maschile, regnano ancora con incontrastato vigore. A prima vista, la presenza di donne istruite che lavorano e godono di una certa emancipazione, generano l'impressione, confermata dalla presenza femminile nelle alte sfere politiche e professionali, che lo status delle indiane sia notevolmente migliorato. Questa impressione però, al di là di una vaga parvenza, non trova conferma nella realtà in quanto esse rappresentano l'esigua minoranza di coloro che hanno la fortuna di appartenere alle classi medie e alte della società e di risiedere nelle aree urbane. Nei paesi, nei villaggi e in generale nelle zone rurali che in India, oltre ad ospitare la maggior parte della popolazione, sopravanzano nettamente quelle urbane, le donne risentono ancora di una notevole oppressione sociale ed economica. La maggior parte delle donne che lavorano oggi in India sono mosse dallo stato di necessità e non dal desiderio di autonomia economica e sociale esattamente come accadeva nella nostra società qualche decennio addietro quando l'accettazione di lavori precari e dequalificanti da parte delle donne (i settori professionali erano d'appannaggio maschile) si poneva come espediente per risolvere questioni economiche di fronte ad una cultura che esaltava i valori domestici della femminilità (Bonora, 1990).

Per una donna indiana la discriminazione non rappresenta una possibilità ma una certezza che, cominciando ancora prima della nascita, l'accompagna per tutta la vita. Se le sarà concesso di nascere e di continuare a vivere, una bambina verrà trattata con disparità rispetto ai suoi fratelli maschi, sarà discriminata all'interno della sua stessa famiglia nell'accesso al cibo e alle cure mediche compromettendo seriamente la sua sopravvivenza. Per tutta la vita avrà uno status inferiore rispetto a quello degli uomini e, nella maggior parte dei casi, non godrà di alcuna indipendenza. Se i genitori potranno pagare una dote adeguata verrà data in sposa il prima possibile diventando così di proprietà assoluta del marito che si sentirà in diritto di dominarla e spesso anche di maltrattarla.
5. La preferenza per il figlio maschio

Uno studio eseguito dal National Family Health Survey dimostra che la composizione ideale della famiglia indiana è di due figli maschi e una figlia femmina e durante il sondaggio solo il 7% delle intervisteta ha risposto che il sesso del nascituro non ha importanza. La preferenza espressa non si limita ai sondaggi d'opinione ma si ripercuote sul tasso di mortalità infantile che, contrariamente alla tendenza biologica, pone in netto svantaggio il genere femminile. Fig. 4 - Tasso di mortalità infantile da 0 a 5 anni
Fonte: Elaborazione su dati del Nfhs-2, 1998-1999

Il grafico, suddividendo la prima fascia d'età in tre sottogruppi classificati come neonatale, post neonatale, e infantile, mostra come durante il primo mese la mortalità sia considerevolmente maggiore per i maschi mentre scende fino quasi ad eguagliare il tasso di mortalità femminile nel periodo post neonatale per mostrarsi decisamente avversa alle bambine tra il primo e il quinto anno di vita.

I demografi sembrano concordare sull'esistenza di una serie di norme relative ai fattori che influenzano i modelli di mortalità da 0 a 5 anni e, sebbene in situazioni particolari esse possano essere stravolte (9), sono ritenute valide nella maggior parte dei casi.

1. La mortalità neonatale è principalmente influenzata da fattori endogeni ovvero da fattori biologici e fisiologici legati alla salute della madre, del feto e alle circostanze del parto.
2. La mortalità post neonatale è influenzata principalmente da fattori esogeni legati all'ambiente fisico come il rischio di infezioni, le malattie dell'apparato respiratorio o le malattie virali.
3. La mortalità infantile è principalmente influenzata da fattori legati alla discriminazione.

Secondo il grafico, il tasso di mortalità maschile, superiore nel periodo neonatale, registrato dalle statistiche indiane è l'unico ad essere in linea col trend mondiale. Questa è anche l'unica fascia in cui le condizioni biologiche hanno un'influenza superiore a quelle sociali e quindi i maschi, che geneticamente risultano essere più deboli e inclini a contrarre virus e infezioni, hanno un tasso di mortalità più elevato.

Successivamente però, quando i fattori di origine sociale fanno la differenza, il tasso di mortalità sfavorisce fortemente il genere femminile dimostrando chiaramente che la discriminante non è di origine biologica.
5.1 L'importanza del figlio maschio

Le motivazioni della preferenza per il figlio maschio derivano da un intreccio di fattori che partendo da problematiche religiose, ne richiedono la presenza per il compimento del rito finale che aprirà la strada della beatitudine ai defunti e giungono alle più terrene motivazioni economiche.

La società indiana si fonda su un modello familiare patriarcale in cui i figli maschi rimangono nella casa natale, innestando il proprio nucleo su quello preesistente, mentre le figlie femmine si sposano appena raggiunta la pubertà sparendo completamente dall'orizzonte familiare.

In generale un nucleo riceve un maggiore ritorno economico dai figli maschi in quanto essi, più delle loro sorelle, amministreranno le proprietà o gli affari, indipendentemente dalla loro quantità o qualità, porteranno un salario e si occuperanno dei genitori durante la vecchiaia. A questo si aggiunge che un figlio maschio con il matrimonio darà alla casa una sposa che, oltre a fornire un aiuto domestico non retribuito, arricchirà la nuova famiglia con la cospicua dote che è costretta a portare con sé al momento del suo ingresso.

Un maschio è ritenuto una fonte di ricchezza e ogni cura spesa per il suo benessere è considerata un investimento. Per quanto riguarda le femmine la situazione è ben diversa: una figlia abbandona la casa del padre al momento del matrimonio e da allora in poi non contribuirà più in alcun modo al ménage d'origine. Inoltre, come conditio sine qua non alla celebrazione delle nozze, la sua famiglia deve pagare al futuro marito una cospicua dote e, poiché è socialmente inaccettabile che una donna non si sposi, ciò diventa fonte di grande preoccupazione per i genitori fin dalla sua nascita. Perciò, mentre avere un figlio maschio conferisce stabilità economica e prestigio, avere una figlia femmina è sentito come una grande sfortuna e spesso come un peso di cui liberarsi. Tuttavia, non tutte le figlie sono indesiderate e non tutte si trovano ad affrontare la discriminazione con la stessa intensità. I dati sulla differenza della mortalità infantile per genere e per ordine di nascita mostrano un grosso aumento della mortalità tra le bambine che hanno già dei fratelli o delle sorelle ed è specialmente alta dopo la terza nascita. Le nascite successive alla terza rispondono generalmente al tentativo da parte di una coppia di raggiungere il numero di prole maschile desiderato e il forte aumento del tasso di mortalità infantile femminile negli alti ordini di nascita indicano un chiaro esercizio discriminativo nei loro confronti. Ciò mostra che il fardello dell'eccesso di mortalità cade principalmente sulle bambine negli ordini di nascita elevati.
5.2 Com'è raggiunta la composizione familiare desiderata

Biologicamente non è sempre possibile ottenere la composizione familiare desiderata e, nel tentativo di partorire l'indispensabile progenie maschile, molte donne continuano la procreazione dando alla luce un numero di bambine superiore a quello auspicato.

Una figlia femmina, desiderata o meno, è discriminata rispetto ai fratelli maschi nell'accesso alle risorse all'interno del nucleo domestico: riceve meno cibo e di qualità inferiore, partecipa delle cure mediche più raramente, ottiene un'istruzione inferiore e meno attenzioni in generale. Nel caso di una figlia indesiderata, tale discriminazione, oltre ad essere d'intensità superiore è, in alcune circostanze, specificatamente volta allo scopo di eliminarla.

Quantizzare i fattori di negligenza non è un'operazione semplice perché la trascuratezza risultante in un decesso è applicata in modo altamente selettivo a un sottogruppo specifico di figlie femmine. In teoria sarebbe possibile raggiungere un tasso di mortalità sufficiente a produrre una sex ratio fortemente squilibrata negando unicamente un input cruciale a una piccola porzione della popolazione femminile. E se questo input fosse, ad esempio, la prontezza nell'ottenere terapie mediche adeguate sarebbe molto difficile da catturare nelle statistiche.

Tuttavia, nonostante la difficoltà di misurazione, ci sono evidenze che mostrano la differenza di genere con cui vengono somministrate le cure.
Fig. 5 - Situazione della malnutrizione e delle vaccinazioni nelle aree rurali dell'India nel 1999
Fonte: Pande, 2000

Il grafico 5 mostra come in generale i casi di malnutrizione siano più diffusi tra le femmine e la percentuale aumenta se nella famiglia ci sono altri bimbi di sesso femminile. Altrettanto si riscontra nella distribuzione delle cure mediche. Lo stesso grafico evidenzia la differenza di accesso alle vaccinazioni tra bambini e bambine e, il fatto che le femmine incontrino una discriminazione nell'ottenere anche quei presidi medichi che, come le vaccinazioni, sono distribuiti gratuitamente e attraverso campagne capillari, fa presupporre che ne subiscano molta di più se vi è un costo monetario.

Nonostante i vari livelli di discriminazione, più o meno intenzionale, nell'accesso alle risorse, a volte la necessità di eliminare velocemente il problema di una nascita femminile porta a cercare soluzioni più drastiche e rapide.
6. L'infanticidio femminile

L'infanticidio è una pratica storicamente conosciuta in diverse culture compresa quella indiana dove sembra antica di secoli anche se prima della colonizzazione inglese non si sa molto a riguardo. Ciò che si sa invece è che all'arrivo degli inglesi come governatori, nella seconda metà del '700, l'infanticidio era una pratica fiorente tra alcune caste dell'India settentrionale. Il primo incontro con l'usanza gli inglesi lo ebbero in Bengala nel 1789. Successivamente si resero conto che essa era diffusa in tutti gli stati del nord e del centro tra le caste alte e di origine guerriera quali i Rajput, i Jat, gli Ahir, i Gujar e i Khutri. I resoconti erano preoccupanti: nel 1808 nella provincia di Baroda (oggi Vadodara), nel Gujarat, 1.250.000 di famiglie di Jadeya Rajput ogni anno eliminavano circa 20.000 neonate di sesso femminile, nel 1851 in Punjab si registrò che tra i Bedi, una casta Sikh, non nascevano femmine da 400 anni, nel 1856 in Uttar Pradesh in 78 villaggi controllati dai Suryavamsh Rajput su 721 maschi tra 0 e 6 anni c'erano solo 129 femmine e la lista continua a lungo (Vishwanath, 1998). Per quanto riguarda il sud dell'India ci sono pochi riferimenti all'infanticidio e, sebbene fosse praticato, sembra aver avuto un'intensità minore e comunque non risulta che gli inglesi vi abbiano prestato attenzione (10).

Per cercare di porre un freno alla pratica, nel 1870 venne promulgato il Female Infanticide Act da parte del Consiglio del Viceré che lo sancì come un'azione criminale punibile dalla legge. Questa presa di posizione del Governo Britannico invece del risultato sperato ebbe come unico effetto quello di rendere la pratica più segreta tanto da rendere difficile qualunque stima numerica, anche se da allora fino ad oggi tutti i censimenti hanno incluso l'infanticidio tra le cause del divario di genere.

Naturalmente non è facile raccogliere dati su una pratica considerata criminale dalla legge indiana specialmente attraverso gli organi ufficiali. Inoltre la necessità di vincere la ritrosia delle persone a dare informazioni in proposito rende questo tipo di ricerche estremamente lunghe e complicate soprattutto su aree estese.

Esistono però dati disponibili in proposito riguardanti aree ristrette provenienti da studi eseguiti da organizzazioni accademiche, associazioni non governative, ricercatori indipendenti o commissionati da uffici governativi specifici dei singoli stati. Generalmente queste indagini si sono concentrate in aree notoriamente problematiche e hanno dimostrato che di solito le zone in cui si pratica l'infanticidio tendono ad essere contigue con un centro, in cui il fenomeno si registra con maggiore intensità, e una periferia verso la quale esso si irradia.

Un esempio si trova in Madhya Pradesh, uno stato del centro nord, dove il censimento del 1991 aveva registrato una sex ratio alla nascita di 837 femmine ogni 1000 maschi e nella fascia di età da 0 a 6 anni di 500 femmine ogni 1000 evidenziandola come una regione problematica. Nel 1997, due ricercatori (Premi e Raju, 1998), riconfermando con qualche piccola variazione le statistiche rilevate dal censimento, decisero di verificare se l'ampia discrepanza di genere rilevata potesse essere attribuibile all'infanticidio.

Lo studio si concentrò sui cinque villaggi del distretto di Bhind in cui la sex ratio risultava più sfavorevole al genere femminile. I risultati della loro ricerca mostrarono che tra alcune caste il numero di donne era particolarmente basso: la discrepanza di genere più accentuata venne rilevata tra i Gujar dove si contarono 392 donne ogni 1000 uomini; seguivano gli Ahir con 400 e Rajput con 417. Tutte le caste menzionate sono di origine guerriera e appartengono agli alti strati della società oltre a figurare tra quelle citate nei rapporti inglesi del periodo coloniale come ree di infanticidio segnandone, come spesso accade, la continuità storica.

Durante lo studio furono inoltre esaminati i Village Death Ragister dai quali si rilevò ad esempio che nel 1997 di 43 decessi infantili registrati 36 riguardavano neonati di sesso femminile e 21 di essi erano avvenuti entro il settimo giorno di vita. La causa della morte era generalmente attribuita alla polmonite, anche se essa era sopravvenuta durante il primo giorno di vita, oppure ad un cambiamento repentino nel colore dell'incarnato. L'inesistenza di spiegazioni scientifiche che giustificano l'occorrenza di tali patologie unicamente sui neonati di sesso femminile, sommata alle testimonianze raccolte durante lo studio, lascia presupporre che nella maggior parte dei casi si tratta d'infanticidio.

Nel distretto considerato vige la tradizione secolare dell'ipergamia, il costume di maritare le donne con uomini di status sociale superiore, che oggi, come nel periodo coloniale, rende difficile oltre che tremendamente dispendioso per una famiglia appartenente alle caste alte trovare uno sposo adatto per le proprie figlie. Inoltre, durante la cerimonia matrimoniale viene stabilita la superiorità della famiglia dello sposo rispetto a quella della sposa e più cerimonie matrimoniali significano ripetute sottomissioni che non è una questione da poco per la fierezza delle caste guerriere.

Nel contiguo stato del Bihar, uno dei più poveri e arretrati dell'India e abitato da circa il 10% della popolazione indiana, opera un'organizzazione non governativa chiamata Adhiti. Fondata nel 1988 da Viji Srinivasan e finanziata da diverse organizzazioni internazionali, Adhiti ha lo scopo di migliorare le condizioni di vita degli abitanti del Bihar attraverso molteplici programmi d'istruzione e di finanziamento diretti alle donne. Negli anni '90 iniziò un programma di addestramento sanitario diretto al vasto numero di levatrici di sette distretti contigui del Bihar dalle quali cominciò ad emergere la realtà dell'infanticidio. Una levatrice tradizionale, dai, viene pagata il doppio della sua tariffa se a nascere è un maschio anziché una femmina e dieci volte tanto se solleva la famiglia dall'onere di aver dato alla luce un bambino del sesso sbagliato. Nei sette distretti in cui opera Adithi ci sono circa 68.000 levatrici e secondo le loro stesse stime ognuna di loro uccide almeno due bambine al mese producendo un totale annuo di 1.632.000 infanticidi (Sudha e Raja, 1998; Jordan, 2000).

Il Bihar e il Madhya Pradesh non sono gli unici stati del nord in cui è diffuso l'infanticidio. In Rajasthan ad esempio ci sono interi villaggi in cui non nascono bambine da decine di anni anche se come si vedrà successivamente, negli stati in cui la preferenza per il figlio maschio è forte e il benessere economico mette a disposizione i mezzi per determinare il sesso del nascituro il problema viene risolto con l'aborto selettivo.

La sorpresa arriva da uno stato del sud dell'India che in generale sembra essere meno acutamente discriminatorio nei confronti del genere femminile. Da quando nel 1986 si venne a sapere attraverso la stampa che nel distretto di Madurai, in Tamil Nadu si erano verificati diversi casi d'infanticidio varie indagini sono state eseguite per verificarne l'estensione. Uno studio cominciato nel 1987 (George, Abel e Miller, 1998) su un campione di 12 villaggi non contigui nel distretto di Ambedkar ha monitorato per 3 anni, con visite regolari ogni 10-12 giorni, tutte le gravidanze avvenute su una popolazione di 13.000 abitanti producendo una serie di dati insolitamente affidabili. In tre anni i ricercatori hanno accertato che nei 12 villaggi studiati l'infanticidio ha costituito il 72% dei decessi femminili e il 33% dei decessi complessivi.

Uno studio successivo eseguito nel 1996 (Chunkath e Athreya, 1997) dall'allora commissario per il Maternal and Child Health and Welfare del Tamil Nadu, Sheela Rani Chunkat, ha allargato il panorama sull'estensione dell'infanticidio femminile evidenziando quattro distretti del Tamil Nadu in cui l'infanticidio femminile è molto diffuso, Dharmapuri, Madurai, Salem e Ambedkar che formano una specie di centro d'irradiazione da cui il fenomeno si espande in modo meno intenso verso altri quattro distretti contigui. I risultati dello studio sono in parte riassunti nella tavola seguente.

Fonte: Chunkath e Athreya, 1997

Dei 24 distretti del Tamil Nadu solo in 8 è stata registrata la pratica dell'infanticidio, ma dove la pratica è in vigore, la percentuale dei casi di infanticidio sul tasso di mortalità femminile neonatale è considerevole.

I metodi per raggiungere lo scopo sono vari. Generalmente si adopera una delle molteplici tecniche di soffocamento inserendo nella gola della neonata del tabacco, dei grani di riso o degli impasti ottenuti mescolando insieme acqua e cereali. In alternativa si utilizza un panno bagnato, un cuscino, si annega la neonata in un secchio d'acqua o la si seppellisce in un vaso di terracotta, successivamente sigillato, dove la piccola può resistere fino a due ore prima di soffocare. A volte vengono anche impiegati veleni e pesticidi che provocano il decesso della neonata attraverso convulsioni ed emorragie.

Nelle zone in cui è praticato, l'infanticidio è utilizzato come un metodo di pianificazione familiare per raggiungere la composizione familiare desiderata. In questi casi, poiché si vuole limitare solamente il numero di figlie femmine e non il numero di figli, l'uso di metodi anticoncezionali non è considerato appropriato.
7. L'aborto selettivo

In una realtà sociale sfavorevole al genere femminile e già interessata all'infanticidio, la legalizzazione dell'aborto e l'arrivo in India dell'amniocentesi, entrambi avvenuti a pochi anni di distanza negli anni '70, e successivamente delle altre tecniche che permettono di conoscere il sesso del nascituro hanno provocato l'insorgere del fenomeno dell'aborto selettivo come mezzo per liberarsi delle figlie indesiderate.

Attualmente, sebbene la legge lo abbia vietato nel 1994 (11), il test per l'identificazione del sesso del feto, eseguito con varie tecniche è ampiamente disponibile anche nelle aree rurali più remote. L'amniocentesi, che resta ancora oggi il metodo più diffuso, è praticata in migliaia di ospedali, cliniche e ambulatori, sebbene spesso tali luoghi non siano altro che strutture improvvisate prive perfino delle attrezzature mediche essenziali.

Accanto all'amniocentesi si trova l'ecografia che grazie alla sua maneggevolezza, alla semplicità di attuazione e al basso costo si sta rapidamente diffondendo anche se, rivelando il sesso del feto attraverso l'immagine, è utilizzabile solamente ad uno stadio avanzato della gravidanza, portando ad aborti tardivi e rischiosi. Malgrado ciò, poiché in India l'aborto è praticabile a discrezione del medico fino alla ventesima settimana, l'ecografia viene comunque utilizzata a questo scopo.

Da quando, nel 1979, è stata aperta la prima clinica specializzata, la scienza medica e la tecnologia moderna sono state abusate in tutti i modi possibili per soddisfare le richieste sociali che impongono ad ogni donna di partorire almeno un figlio maschio. Le cliniche che effettuano i test si sono moltiplicate e sono tuttora in crescita, rendendo possibile ad ogni donna conoscere il sesso del bambino che porta in grembo. Prima che la legge lo rendesse illegale le cliniche, gli ospedali e tutti coloro che erano disposti ad eseguire il famigerato test si lanciarono in un'aggressiva campagna pubblicitaria che tramite poster, volantini, mediatori e qualunque altro mezzo possibile, propagandavano il servizio a prezzi stracciati. Ma fu l'ecografia a segnare il momento di svolta, offrendo la possibilità anche alle donne residenti nelle zone rurali più remote di accedere al test grazie ad automezzi itineranti attrezzati allo scopo.

La legislazione, che proibisce l'utilizzo di qualunque tecnica per l'individuazione del sesso del nascituro, a causa delle sue difficoltà d'implementazione non sta riportando i risultati sperati. La possibilità di liberarsi di una figlia femmina indesiderata è una problematica che tocca tutti gli strati sociali, non escludendo neppure coloro che dovrebbero fare in modo che la legge sia applicata. E se negli ospedali pubblici non è più possibile adoperare apertamente la tecnologia per conoscere il sesso del nascituro si continua a farlo aggirando la legge, senza contare che, comunque, il servizio è disponibile per chiunque lo desideri nel settore privato dove i medici continuano ad agire indisturbati alzando il prezzo del servizio per compensare il rischio.

Il divieto di servirsi di qualunque tipo di tecnica per l'identificazione del sesso del nascituro, imposto dallo stato indiano, non ha ostacolato l'attività. Dalla sua promulgazione nessuno è stato condannato per aver infranto la legge (Mudur, 1999) né tra i medici, che rivelano il risultato solo oralmente e senza lasciare tracce, né tra le pazienti che se mai intendessero farlo, senza una prova scritta, non avrebbero alcuna possibilità di intentare una causa.
7.1 La fortuna dell'aborto selettivo

L'aborto selettivo permette di raggiungere lo stesso scopo dell'infanticidio con un peso psicologico inferiore e con un atto permesso dalla legge. Avendo la possibilità di individuare una femmina precedentemente alla sua nascita si può eliminarla prima che tale atto diventi un crimine, sebbene ciò non sia sufficiente a risolvere il dilemma morale.

I precetti raccolti nell'antica letteratura sacra, su cui si basa una discreta porzione dell'odierna morale hindu, condannano apertamente l'aborto in qualsiasi stadio della gravidanza considerandolo tra gli atti peggiori che un uomo possa commettere.

Però, al di là della questione morale e religiosa, mentre l'infanticidio è a tutti gli effetti un omicidio e come tale è considerato dalla legge dello stato indiano, con l'aborto la situazione è leggermente diversa e sicuramente più confusa. Esso è condannato dai precetti religiosi e dalla morale comune ma è reso legale dallo stato secolare. Inoltre la determinazione del sesso del nascituro, sebbene sia proibita dallo stato, è garantita da un nuovo strumento tecnologico che ottiene l'accettabilità in quanto metodo scientifico e apparentemente neutrale. Il fatto che sia il test che l'interruzione della gravidanza siano eseguiti da medici professionisti, generalmente investiti di valore morale positivo, secondo il demografo indiano Satish Agnihotri (2000), legittimerebbe l'eliminazione di un bambino in base al suo sesso spostando la questione dal "se" al "come" eseguirla. Quindi, chi può economicamente permettersi di risolvere il problema di una figlia indesiderata attraverso la tecnologia moderna e per mano di professionisti in camice bianco, ricorre all'aborto selettivo mentre chi non può cerca alternative meno costose perché ormai l'atto in sé è stato legittimato.

E comunque l'accettabilità etica da sola non rappresenta la conditio sine qua non all'aborto selettivo. Lo conferma uno studio condotto in Punjab dimostrando che, sebbene il 72% delle donne intervistate ritenesse l'aborto "un peccato pari all'omicidio e un rifiuto della volontà di Dio", il 95% si dimostrò favorevole ad un'interruzione della gravidanza se il feto in questione era di sesso femminile (Kaur, 1993).
7.2 Dove si pratica

L'aborto selettivo è largamente diffuso in tutti gli stati del Nord dell'India dove la preferenza per il figlio maschio si esprime con punte particolarmente preoccupanti in Punjab, in Haryana e in Uttar Pradesh denominato da Agnihotri il "Bermuda Triangle where girls go missing".

Generalmente l'aborto selettivo coesiste con l'infanticidio femminile anche se negli stati più prosperi dove le strutture mediche e la tecnologia per l'identificazione del sesso del feto sono maggiormente diffuse, come l'Haryana e il Punjab, ha quasi totalmente sostituito l'infanticidio. In questi due stati è molto comune che una donna si sottoponga ripetutamente ai test e all'aborto finché non ha raggiunto il numero di figli maschi desiderati, nonostante questo metta in serio pericolo la sua salute. È molto difficile parlare di numeri nel caso dell'aborto selettivo in quanto non esistono statistiche ufficiali né a livello nazionale né a livello regionale, così come non si conosce il numero esatto delle cliniche che eseguono gli esami perché molte di esse non sono registrate e operano clandestinamente. In molti casi, tali cliniche non sono altro che un medico con una siringa in mano o un'auto che trasporta l'attrezzatura per eseguire l'ecografia di villaggio in villaggio, rendendo tremendamente ardua la compilazione di qualunque statistica. Infatti, i dati disponibili sono discontinui e generalmente sono il risultato di stime e proiezioni.

Uno studio retrospettivo ha stimato che tra il 1978 e il 1982 erano stati eseguiti in India 78.000 aborti avvenuti in seguito al test di identificazione del sesso del feto. Un'analisi successiva realizzata nel 1996 sui dati provenienti dal Registrar General of India, basati unicamente sulle registrazioni ospedaliere avvenute tra il 1993 e il 1994, riportava l'aborto di 360.000 feti di sesso femminile (Sudha e Raja, 1998).

Negli anni immediatamente precedenti alla promulgazione del The Pre-natal Diagnostic Techniques (Regulation and Prevention of Misuse) Act, ricerche indipendenti eseguite da volontari e da giornalisti riportavano la presenza massiccia di cliniche per l'individuazione del sesso del nascituro operative in Uttar Pradesh, Madhya Pradesh, Delhi, Punjab, Haryana, Bengala, Goa, Gujarat e Maharashtra.

Un'indagine compiuta nel 1996 in sei villaggi del distretto di Rothak, nello stato dell'Haryana, su un campione di 1.022 donne ha mostrato che il 16,8% dei feti di sesso femminile erano stati abortiti negli ultimi 5 anni tra le caste alte, puntualizzando che le donne si sottopongono al test non solo se hanno già delle figlie femmine ma anche se si tratta della prima gravidanza (George e Dahiya, 1998). I ricercatori hanno rilevato inoltre, che l'ecografia è estesamente abusata per conoscere il sesso del nascituro e che sempre più medici stanno acquisendo le attrezzature necessarie per eseguirla. Molti di essi allestiscono ambulatori mobili su autovetture per spingersi anche nelle zone più remote e l'unica differenza notata dopo la promulgazione della legge che rendeva i test illegali è stato il raddoppio del loro costo.

Non si sa con esattezza quanti feti di sesso femminile siano abortiti ogni anno in quanto l'interruzione selettiva della gravidanza è un fenomeno recente che ha interessato l'ultimo ventennio e sono quindi poche le ricerche sul campo al riguardo ma secondo The Indian Medical Association il 42% dei feti di sesso femminile verrebbero abortiti ogni anno contro il 25% dei feti di sesso maschile per un numero complessivo di 5.000.000 di feti di sesso femminile (Ramachandran, 2001)
8. Le donne mancanti: una stima numerica

Prendendo come riferimento la sex ratio mondiale che conta 990 donne ogni 1000 uomini, secondo i dati forniti dal Census of India 2001, all'appello mancherebbero circa 30 milioni di donne. Tuttavia la sex ratio mondiale è profondamente influenzata dalla discrepanza di genere riscontrata in una popolazione di così ampia portata come quella indiana o quella cinese, che mostra analoghe caratteristiche, e non può quindi considerarsi adeguatamente rappresentativa, fornendo un stima delle donne mancanti inferiore al numero reale. Eseguendo il calcolo utilizzando la sex ratio del Kerala, che è la più alta tra gli stati indiani e che conta 1058 donne ogni 1000 uomini, la cifra salirebbe oltre i 62 milioni.

Ma quali saranno le conseguenze a lungo termine di una sex ratio così sfavorevole al genere femminile? La scarsità di donne, aumenterà il loro prestigio come sostengono i propugnatori dell'aborto selettivo o peggiorerà ulteriormente la qualità della loro vita? Storicamente non esistono modelli simili di così ampia portata per avere qualche riferimento precedente, tuttavia paragonare le donne ad un bene di consumo la cui scarsità ne fa aumentare il valore, non fa certamente intravedere prospettive rassicuranti. In una società così fortemente patriarcale e discriminativa nei confronti delle donne è più probabile che le conseguenze negative, quali violenze e poliandria, abbiano il sopravvento su quelle positive come l'elevazione dello status sociale.
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Note

*. Si ringrazia la direzione della "Rivista geografica italiana" per la gentile concessione alla pubblicazione sul presente sito dell'articolo qui riportato apparso sul numero 1 (2003), vol. 110, pp. 197-198.

1. La sex ratio può essere espressa nel numero di maschi per cento femmine (tasso di mascolinità) oppure nel numero di femmine per cento maschi (tasso di femminilità). In questo articolo è stato utilizzato il secondo metodo riferendosi al numero di donne ogni cento uomini nel caso dei dati provenienti dalle Nazioni Unite (The world's woman) utilizzati per inserire il caso indiano nel contesto globale, e al numero di donne ogni 1000 uomini per quanto riguarda i dati provenienti dalle statistiche nazionali indiane (Office of the registrar general e The national family health survey). Non ho uniformato i due set di dati in quanto i dati espressi in centinaia mancavano dei decimali affinché potessero essere convertiti in migliaia in modo preciso e quelli in migliaia, a mio parere, risultavano maggiormente rappresentativi senza costituire un elemento di particolare disturbo.

2. La ragione per cui ciò accade è stata ripetutamente studiata sia dalla prospettiva biologica che da quella behaviourista senza che si possa dare una risposta chiara e definitiva sul perché la popolazione umana tende ad avere una preponderanza di nascite maschili (Clarke, 2000).

3. Con una percentuale di variazione che oscilla tra il 7% e il 4%, ogni deviazione da questi standard indica una interferenza selettiva (United Nation, The World's Women 2000).

4. Un caso esemplificativo riguarda il Lesotho dove gli uomini lasciano le loro famiglie per recarsi nella vicina Repubblica del Sud Africa per trovare impiego nelle fiorenti miniere d'oro. L'immigrazione é, però, dagli anni '60, proibita alle donne che non possono seguire i loro uomini sul luogo di lavoro. Ciò ha portato ad uno squilibrio nella piramide della popolazione. Oggi, 2/3 dei capifamiglia nelle aree rurali del Lesotho, le più colpite dalla migrazione, sono donne.

5. Ho escluso l'Arabia Saudita, sebbene la sua popolazione abbia una sex ratio di 81 donne ogni 100 uomini, in quanto, come accade in altri paesi del Medio Oriente, lo squilibrio di genere è dato principalmente da una forte immigrazione maschile collegata alla produzione del petrolio oltre alla elevata disponibilità di denaro che rende possibile la delegazione di molte attività agli immigrati e non risulta rappresentativo in questo caso di studio.

6. Le cause di questa differenza, non del tutto note, sono certamente il frutto dell'interazione di molteplici fattori sia genetici sia socio-culturali. La popolazione femminile sembra essere biologicamente più resistente di quella maschile nella maggior parte delle circostanze ambientali. In generale, i maschi risultano maggiormente suscettibili alle malattie; elevati livelli di testosterone sono associati al cancro alla prostata e ai disturbi cardiovascolari mentre si ritiene che gli estrogeni proteggano le donne dai disturbi cardiovascolari e aiutino il sistema immunitario. Inoltre, i dati della mortalità sesso-specifica rivelano la presenza di fattori socio culturali che coinvolgo particolarmente gli uomini come le guerre, i conflitti e gli incidenti (rispetto alle donne gli uomini sono sovrarappresentati in posti di lavoro pericolosi e nel traffico automobilistico). Tra gli altri fattori si trovano le differenti attitudini rispetto alla malattia e alla cura e le dissimili abitudini di vita: gli uomini si rivelano più soggetti all'obesità, all'uso di tabacco, di alcol e di droghe il cui accesso è spesso facilitato dalla maggiore disponibilità di risorse finanziarie (Bellencin Meneghel, 1996; Clarke, 2000).

7. Dati provenienti dal Census of India 2001. Il ruolo dell'istruzione femminile sulla mortalità infantile sembra essere un'arma a doppio taglio. È stato rilevato che, in generale, un tasso di istruzione elevato corrisponde ad una diminuzione della mortalità infantile in quanto le madri istruite hanno maggiori possibilità di fornire ai loro figli cure migliori (Livi Bacci, 1989). Sebbene nel caso indiano questa affermazione sia controversa, in quanto la correlazione non è costante e in alcune regioni dell'India come il Rajasthan o l'Himalchal Pradesh è addirittura inversa, è in ogni caso accettato che l'istruzione materna sia un importante fattore associato alla diminuzione della mortalità infantile (Pandey, Choe, Luther, Sadhu e Chand, 1998). Tuttavia, Das Gupta (1987) nel suo studio sul Punjab ha notato che un alto tasso di istruzione materna influisce positivamente sull'abbassamento del tasso di mortalità infantile in generale ma non nel caso della mortalità infantile femminile dove la relazione è inversa.

8. Studi basati sui dati nazionali dimostrano che le regioni con un alto livello di sviluppo, misurato attraverso indicatori quali l'urbanizzazione, l'industrializzazione e la produzione agricola, hanno una sex ratio notevolmente sfavorevole alle donne. In contrasto, le regioni con un'alta percentuale di abitanti appartenenti alle Tribù (Scheduled Tribes), che appartengono agli strati sociali meno abbienti, mostrano una discrepanza di genere nettamente inferiore (Sudha e Raja, 1998).

9. Uno studio condotto in Uttar Pradesh negli anni '80 ha rilevato che il 60% dei decessi avvenuti nella fascia neonatale fossero da attribuire al tetano (Agnihotri, 2000), ovvero a fattori esogeni che generalmente non hanno particolare rilevanza in questa fascia. Inoltre, l'infanticidio, un fattore comportamentale, incide principalmente nella fasce neonatale.

10. La differenza di incidenza della pratica dell'infanticidio tra nord e sud può essere parzialmente spiegata dalla diversità degli avvenimenti storici che caratterizzano le due aree. La storia dell'India del Nord, dove la preferenza del figlio maschio è maggiore, è caratterizzata da molteplici invasioni che richiedevano la presenza di numerosi uomini per la difesa del territorio. Le donne invece, non solo non contribuivano alla difesa ma rappresentavano un punto debole nella struttura sociale che richiedeva esso stesso protezione. Inoltre le donne spesso erano molestate e violentate dagli invasori macchiando l'onore delle loro famiglie (Patel, 1996).

11. The Pre-natal diagnostic techniques (regulation and prevention od misuse) act, 20 settembre 1994.