Per decenni il cinema western è stato una catarsi contro le frustrazioni maschili.
Gli uomini si identificavano in personaggi con un codice d'onore, che si muovevano in un mondo cavalleresco dove i buoni vincevano.
Negli stessi manuali di regia si afferma che il cinema deve creare un mondo fantastico in ideale contrasto con la realtà, in modo da non fare avvertire l'abbrutimento della società tecnologica: burocratica e monopolistica, con la sua meccanica e i suoi sistematici disumani mutamenti economici e domestici.
Il film western è un universo stilizzato di qualità senza tempo; gli uomini, le donne, i cavalli, i fucili, i vestiti e i ranch in questi film sono al di là della moda. Il progresso industriale non ha parte in questo mondo.
L'antico nemico era una elegante aristocrazia feudale. Il nuovo nemico è la macchina elegante e anonima. Per gli uomini sopraffatti dalla dimensione tecnologica su vasta scala, il West ripristina l'immagine di una dimensione umana.
Questo è il motivo per cui l'immagine di celluloide diventa sempre più vivida man mano che la realtà storica si fa più cupa.
Intimamente associata a queste dinamiche culturali è la profonda nostalgia di una società industriale, una nostalgia che ha origine nel cambiamento rapido.
Diventa sempre meno chiaro il ruolo del maschio nella società, sempre astratto, fragile e precario. L'uomo, il codificatore delle leggi e dei rituali che provvede ai bisogni della famiglia, perde la fiducia in se stesso. Per milioni di uomini del genere la commedia western presenta un mondo non domestico di una semplicità rassicurante, in cui non vi sono problemi di tipo economico.
Ma è un bene che il maschio urbano viva con la fantasia sulla frontiera di 160 anni fa?
Oggi questo mondo di celluloide non viene più fornito da Hollywood: a parte il valore artistico e drammatico dei film western, credo sia un fatto positivo per cominciare a vivere – e cambiare – la realtà.
Vicus, parto dalla tua domanda e ti rispondo che l'industria dell'intrattenimento ha già pensato anche a questo.
Non si può far vivere al maschio urbano di oggi la frontiera di 160 anni fa, neanche mandandolo in una specie di Knott's Berry farm per bambinoni come quella immaginata nel film "Il mondo dei robot" (col mitico Yul Brynner nella parte del robot-pistolero).
Per i nostalgici della frontiera, per quelli che pensano come si potrebbe vivere diversamente negli spazi liberi, a contatto con la natura, procurandosi il cibo con un fucile, ci sono già serie televisive dedicate proprio a loro e ambientate in Alaska.
Che cosa presentano: in paesaggi di una bellezza fantastica, poche, pochissime persone in piccole baite di tronchi, che vivono in mezzo ai boschi, a contatto con la natura, in uno stato di quasi totale isolamento, campando di caccia, pesca e di un'agricoltura da sopravvivenza. Un clima rigido e un'estate cortissima completano il tutto.
La cosa che mi ha colpito di più in queste persone, è la loro calma e tranquillità nell'affrontare le mille difficoltà che si presentano quotidianamente, il loro essere felici per le piccole e grandi cose di ogni giorno, l'aiuto reciproco fra “vicini” che spesso distano un centinaio di chilometri; insomma, gente perfettamente soddisfatta delle scelte compiute.
Ma, e qui viene il bello, le voci narranti e le didascalie continuano a rammentare allo spettatore che questi avventurosi pionieri rischiano la vita ogni giorno, sono lontani dalla civiltà, un piccolo incidente potrebbe trasformarsi in una tragedia, non ci sono pronti-soccorso, e così via; insomma, mettono in guardia contro i pericoli della vita troppo libera dell'ultima frontiera.
Molto meglio vivere in paesi civilizzati, dove tutto è ben organizzato
, dove ci si può risparmiare anche il disturbo di parlare con le persone, tanto ci sono i “social”: l'importante è essere omologati.