A VOI LETTORI OCCASIONALI L'ENNESIMA PERLA DELLA 27° ORA, NOTO BLOG FEMMINISTA. NON COMMENTO, ORMAI LA FEMMINISTA CHIEDE SEMPRE LA STESSA COSA:SOLDI. C'E' CRISI, LA FEMMINISTA DEVE PUR SOPRAVVIVERE SULLE SPALLE MASCHILI. COME SEMPRE, BUONA LETTURA E A QUELLI CHE STANNO PER SPOSARSI UNA
FEMMINISTA:" FELICE DIVORZIO".
http://27esimaora.corriere.it/articolo/donne-escluse-da-sport-professionistico-e-ora-che-il-coni-cambi-le-regole/Anche le donne vogliono diventare professioniste dello sport. Oggi invece le atlete italiane che fanno dello sport il loro «lavoro» sono costrette a gareggiare da dilettanti, senza eccezioni, perché nessuna federazione permette loro di accedere all’attività professionistica. La richiesta arriva da una petizione al presidente del Coni Giovanni Malagò su change.org che in poche ha già ottenuto oltre tremilacinquecento firme. L’hanno lanciata le giocatrici della dalla squadra di rugby femminile di Roma All Reds. «La legge sul professionismo sportivo del 1981 stabilisce che siano il Coni e le singole federazioni a decidere quali discipline sportive possono essere definite professionistiche — spiega Chiara Campione, una delle rugbiste delle All Reds —. Le donne sono sempre escluse a causa dei regolamenti: il caso più eclatante è quello del calcio, ma vale anche per la pallacanestro».
I cachet molto più bassi
Una discriminazione che si aggiunge alla questione economiche: la maggior parte degli sport femminili, in Italia, hanno meno pubblico e quindi meno «mercato» di quelli maschili. «Le sportive in media guadagnano il 30% dei loro equivalenti maschi», ricorda Campione. Ma spesso le differenze sono molto più alte. Lo stipendio più consistente di una giocatrice di calcio si aggira intorno ai seimila euro al mese, ben poca cosa rispetto agli ingaggi milionari dei calciatori. E infatti le italiane più brave vanno all’estero: in Germania, in Francia, negli Stati Uniti. Paesi dove di sport possono vivere anche le donne.
Nessuna garanzia
Il riconoscimento di professionismo, al di là dell’attrattiva economica dei vari sport, permetterebbe però di ottenere almeno alcune garanzie previste dagli inquadramenti contrattuali. «In Italia sono sei su sessanta le discipline considerate professionistiche: calcio, golf, pallacanestro, pugilato, motocicismo e ciclismo. Ma solo per gli uomini» dice Luisa Rizzitelli, ex pallavolista e presidente l’associazione delle atlete italiane Assist, che da anni porta avanti la battaglia per l’inclusione delle donne nello sport professionistico. «Non è solo una questione di titoli, che rende ridicolo definire “dilettanti” sportive come Federica Pellegrini o Francesca Schiavone. Ma anche di tutele: essere professioniste permette di accedere alle garanzie previdenziali, sanitarie, contrattuali previste per i lavoratori del settore. Compreso il tfr a fine contratto. Per le donne non è così e in più ci troviamo di fronte al paradosso che a causa delle decisioni di Coni e Federazioni, non possiamo usufruire di una legge dello Stato: è incostituzionale».