Autore Topic: Vi presento Robert Hunt  (Letto 4902 volte)

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Offline giuspal

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Re:Vi presento Robert Hunt
« Risposta #15 il: Novembre 25, 2016, 08:55:55 am »
Sinceramente no, fu una mia intuizione. Lewis Carroll non lo conoscevo. Ora che me lo hai segnalato proverò a documentarmi su di lui. Grazie.
"SANTO DIO! PERCHE' SI BEFFANO COSI' DELLA GENTE?" (Enrico V)

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Offline Vicus

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Re:Vi presento Robert Hunt
« Risposta #16 il: Novembre 25, 2016, 09:16:15 am »
Il passaggio attraverso lo specchio è un elemento chiave di Alice nel Paese delle Meraviglie (appunto di Carroll), ripreso tale e quale nel film Matrix.
Carroll era un matematico non euclideo che anticipò i cambiamenti nella sensibilità umana generati da una nuova percezione dell'universo, non-newtoniana (le sue ricerche prelusero alla Teorie della relatività).
Questo non si trova su Wikipedia, è tratto da un libro rarissimo del 1970 (note mie):

When Alice went through the vanishing point of the visual world1, breaking the hardware2 of the looking-glass world, she became involved in a series of rapid metamorphoses, not unrelated to her tears.3

1 Il mondo visuale generato dalla cultura alfabetica e della stampa
2 Il mondo attuale di informazione è basato sul software
3 L'uomo cambia il modo in cui percepisce se stesso e gli altri (tears=crisi d'identità)

Lewis Carroll, a non-Euclidean mathematics professor, was the first to denote  the dilemma of a print-oriented world in his fable.4

4 La cultura della stampa tende a creare una narrativa che la gente prende per realtà: si confronti il mondo dei sogni di molti bianchi (e bianche) USA con quello molto più realistico dei negri americani. I film di Eddie Murphy riflettono in modo caricaturale questo contrasto.

Un altro elemento caratteristico del libro di Carroll è la Regina, comparabile a una Furia greca, affiancata da un Re zerbino.
« Ultima modifica: Novembre 27, 2016, 07:09:59 am da Vicus »
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline giuspal

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Re:Vi presento Robert Hunt
« Risposta #17 il: Novembre 25, 2016, 09:20:26 am »
Per la miseria! Ecco perché non lo conoscevo. Alice nel Paese delle Meraviglie é una storia che non sono mai riuscito a leggere e capire in tutta la mia vita. Ne ho visto pezzetti qua e là ma ho sempre fatto fatica a concentrarmi per più di poche righe.

A proposito di Regine, ti anticipo da ora che anche Robert Hunt avrà a che fare (il suo bel da fare) trovandosi contro una Regina.
« Ultima modifica: Novembre 25, 2016, 09:30:11 am da Vicus »
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Re:Vi presento Robert Hunt
« Risposta #18 il: Novembre 25, 2016, 09:23:46 am »
Io l'ho trovato un libro appassionante, non tutto è chiaro ma con una buona chiave di lettura si legge d'un fiato.
Tra le frasi più interessanti: "Qui [=nel mondo di oggi] bisogna correre1 molto velocemente per rimanere nello stesso punto2". :cool:

1 Cambiamento accelerato, adattabilità
2 Per mantenere una stabilità (specie in senso sociale) a dimensione umana
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:Vi presento Robert Hunt
« Risposta #19 il: Novembre 25, 2016, 09:31:42 am »
Citazione
A proposito di Regine, ti anticipo da ora che anche Robert Hunt avrà a che fare (il suo bel da fare) trovandosi contro una Regina.
Già che ci siamo, nella cultura popolare il tema della regina è associato alla tecnologia e alla cibernetica (la regina è spesso un cyborg o un computer).
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:Vi presento Robert Hunt
« Risposta #20 il: Gennaio 13, 2017, 22:47:33 pm »
Sesto Capitolo: La partenza di Steven. Buona lettura.  :)

VI - La partenza di Steven

Come stabilito, l’esperimento ebbe inizio nei laboratori del quarto piano della 6D la notte tra il 15 e il 16 Settembre, nonostante Tanner si fosse già “volontariamente” offerto per intraprendere il viaggio.
Peter, dopo la brutta esperienza vissuta in Omega seguita da un paio d’ore di degenza in ospedale e da una sana dormita, era nuovamente pronto a eseguire gli ordini di Hunt.
Si accomodarono ai rispettivi monitor e puntarono le webcam, installate di nascosto in casa Kent da un sedicente tecnico dell’energia elettrica circa due settimane prima, sulla coppia di coniugi scelta da Tanner.
Le indagini dei servizi segreti volte al ritrovamento di Jeremy proseguivano intanto senza aver dato ancora il benché minimo riscontro.
Dopo varie insistenze, Robert Hunt dovette cedere dinanzi alla pressante richiesta di Lucy di poter presiedere alla seduta notturna in laboratorio e, quando lei vide che il soggetto in questione altri non era che l’uomo di cui si era perdutamente innamorata, cominciò a subissare lo scienziato di domande circa le ragioni di una siffatta scelta e le relative intenzioni.
“Signorina Tanner, mi dica, per caso lo conosce?”
“No Dottore, la mia è semplice curiosità!”
Bob la fissò per alcuni secondi, giusto il tempo necessario per capire che Lucy mentiva.
“Simuleremo la sparizione di quell’uomo per alcuni giorni. L’esperimento consiste solo in questo”.
“A che cosa può mai servire simulare la sparizione di un uomo? Certo che voi e mio padre eseguite ricerche alquanto bizzarre!”
“Vorrebbe darmi ad intendere che lei non è mai stata informata degli studi che si compiono in questo centro di ricerca a New York?”
“Sono informata della collaborazione con il collisore di Ginevra e di altri progetti, ma di questo mio padre non me ne aveva mai parlato.”
La voce di Lucy era tremante e i suoi occhi non riuscivano a staccarsi di dosso dalla figura di Steven beatamente addormentato nel suo letto.
“Dato che proprio dovete fare sparire qualcuno, perché non lei? a giudicare dalle smorfie che fa mentre dorme, immagino che da sveglia debba essere un vero tormento di donna. Scommetto che, se fosse lei a sparire, suo marito ve ne sarebbe profondamente grato”.
“Mi è venuta sete. Peter, versami dello scotch per piacere, ne gradisce uno anche lei Lucy? Posso chiamarla semplicemente Lucy, vero?”
“Lo bevo volentieri, Dottore e mi chiami pure Lucy, non c’è nessun problema”.
La figlia di Tanner dovette pensare che Hunt cominciasse a provare un certo interesse per lei e abbozzò un sorriso.
Non che a lei Hunt potesse destarne, anzi, lo trovava presuntuoso, almeno per quel tanto descrittole da suo padre, ma se un uomo le dava occasione di credere ad una simile eventualità Lucy era sempre pronta ad approfittarne e a servirsene in qualsiasi modo, pur di raggiungere i propri obiettivi.
Gustarono il whisky fissandosi negli occhi reciprocamente. Lei continuava a sorridere sorniona mentre lui manteneva un’espressione da uomo impietrito, dandole modo di credere che fosse a causa della sua bellezza.
Improvvisamente Lucy mollò la presa e il bicchiere rovinò sul pavimento. Svenne immediamente, Hunt e Peter erano già pronti a bloccarla e a distenderla su una delle brande sistemate in laboratorio per avvicendarsi nei turni d’osservazione notturni.
“Buona notte, Lucy! Domattina, grazie alle nano particelle dispositive, non ricorderà nemmeno di aver messo piede in laboratorio. Ottimo lavoro Peter! Vedi che, quando vuoi, sai fare le cose per bene?”
“Riguardo Omega, dovrei parlarle Dottore …”.
“Non ora, Peter. Finiamo prima il nostro lavoro e riportiamo Lucy a casa sua. Se si farà tardi, me ne riparlerai domani, siamo intesi?”
Peter ebbe un’istintiva espressione di disappunto ma subito dopo acconsentì.
“Tieni d’occhio i monitor. Stanno dormendo ancora?”
“Sì Dottore.”
“Perfetto, procediamo. Ecco, così, stai lì buono, non muoverti, scattato! Fatto!”
“Non lo vedo in Beta, Dottore!”
“Non scherzare Peter, cosa vuoi dire? È lì che l’ho mandato.”
“Non c’è, Dottore! Aspetti che provo a cambiare frequenza, Gamma, Delta, è in Epsilon. Sì è proprio lì! Che cosa facciamo, lo riprendiamo indietro?”
“Dannazione, com’è possibile? La dimensione delle ipotesi più remote! Sarà davvero un bel trauma per lui. Dobbiamo riportarlo a casa subito. Guai se si svegliasse lì”.
Hunt poté giusto terminare la frase, dopodiché lui e il suo assistente furono colti in pieno da un black-out coinvolgente l’intero circondario della palazzina.
Si prodigarono in diversi modi per far tornare la corrente, ma si dovettero arrendere dopo circa un paio d’ore e trasportare con premura Lucy a casa di suo padre prima che potesse riaprire gli occhi.
Bob era seriamente preoccupato per lo strano accanimento con il quale gli inconvenienti tendevano a presentarsi.
“Mi verrebbe da credere che qualcuno o qualcosa si diverta a farci lo sgambetto su tutto”.
Cancellò tuttavia quell’idea dalla testa, pensando che presto sarebbe andato a trascorrere qualche ora lieta con la sua dolcissima amica francese, anche allo scopo di sapere se era riuscita a bloccare il collisore a Ginevra.

Verso le tre del mattino Robert Hunt giunse dinanzi alla porta di casa di Jasmine e prese a bussare dolcemente, portava con sé una bottiglia d’ottimo vino rosso.
“Chi è?”
“Sono io Jasmine! Scusa l’ora, ma non sono riuscito a liberarmi prima”.
Jasmine aprì la porta di scatto, fulminò Hunt con uno sguardo truce e gliela richiuse violentemente in faccia.
Ripresosi immediatamente dopo un attimo di sorpresa, Bob si ricordò una battuta di Jasmine a riguardo e gliela ripresentò. “Anch’io sono felice di vederti”.
I passi della donna si riavvicinarono alla porta, questa si aprì e Hunt fu investito da due sonori schiaffi in pieno volto.
“Fai anche lo spiritoso! Vattene Hunt, che il diavolo ti porti assieme al tuo maledetto software!”
Bob l’afferrò per un braccio cercando di essere il più delicato possibile, quindi le domandò cosa stava accadendo.
“Non cadermi dalle nuvole, Bob! Ti faccio i miei complimenti. Sei riuscito a fermare “The Unreachable” e a toglierla di mezzo! Ecco a cosa ti serviva il mio aiuto, volevi solo verificare la tua bravura e umiliarmi! Bene, hai ottenuto ciò che volevi, adesso sparisci!”
Jasmine aveva i nervi a fior di pelle e le lacrime agli occhi talmente erano forti i sentimenti di rabbia e delusione nei confronti di Robert.
“Ti giuro, Jasmine, che non capisco cosa intendi dire. Io umiliarti? Come? Perché?”
“Lo hai sviluppato veramente bene Virtuality, sono stupita! Non solo mi ha bloccato all’ingresso del sistema del collisore. Non solo ha compiuto il lavoro che avevi chiesto al posto mio, ma si è anche beffato di me, impedendomi di compiere qualsiasi altra azione e, come se non bastasse, ha messo al tappeto anche il mio computer. Sei soddisfatto?”
“Non ci posso credere. Non sono mai stato in grado di elaborare simili operazioni. Tu sai benissimo che non ho tutta questa preparazione!”
“Se non sei stato tu, allora chi? Lui da solo? Nel momento in cui ho tentato di smantellarlo ho trovato nei codici una formazione esponenziale d’istruzioni atomizzate inattaccabili. Vuoi farmi credere che il tuo sistema possiede un’intelligenza artificiale autonoma? In tal caso, altro non mi rimane che inchinarmi davanti al tuo genio! Adesso, se non ti dispiace, avrei bisogno di andare a letto”.
Bob fece l’estremo tentativo per introdursi in casa di Jasmine, tuttavia lei si mostrò irremovibile, bloccandolo con la mano tesa in avanti ed esplicitando il concetto con una frase lapidaria: “Da sola!”
“Posso lasciarti almeno questa?” le chiese, indicandole la bottiglia di vino.
Jasmine pensò che la stesse usando come scusa per entrare e replicò duramente: “Portatela via, se non vuoi che te la rompa in testa!”
Robert si ritrovò a camminare per le strade deserte e poco illuminate della città con la bottiglia tra le mani, guardando insistentemente verso l’alto, verso le stelle.
“Dove avrò sbagliato, accidenti? Com’è potuto accadere che lei, proprio lei, la numero uno degli hackers, sia stata bloccata e sbattuta fuori dal sistema, proprio dal mio software? Stanno accadendo troppe cose strane tutte insieme. Devo andare a fondo di questa faccenda”.
Passò sotto un lampione dove stava affissa una videocamera di sorveglianza.
Poco più avanti vide steso su una panchina un barbone coperto di stracci e giornali che dormiva russando pesantemente.
Avvolse la bottiglia in un foglio di giornale e gliela pose su un fianco cosicché il barbone potesse ritrovarsela al proprio risveglio.
“Almeno per te non farà alcuna differenza berla da solo, anzi, probabilmente ne sarai lieto, amico mio”.
Appena ebbe le mani libere, Hunt si allontanò mettendosele in tasca e fischiettando una canzoncina romantica, lasciandosi alle spalle la videocamera e la panchina con sopra sdraiato il barbone.
Subito dopo che Bob si fu voltato, la videocamera affissa al lampione iniziò a muoversi in svariate direzioni, come tesa alla ricerca di qualcosa.
Nello studio del laboratorio della 6D il monitor del computer principale si annerì in modalità terminale. Iniziò quindi a trasmettere, in rapida successione, tutta una lunga serie di stringhe bianche di caratteri riportanti svariate istruzioni, dalle quali derivò l’emissione di altrettante risposte provenienti proprio dalla videocamera installata nella zona in cui si trovava Hunt.
Sul monitor era inquadrata la bottiglia di vino regalata al barbone, sottotitolata dalle seguenti istruzioni: “Obiettivo inquadrato, trasposizione in Epsilon entro tre secondi, due, uno, obiettivo centrato. Riacquisizione posizione originale videocamera. Restituzione videocamera al sistema di provenienza, stand-by system”.
Un cursore bianco prese a lampeggiare sullo schermo nero per poi restituire al monitor la schermata originale riproducente il logo della 6D Research Corporated.

Il mattino dopo, a New York Epsilon, un altro barbone si svegliò su quella panchina, ritrovandosi tra le braccia una bottiglia d’ottimo vino rosso californiano ancora tappata e sigillata.
“Ehi! Questo sì che è un buon inizio di giornata!” esclamò scartando l'inatteso dono, dopodiché levò la bottiglia e il proprio sguardo verso l’alto aggiungendo un brindisi.
“Grazie amico, alla tua salute!”
Non se la passava proprio bene l’immagine Epsilon di Jeremy Tanner: in quella dimensione la 6D non esisteva e lui era stato raggirato in diversi affari loschi di speculazione in borsa, quindi abbandonato da tutti quelli che gli stavano intorno.
Quella era una delle dimostrazioni più lampanti circa la natura di Epsilon: trattandosi della dimensione più remota da Alpha, ospitava i desideri più segreti e le paure più inquietanti di ciascuno e l’incubo della povertà era proprio quello che nella realtà tormentava maggiormente Jeremy Tanner.
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Re:Vi presento Robert Hunt
« Risposta #21 il: Gennaio 13, 2017, 23:18:08 pm »
Sesto Capitolo: La partenza di Steven. Buona lettura.  :)
 “Buona notte, Lucy! Domattina, grazie alle nano particelle dispositive, non ricorderà nemmeno di aver messo piede in laboratorio.
Queste magari non esistono ancora ma due ricercatori che si occupano di nanotecnologie mi hanno detto che esiste già la "polvere spia", ovvero cimici grandi quanto un granello di polvere.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:Vi presento Robert Hunt
« Risposta #22 il: Marzo 18, 2017, 15:50:39 pm »
Capitolo settimo: "Risveglio in casa Kent".

Buona lettura.

VII - Risveglio in casa Kent

Risveglio di Steven in Epsilon

“Buongiorno a tutti! East Village Radio è con voi anche oggi per donarvi come sempre un ottimo risveglio offerto da …”.
Come tutte le mattine il dito indice della mano destra di Steven puntò al pulsante della radiosveglia per eseguire l’operazione di spegnimento, però questa volta non fece in tempo: essa si spense da sola in automatico. Si fermò leggermente perplesso, quindi, dopo essersi guardato attorno, sollevò le spalle e pensò: “All’attacco! Oggi si compra fino a nuovo ordine!”
Steven non amava particolarmente il suo lavoro, tuttavia sapeva farlo bene e con metodo: dava sempre la priorità agli ordini provenienti dall’alto, ma era in grado lo stesso di assumersi iniziative anche rischiose per riequilibrare eventuali errori di valutazione del momento.
Peccato che nessuno valorizzasse appieno le sue doti, ciò nonostante aveva imparato molto bene che, se puntata all’apprezzamento da parte altrui, una qualunque attesa era da considerarsi puramente vana e pertanto le motivazioni andavano cercate, spesso addirittura inventate partendo esclusivamente da se stessi.
Si alzò dal letto senza accorgersi di averlo attraversato e si diresse verso la cassettiera per compiere il quotidiano rito della scelta della cravatta.
“Oggi mi metto quella grigia… non mi sento particolarmente in forma”.
Gli giunse nel frattempo all’orecchio il rumore dell’acqua della doccia e istintivamente domandò a voce alta: “Maggie, sai per caso, dove ho messo la cravatta grigia? Quella con le righe sottili oblique bordò?”
Attese due o tre secondi, ma non ottenne risposta.
“Accidenti alla doccia, non mi sente mai”.
Si diresse verso il bagno e notò che la porta d’accesso a quest’ultimo era spalancata.
“Tesoro, da quando in qua lasci aperta la porta? Ah, ho capito, vuoi che venga a insaponarti la schiena, vero?”
Trovò aperta anche la porta di vetro della doccia e l’acqua che sgorgava a vuoto con getto continuo.
“Che fa? Esce da casa senza nemmeno chiudere l’acqua adesso?”
S’introdusse in cabina di striscio a lato per non bagnarsi, tentò di afferrare il rubinetto per girarlo e, a quel punto, ricevette la prima sorpresa.
“Dove accidenti si è cacciato? È sempre stato qui, ah, eccolo, lo vedo, ma che succede? Possibile che non riesca a toccarlo?” Tentò a più riprese di afferrarlo e, nonostante venisse meno il contatto con esso, ottenne comunque il risultato della cessazione del flusso d’acqua, tuttavia, poco dopo, questo riprese da solo.
Steven fece un secondo tentativo e un terzo, finché non ebbe definitivamente ragione sul rubinetto intoccabile.


Risveglio di Margaret nella vita reale

“Buongiorno a tutti! East Village Radio è con voi anche oggi per donarvi come sempre un ottimo risveglio offerto da…”.
A differenza del solito rituale mattiniero Margaret Lowry spense la radiosveglia dopo essersi accorta dell’assenza di Steven a letto.
“Ah! Si è alzato prima del solito stamattina il signor dov’è la mia cravatta?”
Si diresse in cucina a vedere se per caso aveva deciso di fare colazione a casa con lei una volta tanto, ma non trovandolo neppure lì alzò gli occhi al cielo rimproverandosi.
“Povera stupida! Credi ancora alle favole”.
Andò quindi verso la propria cassettiera per procurarsi la biancheria necessaria e proseguì poi in direzione del bagno.
“Beh, giacché sei già uscito caro, stamattina sono libera di lasciare le porte aperte, senza il timore delle tue quotidiane intrusioni a chiedermi dei vestiti che lasci continuamente in giro. Oggi finalmente potrò godermi la doccia in santa pace!”
Girò il rubinetto dell’acqua e cominciò a farla scorrere mentre si spogliava la vestaglia e l’intimo.
Aveva veramente un bel fisico, la ragazza, niente male davvero, era evidente quanto ci teneva alla propria forma: una sportiva con i fiocchi.
S’introdusse in cabina, il getto dell’acqua sulle spalle e sul seno la inebriava.
“Ah! Non c’è miglior auspicabile buongiorno di questo”.
Pose sotto il getto il capo, chiudendo gli occhi e lasciandosi bagnare abbondantemente, massaggiandosi i lunghi capelli biondi, uno spettacolo a cui qualunque uomo avrebbe partecipato volentieri, soprattutto colui che sistematicamente si trovava chiuso fuori dal bagno tutte le mattine.
Improvvisamente il flusso dell’acqua s’interruppe lasciando Margaret al freddo.
Ebbe un immediato brivido e cercò a tastoni il rubinetto alterandosi alquanto.
“Sei qui, allora? Accidenti a te, Steven! Se si tratta di uno dei tuoi soliti scherzi…”.
Si asciugò come meglio poteva gli occhi, si guardò attorno, riaprì il getto dell’acqua e si sporse al di fuori della cabina cercando di capire dove potesse essersi presumibilmente nascosto Steven.
Il getto s’interruppe nuovamente.
Seccatissima, Maggie lo riaprì ma, vedendolo richiudersi da sé, ebbe un moto di spavento, emise un leggero grido e si ritrasse.

Steven andò a cercarsi la cravatta da sé e la vide già da lontano appesa nell’armadio lasciato aperto la sera prima, la raggiunse e …
“Che diavolo succede? Possibile che non riesca ad afferrare più niente?”
Provò allora ad aprire la cassettiera, ma l’unico risultato che ottenne fu di attraversarla.
Alla vista di ciò fu colto dal panico ed emise un forte urlo, che nessuno peraltro sentì.
“Non sarò mica morto per caso, vero? Oh Mio Dio! No! E’ un incubo! Adesso mi prendo a schiaffi e mi sveglio”.
Niente da fare, le mani lo trapassavano e lui non sentiva nulla. Sempre più impressionato urlò ancora e ancora una volta.
“Non è possibile, non posso essere morto, non adesso! C’ero quasi con la promozione sul lavoro! Finalmente avrei potuto permettere a Maggie di restare a casa, sarebbe stato possibile pensare di avere un figlio. Perché? Perché proprio adesso?”

Maggie si asciugò e s’infilò la biancheria pulita scrutandosi continuamente intorno e fissando il rubinetto.
“Non ci saranno per caso i fantasmi, ma che dico? I fantasmi non esistono. Sarà certamente uno stupido scherzo di Steven. Come gli viene in mente di architettare cose simili? Non lo sopporto più! Non lo capisco più! Mi fa facendo impazzire!”
Uscendo dal bagno si ritrovò dinanzi uno spettacolo per nulla confortante: le cassettiere aperte e i vestiti che vi erano contenuti gettati un po’ ovunque alla rinfusa come se fossero stati visitati dai ladri.
“No, dico, ma è che gli ha preso?” quindi urlò: “Steven! Adesso basta! Vieni fuori! E’ ora di farla finita con questa storia. Io non ti reggo più, hai capito? Non le sopporto più le tue stravaganze e il tuo egocentrismo maschilista. D’ora in poi te li troverai da solo i tuoi vestiti perché io qui con te non ci resto più! Me ne vado. Mi hai sentito?”
Si guardò intorno e dappertutto in casa, quindi si rese conto di aver urlato inutilmente, poiché di Steven non vi era traccia.

“Maggie! Maggie dove sei? Come faccio a uscire di qui? Non riesco nemmeno a vestirmi. Sono in mutande, dannazione!”
Steven si accostò le mani al volto e si abbandonò a un pianto crescente, sì, crescente, che cominciava piano per poi aumentare progressivamente d’intensità.
Ci credereste? Dopo tanti anni si ritrovò a pronunciare persino quella parola che sembrava aver ormai dimenticato per sempre: “Mamma!”
Poco dopo sentì la porta d’ingresso aprirsi e, istintivamente, cercò di coprirsi e di nascondersi.
L’immagine Epsilon di Maggie abitava in quella casa, ma non stava andando al lavoro, al contrario aveva appena salutato all’uscita del garage il suo adorabile Mark, capoufficio dell’azienda per la quale lavorava e che, da quando si erano sposati, aveva lasciato per dedicarsi completamente alla gestione domestica.
Canticchiava Maggie. Non era possibile!
Steven, all’opposto, era in grado di vederla, seppur stentasse a riconoscerla.
“Maggie, Tu canti?” esclamò a gran voce, ma lei non gli rispose e continuò assidua nelle sue faccende.
“Ehi! Sto parlando con te, a che gioco stai giocando?”
Si avvicinò per afferrarla, invece la trapassò come tutto il resto delle cose e lei non se ne avvide neppure.
Urlò di nuovo per lo spavento.
Non sapeva più cosa pensare.
“Allora sono morto davvero e lei è contenta che io sia morto? Se è così allora tanto vale che io sparisca del tutto, no? Tu che ne dici?” soggiunse rivolgendo il proprio sguardo verso l’alto.
Alla porta d’ingresso si sentì armeggiare un rumore di chiavi infilate nella serratura.
“Chi è?” chiese Maggie.
“Sono io amore, ho dimenticato il cellulare”.
Mark Greeves fece il suo ingresso in quella che Steven credeva ancora essere casa Kent, senza che nessuno potesse obiettare nulla.
Maggie, anzi, sembrò mostrarsi felice della cosa e lo disse apertamente.
“Entra, è sempre bello quando ti dimentichi qualcosa amore!”
Gli si fece incontro gettandogli le braccia al collo e lo baciò appassionatamente.
“Eh no! Adesso basta con questa storia. Si può sapere che state facendo voi due? Maggie, da quanto tempo va avanti questa faccenda?”
I due, totalmente noncuranti di lui, si strinsero in un abbraccio ancora più forte e, improvvisamente, Maggie proferì una frase che mise Steven definitivamente al tappeto.
“Telefona in ufficio e avvisa che arriverai tardi, ti prego, ho voglia di te”.
“Ehm, chiunque tu sia, dille che devi proprio andare, intesi? Ehi! Mi puoi dare retta almeno tu? Non avrai veramente intenzione di portarti a letto mia moglie, spero”.
Ogni speranza di Steven riguardo a quanto detto prima finì con il rivelarsi totalmente vana, poiché il dolce e premuroso maritino di Maggie dimensione Epsilon accettò più che volentieri la proposta formulatagli.
“Ecco!” terminò Steven, “Il buongiorno si vede dal mattino!”

Intanto, la vera Margaret stava assaporando la sua spremuta d’arancia prima di affrontare una nuova giornata di lavoro, non ancora del tutto ripresa dal risveglio traumatico appena vissuto.
Era tentata di chiamare Steven per dirgliene quattro e continuava a tamburellare le dita sul tavolo, accanto al proprio cellulare. Finalmente si decise e chiamò, attese uno, due, quattro, otto squilli ma Steven non rispose.
“Ah, ti credi furbo? Adesso ti faccio vedere io!”
Compose il numero dello studio presso il quale lui lavorava.
“Studio Frazier & Co., buongiorno mi dica”.
“Ciao Priscilla, sono Maggie, potresti passarmi Steven per favore?”
“Ciao Maggie, stavamo giusto per chiamarvi a casa per sapere dove era, qui stamattina non si è ancora presentato e il capo sta già dando segni di nervosismo”.
“Non è lì? Non è possibile! A casa non c’è e al cellulare non risponde. Stamattina mi sta veramente facendo perdere le staffe”.
“E non solo a te, credimi”.
A queste parole di Priscilla facevano eco da lontano le urla di George Frazier, presidente della Frazier & Co.
“Se non si sbriga ad arrivare o a farmi sapere qualcosa, stavolta lo caccio via! Paul, prendi tu il suo posto intanto e cerca di seguire bene le istruzioni. Accidenti a lui, si assenta proprio stamattina che ci sono in ballo contrattazioni pesanti!”
“Vedi di trovarlo alla svelta, Maggie, altrimenti qui finisce male. Tienimi informata. A presto”.
“D’accordo, ciao”.
Fece un altro tentativo con il numero di Steven, senza risposta, decise quindi di avvisare il suo capoufficio Mark circa un eventuale ritardo.
“D’accordo Margaret, prenda pure tutto il tempo che le serve, non si preoccupi, grazie per avermi avvisato”.
Dio, com’era dolce la voce di quell’uomo! Così comprensivo e paziente, com’era fortunata sua moglie ad avere accanto un uomo simile.
Si riprese quasi subito dal sogno idilliaco nel quale si stava immergendo, si alzò dal posto dove era seduta, pagò la sua spremuta e uscì dal locale.
Più il tempo passava e più aumentava la sua inquietudine al cospetto dei persistenti silenzi di Steven come unica risposta alle sue chiamate.
Fu subito mezzogiorno e di Steven ancora non si sapeva nulla.
Le ipotesi che balenarono in mente a Margaret andarono peggiorando di ora in ora: alle nove lo immaginava a letto con un’altra donna, alle dieci all’aeroporto in fuga con un milione di dollari rubato chissà dove, alle undici in ospedale investito da qualcuno e, giunta quell’ora temeva di essere chiamata dalla polizia per il riconoscimento del suo cadavere. Margaret di ottimismo ne aveva da vendere.
Nessuna delle sue ipotesi ebbe conferma, nemmeno quando fu lei stessa a verificarlo, prendendo contatto con tutti gli ospedali della città.
“Deve essersi pure cacciato da qualche parte”.
Mai pensiero fu più azzeccato di quello, ma nessuno poteva lontanamente immaginare in quale parte era finito Steven, eccetto lui e chi gliel’aveva mandato.

“Che cosa possiamo fare Dottore? Il black-out di ieri sera ha complicato parecchio le cose”.
Peter non poteva fare a meno di rimarcare la situazione a Robert con un lieve accento di rimprovero.
“L’unica cosa che ci rimane da fare ora è aspettare che arrivi di nuovo buio, poi tenterò di andare a riprenderlo di persona siccome può interagire solo con chi proviene da Alpha, certo che le novità nel quale si è recentemente imbattuto l’hanno scombussolato proprio come temevo, Epsilon arriva persino a ribaltare la vita di ciascuno di noi”.
“Lei non immagina Omega Dottore, questo non è nulla al confronto, mi deve credere” replicò Peter.
Bob lo fissò per alcuni secondi, teso a cogliere la reale fondatezza di quanto andava affermando, quindi rispose: “Dato che la situazione è abbastanza sotto controllo e per ora non possiamo far altro che monitorarlo, avanti Peter racconta”.

Steven si fece coraggio e decise di uscire dalla casa sebbene in mutande e canottiera.
“Gli altri mi vedranno? Certo che, se così fosse, come faccio spiegare alla gente che non riesco più a toccare nulla? Ecco, guarda un po’, passo persino attraverso i muri, ora che cosa faccio? Vado al lavoro in questo stato? Non ci posso credere: Margaret che fa sesso con un altro uomo sotto i miei occhi e lo chiama anche amore! Io che non posso nemmeno toccare, parlare e urlare perché non mi sente e non mi vede nessuno! Se almeno non ne fossi minimamente cosciente, se mi avessero avvisato prima che la morte avrebbe potuto significare questo, quindi sarà così per sempre?”
Anche lui, come Jeremy Tanner proiettato in Beta, si trovò quindi nella condizione di ectoplasma ma con la sostanziale differenza di essere capitato in una dimensione i cui eventi erano maggiormente alterati rispetto alla realtà e le sorprese sarebbero aumentate di ora in ora.

La vera Margaret tornò a casa per cercare di comprendere meglio la successione degli eventi di quella strana mattinata.
Perché il cellulare di Steven suonava e lui non si era ancora prestato a mandare un benché minimo segnale di risposta? Com’era possibile che l’acqua della doccia si chiudesse a proprio piacimento? E tutti quei vestiti gettati per aria in camera da letto?
“Sarà meglio mangiare qualcosa adesso, a stomaco pieno si ragiona meglio. Se non si farà vivo entro stasera dovrò denunciarne la scomparsa, ma se lo farà, giuro che scomparirà per mano mia stavolta”.
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Re:Vi presento Robert Hunt
« Risposta #23 il: Marzo 18, 2017, 16:02:33 pm »
Si legge d'un fiato!
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:Vi presento Robert Hunt
« Risposta #24 il: Aprile 07, 2017, 17:32:09 pm »
Capitolo VIII - L’universo parallelo

Buona lettura.  :)

“Da quello che ho avuto modo di vedere sei rimasto sospeso in Omega non più di quarantacinque minuti, Peter. Inoltre sei sempre rimasto nello stesso punto, non ti sei mosso di un millimetro, perciò dimmi: cosa pensi di aver visto là?”
Robert non era affatto scettico circa le affermazioni di Peter, tuttavia, quando interloquiva con qualcuno, pretendeva che si giungesse ad una chiarezza pressoché totale circa l’esposizione dei fatti avvenuti.
“Ha perfettamente colto nel segno, Dottore: non cosa ho visto, ma cosa ho pensato di vedere: deve sapere anzitutto che in Omega, oltre alla trasposizione dell’immagine dal corpo, esiste anche quella della mente dall’immagine”.
Bob inarcò il sopracciglio: “Spiegati meglio”.
“Una figura di donna mi si è venuta incontro, pur vedendola in negativo una donna all’apparenza bellissima, alta, un viso dolcissimo, mi sorrideva. Ha teso la sua mano e mi ha toccato la fronte. Mi ha estratto dalla mia immagine, mi sono voltato e ho potuto vederla immobile alle mie spalle, non ho provato paura, anzi una sensazione di puro rilassamento”.
“Descrivimela meglio Peter, se ti riesce, naturalmente”.
“Di certo doveva essere calva: la sua testa era tonda e liscia come un uovo; il fisico era molto avvenente, vestiva una tuta molto sottile aderente alle forme che pareva non essere cucita ma un pezzo unico in quanto non potevo distinguere la presenza di bottoni, chiusure lampo o altro di simile”.
“Cosa ti ha detto? Di cosa avete parlato?”
“Non parlavamo, dottore, comunicavamo telepaticamente. In tal modo mi ha illustrato il suo mondo posto all’estremità opposta dell’universo parallelo a cui Omega conduce”.
“Omega non è dunque una dimensione, bensì uno spazio intermedio tra il nostro universo e quello opposto? Poi cosa ha fatto questa donna? Ti ha portato nel suo mondo?”
Peter ebbe un attimo d’esitazione.
“Allora? Ti ha portato o no, Peter?”
Alzò per un attimo gli occhi al cielo quasi a volersi inventare una risposta quindi replicò: “No Dottore, non mi ci ha portato!”
“Te lo dico francamente, Peter: faccio molta fatica a crederti. Questa nostra conversazione non è da considerarsi in ogni caso conclusa, soltanto sospesa. Ti dico inoltre che mi ha deluso parecchio la tua disobbedienza circa quanto avevo stabilito per la simulazione. Hai rischiato di rimanere là per sempre e devo ammettere che é stato per puro caso se sono riuscito a riportarti a casa ancora sano e salvo”.
Peter non sembrava affatto turbato o intimidito da ciò che Hunt gli diceva, rispose anzi con un sorriso.
“Si sbaglia, Dottore: non è stato un caso, l’uso dello specchio glielo hanno suggerito loro”.
“Quelli del mondo nell’universo parallelo?”
“Sì, Dottore.”
“Che cosa vogliono?”
“Aiuto.”
“Da noi? E in che modo? Aiuto per cosa?”
“Ci sono in atto dei conflitti e hanno bisogno di lei, proprio di lei Dottore, per poterli risolvere. Dicono che lei è l’unico in grado di poterli capire”.
Hunt picchiò d’istinto un pugno sulla propria scrivania, spalancò gli occhi increduli e gettò all’indietro la testa, scoppiando nel contempo in una fragorosa risata.
“E’ pazzesco Peter, quando te la sei sognata questa cosa qui? Hai una fantasia molto fervida, lo sai?”
“Loro sono l’origine delle nostre fantasie e delle nostre paure, Dottore, sembrano provenire dall’esterno, ma comunicano attraverso le nostre sensazioni”.
Hunt tornò improvvisamente serio, tutto si attendeva ormai tranne una simile risposta, ne rimase spiazzato anche perché la sentì vera, autentica.
“Perché dicono che solo io li posso capire? Come fanno a conoscermi questi … alieni?”
“Ma non sono alieni! Sono persone come noi. Vivono in un universo parallelo, in un mondo parallelo del tutto simile al nostro, ma con una visione delle cose totalmente differente dalla nostra. Il nostro negativo è il loro colore naturale e per loro, viceversa, guardare i nostri colori è altrettanto difficile. La nostra dimensione Epsilon risulta remota a noi ma appartiene ancora al nostro universo. Quello parallelo, invece, è abitato da esseri umani dissimili da noi che hanno sviluppato conoscenze nei più svariati campi, seguendo concezioni in ogni caso diverse dalle nostre. Non si sbagliava quando disse ai quei due magnati nel salone che non si usava petrolio dall’altra parte”.
“Quindi potevi sentirmi da là, Peter!”
“Non attraverso la sua voce Dottore, attraverso i suoi stati d’animo!”
“Quella era soltanto un’ipotesi”.
“Suggeritale da loro, Dottore, mi creda, ci pensi solo per un istante e capirà che è vero”.
Bob prese Peter per le spalle e, fissandolo negli occhi gli formulò la domanda che più di tutte a quel punto gli urgeva risolvere.
“Peter! Chi sono loro?”
Il ragazzo, sorridendo e senza scomporsi rispose. “Lei lo sa Dottore! Loro sono, in un certo qual senso, la sua gente. Lei appartiene a loro. Sono tutti coloro a cui in qualche modo é stato impedito di esistere da questa parte. Sono coloro che non sono mai nati”.
Hunt rimase letteralmente paralizzato da quelle ultime parole. Gli occhi spalancati, la bocca serrata. Una lacrima improvvisamente scivolò lungo il viso. Lui era nato per miracolo: sua madre per poco non lo aveva abortito.
Da quel momento comprese che a Peter era stato assegnato un ruolo di intermediario per comunicare con lui.
“Che cosa volete da me? Volete che venga da voi?”
“Non ora, il tempo non è ancora giunto, occorreva solo stabilire un contatto, giusto perché tu sapessi che ci siamo. Bisogna inoltre che tu sia informato riguardo al magnate giapponese scomparso: le donne che stavano con lui provenivano da qui e lo hanno prelevato. Purtroppo per lui non c’è stato più nulla da fare: Petra, la Regina di Scandia lo ha fatto torturare e uccidere pretendendo di sapere cose riguardanti te delle quali non poteva in alcun modo essere informato”.
Bob ebbe un lieve accenno di sorriso sarcastico.
“Non compiacerti mai del male d’alcuno, Robert Hunt! Non osare mai giudicare in modo avventato le debolezze altrui. Ricordati che ne hai anche tu, anche se di diversa natura!”
Mai in vita sua come in quel momento Robert ebbe modo di provare una sana vergogna di se stesso.
Abbassò gli occhi al cospetto di Peter e si morse leggermente le labbra.
“Ma chi è questa regina? Perché mi sta cercando?”
“Per ora non ti è dato di sapere altro. Prosegui con il tuo lavoro, Hunt. Al momento opportuno ti richiameremo noi. I tuoi stessi esperimenti ti saranno da guida ad una maggiore comprensione delle cose. Abbi cura di te”.
Peter perse nuovamente i sensi e Robert lo colse al volo, prima che questi potesse crollare sul pavimento.
“Certo che qui le sorprese non finiscono mai! Accidenti, quanto pesi, ragazzo mio!”
Lo distese quindi su una branda per farlo riposare.
“Molto bene! Adesso diamoci da fare. Abbiamo una nuova autorità a cui obbedire!”
Sintonizzò il suo monitor su Beta e tentò una connessione alle nano particelle installate negli occhi di Jeremy Tanner, ma non ricevette risposta.
“Devono esserci parecchie interferenze nel segnale oggi, vediamo di cambiare frequenza”.

Jeremy Tanner, fallito il tentativo di rientro in Alpha a causa della rottura dello specchio nell’aula magna provocato da Jasmine, riprese ad aggirarsi per le stanze della 6D in Dimensione Beta, cercando di individuare una possibile altra via d’uscita.
Fece diversi tentativi per attirare l‘attenzione di tutti quelli che incrociava, però sempre senza successo.
“Non mi fischiano più nemmeno le orecchie, dannazione! Proprio ora che ne avrei particolarmente bisogno”.
Adocchiò alle spalle la figura atletica, effettivamente ben tornita da madre natura, di Jasmine beta dirigersi alla volta dell’uscita della 6D e, seguendo come sempre il proprio istinto da lupo affamato, le andò dietro.
“Ma sì! In fondo che fretta c’è? Ho proprio voglia di divertirmi un po’ con la signorina crepe suzette”.
Giunsero sul ciglio di un marciapiede, lei alzò un braccio come a richiamare l'attenzione di qualcuno.
“Taxi! Taxi!” esclamò ad alta voce.
L’autista fermò l’autovettura presso di lei e abbassò la testa in posizione d’ascolto.
“Mi porti all’Hotel Donington, per favore!”
Jasmine beta s’introdusse nel lato posteriore del taxi e, dopo essersi accomodata, prese a consultare le proprie note circa un’intervista da realizzare.
“No, no, Mon Dieu! Perché mai dovrei domandare ad uno dei migliori chef francesi operanti in America se gli manca la nouvelle cuisine?”
Estrasse la sua stilografica e cominciò a depennare tutto ciò che trovava subdolo, ambiguo, insignificante e stupido da chiedere, giungendo infine a salvare solo due domande su venticinque. Sbuffò sonoramente pensando: “Siamo alle solite! Dovrò aggiustare le cose da me anche questa volta”.
Jeremy le stava seduto accanto, ammirandola compiaciuto e anche particolarmente eccitato.
“Adesso posso fare di te quello che mi pare francesina, tanto tu non ti accorgerai nemmeno”.
E mentre Jasmine pensava alle domande da porre, mordicchiando leggermente il cappuccio della stilografica e guardando in aria con fare assente, il vecchio Tanner la toccava un po’ ovunque con atteggiamenti alquanto lascivi.
Il giochetto proseguì per alcuni minuti quando, all’improvviso, ecco che un altro dei bachi del sistema Virtuality colpì la malcapitata immagine beta di Jasmine e l’ectoplasma di Tanner, compiendo una delle fusioni più allucinanti a cui si avesse mai potuto assistere: lei svenne lì per lì nel taxi e l’ectoplasma di Jeremy si ritrovò catapultato all’interno del suo corpo.
Il tassista, un messicano che pur guidando non riusciva a togliere gli occhi di dosso da quella bella cliente, preoccupato per le sue convulsioni si diresse senza indugio verso il più vicino ospedale, presso il quale giunsero in poco più di sei o sette minuti.
“Madre de Dios! Fa che la senorita se riprenda! Es un real pecado veder morire tanta grazia!”
Jasmine giaceva sul lettino a rotelle sospinto in gran fretta dagli infermieri e, di tanto in tanto, sentiva bisbigliare voci confuse e incomprensibili perché coperte da un forte fischio alle orecchie.
D’un tratto si eresse sul lettino tra lo stupore generale e strappandosi di bocca con furia la mascherina dell’ossigeno urlò a squarciagola: “Si può sapere che diavolo sta succedendo qui?”
Gli infermieri, i medici e tutti quelli che stavano passando di là, si bloccarono stupiti per aver udito una voce così roca e maschile uscire da un così splendido corpo femminile.
Jeremy Tanner si guardò intorno, prese poi ad osservarsi le mani, il vestito, le gambe e naturalmente i seni.
Dopo un discreto intervallo, dato da quattro o cinque secondi di autentico stupore, la nuova Jasmine Poloni Beta, dagli occhi non più neri bensì verdi, abbozzò un mezzo sorriso e, scendendo dal lettino, con disinvoltura si rivolse ai presenti: “Sì, lo so, non sono davvero niente male!”
Quindi girò loro le spalle e si allontanò.
Giunta o giunto verso l’uscita dell’ospedale, incrociò il tassista, il quale, contento di rivederla in buona forma, le corse incontro.
“Senorita! Meno mal que està bien!”
Per tutta risposta il poveretto ricevette un forte spintone che lo rispedì sulla poltrona dalla quale si era appena alzato.
“E levati di mezzo, tu!”
Jeremy Jasmine Poloni Beta prese a camminare per strada con aria soddisfatta pensando tra sé: “Volevo possederti, francesina, ma mai avrei immaginato di arrivare a farlo fino a questo punto!”
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Re:Vi presento Robert Hunt
« Risposta #25 il: Aprile 07, 2017, 17:41:27 pm »
Bello davvero.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:Vi presento Robert Hunt
« Risposta #26 il: Aprile 27, 2017, 10:43:17 am »
Nono capitolo. Buona lettura.  :)

IX – Scambio tra dimensioni

“Che strano” pensò Robert Hunt, non riuscendo più a cogliere il segnale dagli occhi di Jeremy.
“E ora dove sarà? Potrebbe essere anche qui, da qualche parte”.
Peter si alzò dalla branda e stropicciandosi gli occhi disse a Hunt: “La prego di scusarmi Dottore, mi sono addormentato all’improvviso, spero di non averle creato problemi”.
Robert si voltò e gli sorrise, quindi rispose: “Non hai nulla di cui scusarti Peter, eri stanchissimo e avevi bisogno di riposare, inoltre lo sai che ci tengo che tu ti mantenga in forma, altrimenti non renderesti nulla!”
Questo tipo di risposta sorprese Peter perché lo sentì sincero e seriamente preoccupato, cosa piuttosto insolita da parte di chi lo aveva  abituato a repliche ironiche e provocanti.
Il cellulare di Bob vibrò all’improvviso, vi diede un’occhiata per scoprire chi fosse.
“Sally? Una vita che non la sento, che vorrà mai?”
 
Sally Giller, ex compagna di studi universitari di Hunt, si era brillantemente laureata in medicina e specializzata in patologia legale.
Erano stati insieme per alcuni mesi a quei tempi, in seguito si erano persi di vista per ritrovarsi successivamente circa sei o sette mesi prima.

Sally gli aveva inviato il seguente messaggio: “E’ successa una cosa particolarmente strana della quale ti vorrei parlare perché mi ha fatto tornare in mente ciò di cui discutesti un giorno in università e ti costò parecchie ammende. Ti prego, chiamami quanto prima. Sally”.
Robert si rivolse immediatamente a Peter per impartirgli nuove istruzioni.
“Ascolta, devo uscire per circa mezz’ora, tieni monitorato il nostro amico Steven Kent in Epsilon e registra tutte le note che ritieni necessarie”.
Al momento Robert preferì non rivelare ancora al ragazzo della presenza di Tanner in Beta.
“Sarà fatto Dottore, stia tranquillo”.
“E se dovesse cercarmi la figlia di Tanner, dille che la chiamerò io quanto prima per sapere se ci sono novità riguardo suo padre”.
“D’accordo Dottore, non si preoccupi, a più tardi”.

Guadagnando l’uscita della 6D Robert compose immediatamente il numero di Sally e si pose in attesa.
Una voce composta ma allo stesso tempo molto profonda e affascinante deliziò l’orecchio di Bob della sua presenza.
“Ciao Robert, potresti passare da me entro domani al massimo? Ho una cosa da mostrarti”.
“Di cosa si tratta Sally?”
“Mi hanno portato da esaminare il corpo di un uomo semicarbonizzato, ha preso fuoco all’interno di un aereo appena atterrato”.
“Un attentato terroristico?”
“Così si era pensato inizialmente, ma sono emersi particolari che ci lasciano tutti alquanto perplessi, ma ti prego, cerca di venire qui in patologia legale in modo che anche tu, vedendo con i tuoi occhi, possa renderti conto della situazione”.
“D’accordo, dammi dieci minuti e sono da te”.
“Dimmi ora Bob, come stai?”
“Dovrei dormire un po’ di più, credo, ma tengo ancora discretamente il passo e tu, Sally?”
“Avrei bisogno sicuramente di una vacanza, magari in Europa …”.
Sally stava per aggiungere un’affermazione del tipo “magari con te”, ma non ebbe il tempo di farlo perché Bob la interruppe all’istante.
“Capisco, a tra poco”.
L’Europa non era più stata una delle sue mete più ambite da quando ci si trasferì una sua vecchia conoscenza, a cui lui teneva molto e che avrebbe preferito fosse rimasta in America, ma non era a Jasmine che stava pensando.
Richiamò subito Peter per avvisarlo dell’eventuale prolungarsi della sua assenza.
“Senti, all’ora di pranzo molla pure tutto e vai a mangiare liberamente, se non sono ancora lì e incontri Lucy Tanner, tu non mi hai visto né sentito. Mi arrangerò io con lei, va bene?”
“D’accordo, Dottore, ma che succede? Posso essere d’aiuto in qualche modo?”
“Tranquillo Peter, posso fare da me, poi ti spiegherò tutto”.
“Prima di spiegare dovrai comprendere, Hunt!”
Bob spalancò gli occhi all’udire quella voce, la riconobbe immediatamente, sentì poi riattaccare e fu assalito da una legittima preoccupazione.
“Speriamo che Peter non svenga di nuovo e batta la testa da qualche parte, adesso non posso proprio tornare indietro”.
Tentò di richiamare, Peter rispose subito.
“Grazie al cielo! Stai bene, Peter?”
“Certo, Dottore. Mai stato meglio e qui tutto fila liscio. Non si preoccupi, ci vediamo quando torna”.

Bob giunse alla reception del centro di Patologia Legale nei tempi previsti, nonostante l’intenso traffico causato da lavori in corso.
“Buongiorno, sono il Dottor Robert Hunt e sono atteso dalla Dottoressa Giller”.
“Un attimo solo, Dottore, vedo se la Dottoressa la può ricevere”.
Durante l’attesa poté intravedere in lontananza le immagini trasmesse da un televisore riguardanti la notizia di un uomo bruciato vivo all’interno di un aereo e istintivamente si avvicinò per ascoltare.
“Il cadavere di David Bowen, proveniente da Detroit, sarà sottoposto ad autopsia per eventuali accertamenti del caso. Suscita diversi interrogativi il fatto che quest’uomo abbia potuto carbonizzarsi senza aver tuttavia in alcun modo danneggiato nessuna delle cose e delle persone che lo circondavano. Come potete vedere, la zona che occupava sull’aereo è ancora perfettamente intatta, come se nulla fosse successo: non una bruciatura, nessun odore di fumo, nessuna traccia. Diverse testimonianze affermano che l’uomo pareva stesse dormendo e che, poco prima dell’atterraggio, abbia improvvisamente preso fuoco, scatenando il panico tra i presenti all’interno dell’abitacolo”.
Fu a quel punto che intervenne la voce di Sally sopraggiunta in quel momento.
“Quell'uomo è morto d’infarto prima di bruciare, Bob e questo rende la cosa ancora più difficile da comprendere. Se costui avesse voluto suicidarsi, non ne sarebbe stato in grado. C’è inoltre da segnalare che non gli è stato rinvenuto alcun residuo di sostanze infiammabili addosso. Pertanto, mi chiedevo se a te tutto ciò potesse suggerire qualcosa”.
Bob si voltò e la vide, bellissima come sempre, tuttavia non si scompose minimamente, le fece giusto un mezzo sorriso e annuì col capo.
“Ti riferisci alle teorie che disputai allora in Università, vero?”
“Proprio a quelle, Bob. Riconoscerai anche tu che le similitudini a riguardo sono a dir poco sconcertanti”.
Bob si trovò in tal modo proiettato nei ricordi di quasi venti anni prima. Rivide l’aula nella quale illustrò le sue teorie dimensionali, le espressioni dipinte sui volti dei presenti: stupite nei compagni di studi, perplesse e quasi infastidite nei docenti. Li rivide confabulare tra loro finché all’improvviso il suo discorso fu troncato con un secco: “Va bene, grazie signor Hunt, può accomodarsi ora!”
Ricordò la conseguente convocazione in ufficio del rettore e l’ammonimento di questi, senza avere la minima possibilità di replica.
Le reiterate minacce di espulsione dall’università, le facce deluse dei compagni alla sua uscita dall’ufficio.
Era chiaro a tutti che le sue teorie, per quanto interessanti, infastidivano qualcuno, ma non si riuscì mai a comprendere cosa ci fosse dietro a tutto ciò.
Ricordò come Sally lo guardò in quella circostanza e come lui invece era tutto preso a cercare lo sguardo di Sarah, la sua ragazza di allora: Sarah Dawson.
Robert la conosceva sin dai tempi del college, dolcissima e vivace, sempre sorridente, il tipo di donna che aveva sempre desiderato.
Quel giorno rimase sorpreso nel notare in lei un’espressione di totale disapprovazione nei suoi confronti, se non addirittura di disprezzo per ciò che andava teorizzando.
Cercò quindi di parlarle, di comprendere il senso di quel suo atteggiamento.
“Vorrei tanto fosse così come dici Bob, avrei ancora la possibilità di sperare che, se non qui, perlomeno da qualche altra parte le cose procedano secondo le nostre attese”.
Rimase fortemente turbato all’udire quelle sue affermazioni. “Perché dici così Sarah? Chi o cosa ci impedisce di portare avanti il progetto della nostra vita insieme?”
La risposta che ottenne da lei fu l’unica che mai avrebbe voluto ricevere: “Tu non puoi capire Bob, io e te non potremo mai stare insieme. Devo andare via, lontano, in Europa. Là c’è …”.
“Un altro uomo? Oggi è proprio una giornata stupenda! Di quelle in cui ci si vede davvero crollare il mondo addosso in pochi secondi! Da quanto tempo stai con lui?”
“No Bob! Non è come pensi tu, non c’è nessun altro uomo”.
Era sincera e le sue lacrime lo provavano, Robert Hunt lo comprese subito dal profondo del proprio cuore.
“Perché allora?”
“Devo lasciarti Bob! Non ti dimenticherò mai. Ti amo, te lo giuro, ma insieme saremmo infelici per sempre, tu non puoi nemmeno immaginare …”.
“Io non capisco Sarah! Dici che mi ami e mi abbandoni? Non mi dimenticherai mai? Allora non hai nemmeno intenzione di tornare”.
“Non sono io a volere questo, credimi, ma devo farlo! Un giorno capirai, lo so!”
“Un giorno capirò, Sarah? E perché non ora? Non sono abbastanza maturo per comprendere?”
“I tempi non sono maturi! Oh, Bob vorrei tanto lo fossero già”.
Detto questo gli cinse le braccia al collo e lo baciò con un moto fortemente passionale, quasi rabbioso, al punto da spaventarlo, poi fuggì via singhiozzante, lontano da lui, e quella fu l’ultima volta che la vide.

“Bob, mi stai ascoltando?” lo richiamò Sally.
Robert spalancò gli occhi come capita a chi viene risvegliato all’improvviso.
“Sì Sally, sono qui, dimmi tutto”.
“D’accordo, vieni, ti mostro quell’uomo”.
Giunti in laboratorio, Sally sollevò il lenzuolo del cadavere dinanzi agli occhi di Bob che, al vederlo, non riuscì a trattenere una leggera smorfia di disgusto.
“Come hai sentito dalle notizie è bruciato senza far danni, sembra quasi un fatto totalmente estraneo all’ambiente che lo circonda, ricordi Bob? Sono parole tue, queste”.
Bob osservandolo e ascoltando le parole di Sally provò un tremito lungo la schiena, poi esclamò: “Ma certo! Questo è uno scambio d’eventi tra diverse dimensioni! Costui non è la persona che si trovava sull’aereo, è la sua immagine proveniente da un’altra dimensione e materializzatasi nella realtà! Quindi l’uomo vero deve essersi scambiato con la sua immagine!”
Chiamò nuovamente Peter.
“Mi dica, Dottore”.
“Peter, cerca su tutte le frequenze dimensionali un avvenimento con incendio avvenuto nelle ultime ventiquattro ore, nel raggio di cento chilometri da qui e appena trovi qualcosa trasmettimelo immediatamente, è importante!”
“Me lo avevano detto che mi avrebbe chiamato per questo: c’è un uomo che dorme pacifico e beato nel bel mezzo di un cumulo di rottami fumanti e di corpi carbonizzati in dimensione Delta. Un aereo proveniente da Detroit è precipitato nelle vicinanze del monte Riansares a poche miglia dalla Route 80”.
“Chi te lo ha detto, Peter?”
“Loro, Dottore. Lo sa benissimo anche lei di chi sto parlando. Dicono anche che fermare il collisore non è servito a molto, ma non dobbiamo preoccuparci perché c’è ancora tempo”.
“Tempo per cosa Peter? Deve forse venire la fine del mondo?”
“Non me l’hanno detto!”
“Non scherzare con me, soprattutto su cose come queste! Per cosa c’è ancora tempo?”
“Lo saprai a tempo debito Hunt! D’ora in poi riponi maggiore fiducia nel ragazzo! Lo abbiamo scelto perché meritevole di riceverne”.
“Ah sì? Lo avete notato anche voi quanto sa essere impulsivo?”
“Tu hai sempre saputo ricavare lo stesso il meglio da lui, ma lui ha bisogno di maggiore fiducia da parte tua!”
Robert avvicinò la mano destra alla fronte nell’atto di imitare un saluto militare e con tono polemico e di sfida rispose: “Sissignore!”
La voce sparì e Bob ebbe immediatamente la sensazione interiore della sua assenza.
Abbassò la mano, si guardò intorno tenendo ben saldo il cellulare all’orecchio, attese alcuni istanti ed infine disse: “Avanti! Stavo solo scherzando!”
Era uno dei tipici difetti caratteriali di Hunt, pretendere serietà dagli altri quando egli per primo tendeva a disconoscere una qualsivoglia autorità esterna al suo sé.
La differenza sostanziale circa la provenienza della voce stava nel fatto che, come aveva preannunciato Peter, era originata interiormente, così da toccare le corde vibranti più profonde dell’inconscio di ognuno, Robert Hunt compreso.
“Era proprio quello che temevamo, Sally: si è verificato uno scambio di eventi tra dimensioni. Rimane solo da sperare che si tratti di un caso isolato e non del primo di una lunga serie”.
“Pensi di potere in qualche modo rimettere le cose al loro posto, Robert?”
“Non lo so, ma se non ci proverò io, non lo potrà o vorrà fare nessuno!”

In quel preciso istante, in dimensione Delta, il David Bowen di Detroit proveniente dalla realtà, fu risvegliato dal suo pisolino in aereo da un odore acre di bruciato e dal suono di almeno una trentina di mezzi di soccorso tra polizia, vigili del fuoco e ambulanze.
Intorno a sé vide materializzarsi in sostanza l’inferno, si osservò tutto il corpo e non riuscì a credere i propri occhi nel vedersi sano e salvo; vide avvicinarsi i primi soccorritori leggendo loro in viso un’aria di totale scoramento e rassegnazione.
“Non c’è speranza di trovare nessuno qui! Sono tutti morti!”
Prese perciò ad agitare le braccia e ad urlare per farsi trarre in salvo: “Ehi voi! Venite! Sono qui!” ma nessuno poteva vederlo o sentirlo.
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« Risposta #27 il: Maggio 30, 2017, 13:41:02 pm »
Decimo capitolo. Buona lettura.  :)

X - Nuove sorprese per Steven

In Epsilon gli avvenimenti si discostavano di parecchio rispetto alla realtà, taluni erano addirittura completamente ribaltati e il povero Steven si ritrovò ad assistere a scene e situazioni circa la propria stessa vita che mai avrebbe potuto immaginare.
Il cruccio peggiore, per chiunque capitasse dall’altra parte, era l’impossibilità di interagire con l’ambiente circostante.
Si aggirava per New York in mutande e canottiera, coprendosi preventivamente nel malaugurato caso che qualcuno potesse ancora vederlo.
“C’è qualcosa che non quadra qui, è tutto così diverso, accidenti! Ci sono molte cose che mi ricordano New York ma non sono del tutto sicuro di trovarmi nel posto giusto”.
Capitò nelle vicinanze di Central Park, osservò alcune mamme sedute su una panchina conversare tra loro e contemporaneamente dondolare con una mano le carrozzine al loro fianco.
Provò un forte sentimento di tenerezza ripensando alla sua infanzia e al desiderio grande di poter avere un figlio da Margaret.
“Ormai è troppo tardi! Lei ora sta con quel tizio. Forse lo farà con lui, forse ne hanno già … che rabbia però, a me non ha mai chiesto di ritardare al lavoro per poter fare l’amore!”
Se la vide sfrecciare in parte, con il passo sicuro da sportiva convinta e determinata, con gli auricolari del suo MP3 nelle orecchie e, una volta tanto, sorridente e non annoiata o stressata com’era solita mostrarsi a lui.
“Sì Maggie, forse adesso tu sei veramente felice e io sono felice per te”.
Sentì un forte nodo alla gola e gli occhi inumidirsi, percepì la presenza di una lacrima sul proprio viso, la sentì cadere al suolo, ma nessun altro l’avrebbe notata poiché essa, inconsistente in quella dimensione, non avrebbe nemmeno formato una macchia sulla nuda terra.
Riprese a vagare sconsolato, guardandosi intorno solo di tanto in tanto, vide le persone accalcate ai semafori in attesa del verde per poter attraversare: c’era chi parlava al cellulare, chi mangiava fugacemente in piedi un sandwich e chi si osservava nello specchietto di una trousse da trucco per assicurarsi che le ciglia fossero ben allungate e il rossetto non sbavasse.
Per la prima volta nella sua “vita” si rese conto di come la gente in certi momenti sia solo un insieme d’involucri chiusi e totalmente concentrati su sé: non un sorriso, non un saluto, solo occhi puntati sugli orologi o sui propri telefoni.
“Dio, che tristezza, eppure sono sempre stato anch’io così … è proprio vero che diamo talmente tutto per scontato al punto da svuotare le cose del loro senso. Potessi tornare indietro ora, al diavolo tutte le mie cravatte e le mie camicie stirate e le ore perse davanti al computer! Penserei solo a riabbracciare lei, stare insieme con lei, fare tutto con e per lei”.

Margaret Alpha, quella vera, se ne stava seduta da sola su una panchina in Central Park e si lasciava accarezzare da un tiepido vento guardandosi intorno spaesata.
Non indossava la tuta stavolta e non ascoltava la musica com’era solita fare.
Il suo sguardo era smarrito: di Steven nessuna notizia, di lì a poco si sarebbe recata al più vicino distretto di polizia a denunciarne la scomparsa.
“Che diavolo stai combinando oggi Steve? Così perderai il lavoro, lo sai? Dove sei? Dammi un segno, uno squillo, parliamo, parliamo sì, è proprio di questo che io e te abbiamo bisogno, chiamami! Parliamo, sento che adesso mi manchi davvero …”.
Un sussulto improvviso, il cellulare vibrava nella borsetta, Maggie vi affondò subito dentro il braccio nella disperata ricerca del tanto agognato oggetto che forse lo stava riconducendo a lei, osservò lo schermo, una mano sugli occhi … no, era solo sua sorella, Jennifer.
“Ciao ti disturbo? Volevamo sapere, io e Michael, se tu e Steven potete fare un salto da noi dopo cena”.
Proruppe immediatamente in lacrime senza dire nulla.
La voce dall’altra parte riprese: “Maggie, cos’hai? Perché piangi? Cosa è successo?”
“Se n’è andato, Jenny! Temo che stavolta Steve se ne sia davvero andato!”
“Che stai dicendo Maggie? Dove sei adesso?”
“In Central Park, non so più cosa pensare, l’ultima volta l’ho visto ieri sera, poi stamattina sono successe quelle cose strane a casa, credevo si trattasse di uno dei suoi soliti scherzi …”.
I singhiozzi cominciarono a diventare sempre più forti.
“Non ti muovere Maggie, avviso Michael e sono subito da te!”
Jennifer la raggiunse circa mezz’ora dopo, Maggie si alzò dalla panchina, le andò incontro e si abbracciarono.
“Su, sorellina, non fare così, vedrai che si farà vivo al più presto, avete litigato ancora vero? Certo che siete due bei caratterini entrambi, Io almeno sono riuscita a domare un po’ il mio Michael. Vedrai che si risolverà tutto! Adesso vieni a stare un po’ da noi, se non altro sei in compagnia, qui sembri una vagabonda!”
“E’ tutta colpa mia Jenny! E ora mi ha lasciata!”
“Ma cosa dici Maggie? Cerca di calmarti, lo troveremo. Stai tranquilla, adesso. Hai mangiato almeno qualcosa?”
Rispose di sì, era convinta di aver mangiato, si era proposta di farlo al momento opportuno ma l’ansia aveva preso il sopravvento su lei.
“Non mi convinci! Hai un aspetto da cadavere ambulante. Appena arriviamo ti preparerò qualcosa, forza, sali!”
Maggie salì in macchina ed entrambe si diressero a casa di Jennifer.
Ironia della sorte, Maggie e Steven erano ancora entrambi pressoché nello stesso posto eppure impossibilitati a vedersi, in quanto in due mondi distinti e separati.

Steven si aggirava per New York Epsilon ancora convinto di essere morto, finché non assistette ad una scena che lo fece rimanere di stucco: da una limousine nera parcheggiata sul lato opposto della strada uscirono quattro tipi dall’aria minacciosa, in doppio petto e occhiali scuri, erano le guardie del corpo di una personalità importante.
Uno di loro si accingeva ad aprire la portiera posteriore, dalla quale si vide uscire in rapida sequenza uno spettacolare paio di gambe, dominate da un attillatissimo abito rosso.
Di rosso fuoco erano colorate anche le labbra della stupenda donna che si nascondeva dietro larghi e tondi occhiali neri e il cui modo di camminare e muoversi, come tutto il resto, la dicevano lunga sulla sua aggressività ed eccessiva sicurezza nei propri mezzi.
Lucy Tanner, in Epsilon, era il manager e la padrona del Tanner Fashion Magazine, una delle più autorevoli riviste di moda a livello mondiale.
Era una donna talmente priva di scrupoli da divenire uno dei  principali artefici della rovina di suo padre.
Lei stessa avrebbe ordito l’ultima speculazione per vederlo finire in strada.
Lo odiava, suo padre, perché ritenuto troppo onesto e malleabile nel mondo degli affari e sua madre lo aveva abbandonato anzitempo, mangiandosi già una discreta fetta del loro capitale.
Lucy non voleva assolutamente correre il rischio di ritrovarsi su una strada, fece quindi piazza pulita e lo rovinò, senza il benché minimo rimorso di coscienza.
L’omuncolo che la seguiva a ruota, reggendole la borsetta, più che sembrare suo marito aveva tutta l’aria di un tizio qualsiasi che si ritrovava lì con lei come spaesato, senza quasi saperne il motivo.
Alla sola vista di quell’uomo, Steven s’irrigidì all’istante: “Non è possibile! Che storia è questa? Io sono morto, sono un fantasma! Che accidenti ci faccio lì con una donna così appariscente e dallo sguardo così minaccioso? Non è certamente il mio tipo!”
In quel preciso istante Lucy porse la mano verso quell’ometto chiamandolo a sé.
“Vieni, Steve! Sbrigati, l’elicottero è già in cima al palazzo che ci aspetta e io non voglio perdere troppo tempo con i fotografi”.
L’ectoplasma di Steve si soffermò ad osservare la reazione della sua immagine Epsilon, aspettandosi naturalmente un comportamento da vero uomo anziché un timido, tremante ed eccessivamente ossequioso: “Arrivo, cara …”.
“Ecco! Come appunto dicevo, quello non posso essere io!”
Spinto dalla curiosità, seguì il gruppo all’interno del palazzo e lo vide infilarsi all’interno di un ascensore, seguendo uno schema predefinito: Lucy Tanner e Steven Kent Epsilon nel mezzo e le quattro guardie del corpo agli angoli dell’abitacolo.
L’ascensore chiuse le porte e iniziò la sua salita verso l’ultimo piano.
Lucy prese a sbuffare e a farsi aria con una copia dell’ultima stampa della sua rivista in mano, mentre il marito al suo fianco le osservava con desiderio la scollatura del vestito.
Una delle guardie fece un mezzo sorriso e la donna, accorgendosi della situazione da dietro i suoi occhiali neri, prima alzò gli occhi al cielo, poi sbuffò più intensamente e infine, con un cenno della testa, ordinò al capo delle guardie di voltare loro le spalle. Prese quindi con veemenza per la nuca suo marito e gli affondò la faccia in mezzo ai propri seni.
“E’ questo che vuoi, vero tesoro? Avanti, assaggia, bacia, ma ricordati che te lo devi meritare! Perciò, quando ti dico di muoverti, tu ti muovi. Mi hai capito bene?”
L’immagine Epsilon di Steven riuscì a rispondere appena con un filo di voce, causa lo spavento e il soffocamento che si era ritrovato a subire: “S… s… sì amore… tut… tutto quello che vuoi …”.
L’ectoplasma di Steven reale, invece, totalmente inorridito da una simile scena di sottomissione, ebbe un immediato moto di reazione.
“Ehi! Ma chi diavolo sei, per permetterti di trattarmi in questo modo?”
Tentò di afferrarla, come per richiamarne l’attenzione e farla voltare verso di lui, invece l’unica cosa che ottenne fu di attraversarla e di ritrovarsi nel bel mezzo di quella strana coppia.
Improvvisamente si sentì tirare per la giacca alle sue spalle e fu stordito da un forte fischio alle orecchie.
Pochi istanti dopo si vide steso per terra all’interno dell’abitacolo dell’ascensore: la sua immagine Epsilon l’aveva involontariamente incorporato ed era svenuta.
Lucy lo fissava dall’alto, tenendo sollevati gli occhiali neri, mostrando in tal modo i suoi bellissimi e penetranti occhi verdi, autentici gioielli che Madre Natura si era prodigata generosamente di donare ai Tanner.
“Sei sempre il solito, Steve! Scegli ogni volta il momento peggiore per attirare l’attenzione su di te. Adesso rialzati buono a nulla e riprenditi al volo, prima che si aprano le porte dell’ascensore e comincino ad abbagliarci i fotografi con i loro flash. Non sarebbe affatto divertente finire in prima pagina in una situazione di questo tipo”.
Steven la guardò stranito e lei per tutta risposta lo toccò su un fianco con la punta della scarpa.
“Allora imbecille! Ti vuoi alzare o no?”
Mai, prima d’allora, la Lucy Tanner di Epsilon aveva visto uno sguardo così freddo e risoluto nell’ometto che si stava ergendo dinnanzi a lei.
Steven le diede una forte spinta. Due delle guardie la presero al volo, mentre le altre estrassero le loro pistole e gliele puntarono in faccia.
L’ascensore fu immediatamente bloccato.
“Per quanto tu sia bella ed avvenente, io non ti permetto nella maniera più assoluta di trattarmi come se fossi un tuo zerbino! Sono stato chiaro?”
Ripresasi dalla sorpresa, Lucy replicò: “Senti senti e tu da dove salti fuori ora? Ricordati che se non fosse per me, ora saresti ancora a marcire in quell’ufficio d’agenzia di borsa dal quale ti ho tirato fuori. Rammentati che ti ho sposato perché ci sai fare con i numeri e sai trattare con l’agenzia delle tasse, ma per quanto concerne tutto il resto sei un emerito incapace! Se sei ancora con me è perché ho pietà di te! Perciò ora mi chiedi perdono e ti riordini! Dobbiamo apparire al meglio dinanzi a quegli avvoltoi affamati di pettegolezzi!”
La guardia del corpo ripeté lo stesso mezzo sorriso di prima.
Steven non rispose nulla, si piazzò spalle alla porta dell’ascensore e lo riavviò fissando i presenti in silenzio.
“Allora?” riprese asciutta Lucy, “Sto ancora aspettando la tua umile richiesta di scuse!”
Le porte si aprirono alle spalle di Steven e il carosello di flash e di domande ebbe immediatamente inizio.
Steven si voltò verso di loro, poi le urlò a gran voce: “Potete andare al diavolo tu, i tuoi ridicoli scagnozzi e tutto il circo che ti porti appresso! Ti saluto, strega!” Quindi si fece largo in mezzo alla calca di fotografi e se ne andò.
Lucy spalancò gli occhi incredula per ciò che le sue orecchie avevano appena udito, poi gli inveì contro: “Tu non sei nessuno senza di me, hai capito? Nessuno! Te ne pentirai amaramente, Steven! Tornerai in ginocchio da me, in meno di una settimana!”
Lui, allontanandosi, ondeggiò la testa pensando: “E io avrei sposato questa pazza scatenata? Come posso aver commesso una simile idiozia?”
Una volta ripreso il controllo della situazione, Lucy chiamò a sé il capo delle sue guardie, gli indicò con lo sguardo quella che precedentemente aveva riso in ascensore e gli sussurrò in un orecchio: “Licenzia subito quell’idiota, Tommy! Fallo davanti a me, ora! Voglio godermi la faccia che farà, mentre glielo dirai! Voglio proprio vedere se avrà ancora così tanta voglia di ridere!”

Steven, a quel punto, era più confuso di prima: il risveglio, l’impossibilità di toccare le cose, osservare Maggie che amava un altro uomo, ritrovarsi in mutande per strada e scoprirsi sposato con una donna che possedeva un’aggressività a dir poco letale e infine ritrovarsi nei panni di un altro sé totalmente sottomesso a quella mantide! Il tutto nel giro di poche ore.
Portava inoltre con sé le preoccupazioni della vita reale: “Accidenti, quindi non lavoro più con Frazier, dovrò tornare da lui e chiedergli di riassumermi se adesso voglio andare avanti! Dovesse comunque andarmi male posso sempre fare altro, piuttosto che stare con quella pazza sono disposto anche a pulire latrine! Certo che una giornata simile supera proprio ogni mia immaginazione! Che altro potrà mai capitarmi, ora?”
Stava per raggiungere il palazzo dove aveva sede la Frazier & Co. quando l’ennesima sorpresa lo colse.
“Questa poi! Non solo non sono morto, ma qui addirittura resuscitano i morti! Dove accidenti sono finito?”
Si diede un pizzicotto su un braccio per cercare di capire se era sveglio e il dubbio fu fugato all’istante.
“Mamma e Frank che si bevono un caffé al bar ridendo e scherzando? Bene, almeno ora sarà contenta e forse la smetterà di tormentarmi per la mancanza del suo figliolo prediletto”.
Si nascose dietro un angolo del palazzo, in seguito decise di aggirarlo del tutto.
“Tra tutti i bar di New York, proprio quello sotto Frazier dovevano scegliere, speriamo che si allontanino alla svelta perché oggi non mi va affatto di intrattenermi con loro!”
Le sue speranze si rivelarono vane perché Frank Epsilon, che a differenza di quello reale godeva d’ottima salute, lo aveva già notato da lontano e gli si stava facendo incontro.
Vedendo che Steven si stava invece allontanando lo chiamò a gran voce.
“Steve! Dove stai andando? Vieni, io e mamma ti stavamo aspettando!”
Stavolta Steven non ebbe più l’impressione di essere un fantasma, bensì quella di trovarsene uno davanti.
Nel momento in cui Frank lo abbracciò, provò tuttavia dentro di sé un sincero moto di commozione.
Quanto gli mancava suo fratello …
Steven sentiva che bastava poco, veramente molto poco, affinché chiunque gli stesse vicino conquistasse il suo affetto, bastava avvicinarlo e farlo sentire apprezzato e voluto così come era. Steven non chiedeva altro.
“Che hai Steven? Mi sembri sconvolto, che succede?”
Si pose una mano sulla fronte fingendo di avere una lieve emicrania, ma in realtà si stava asciugando gli angoli degli occhi con il pollice e il dito medio, mimando un leggero massaggio.
Cosa aveva? Un rimescolamento interiore talmente intenso da far crollare un cavallo, ecco che cosa aveva!
“Non è niente Frank, solo un leggero mal di testa. Porgi le mie scuse a mamma, oggi non ho proprio tempo di fermarmi. Ho parecchie cose da sistemare. Ci vediamo presto”.
Abbozzò il sorriso più radioso che gli potesse riuscire al momento, quindi se ne andò con passo fugace, come se di fretta ne avesse avuta davvero tanta.
Lo sguardo perplesso di Frank lo seguì, finché non lo vide voltare l’angolo successivo del palazzo, ebbe come la tentazione di seguirlo e di chiamarlo di nuovo, poi ci ripensò e tornò dalla madre rimasta sola, seduta al tavolo del bar.
“Steven ti saluta e si scusa mamma, dice che purtroppo oggi non ha tempo di fermarsi con noi”.
“Lo so, lo capisco”, rispose lei, “avere per moglie una come Lucy Tanner deve richiedere parecchio impegno. Povero ragazzo! L’ambizione lo ha accecato. Lui e Maggie stavano così bene insieme, lei era dolce e solare. Quando lui la lasciò per mettersi con Lucy, era distrutta. Fortunatamente per lei le cose poi sono andate meglio. Ora è felicemente sposata con il suo ex datore di lavoro”.
Se Frank avesse seguito Steven, lo avrebbe trovato appoggiato al muro del palazzo, nel disperato tentativo di trattenere le lacrime che continuavano a fuoriuscire copiosamente.
Le emozioni che lo stavano assalendo erano decisamente troppe tutte insieme.
Aveva bisogno di fermarsi e cercare di capire, gli era soprattutto necessario ridare ordine alle proprie idee.
“D’accordo Steve, adesso ti dai una calmata, aspetti che se ne vadano e poi cerchi di riprenderti il posto di lavoro. Una volta sistemate queste cose vedrai di ottenere il divorzio da quella pazza e, per quanto concerne Maggie, cercherai di incontrarla il meno possibile, forse in tal modo te ne farai una ragione, riuscirai a dimenticarla e guarderai avanti come è giusto fare quando ci si ritrova in simili situazioni, ma che sto dicendo? Maggie! Io ti amo! Perché mi hai fatto questo? Chi è quell’uomo? Com’é potuto accadere? Dobbiamo parlare, ora, dobbiamo chiarire. Devo assolutamente capire com’è stato possibile che questa mattina mi sia alzato ritrovandomi qui con la mia vita completamente cambiata!”

Lasciò perdere il lavoro e s’incamminò sulla via del ritorno a casa, quella che in realtà lo era sempre stata, ma che in Epsilon non gli apparteneva, come colei che ci viveva e tutto il resto.
Giunto dinanzi alla porta di quella casa, Steven era talmente preso dal desiderio di rivedere Margaret che si dimenticò di aver acquisito un corpo e finì con lo sbatterci contro il naso. Dopo di che la porta si aprì poiché Maggie, passandoci davanti, aveva percepito distintamente il tonfo. Vide perciò un uomo che, voltandole le spalle, si copriva il viso con le mani mugolando dal dolore.
“Oh, accidenti! Come mi dispiace! Posso fare qualcosa per lei?”
Steven si voltò: aveva una leggera perdita di sangue dal naso.
“Maggie… ” non riuscì a dire altro.
Quanto tempo era che non la vedeva così bella? Erano passate solo poche ore, ma per lui era come se si fossero allontanati da anni e in Epsilon era effettivamente andata così!
Le loro rispettive immagini si erano lasciate già da quattro anni e la sua era sposata con quella di Lucy Tanner ormai da tre.
“Steven! Cosa ci fai qui? Ma… tu sanguini! Entra, presto e cerca di guardare verso l’alto, dammi una mano, ti conduco io”.
In pochi minuti l’emorragia fu domata.
“Ecco fatto. Ora puoi riabbassare la testa. Cosa stavi facendo con la mia porta? Temevo me la stessero buttando giù” disse sorridendogli.
Steven la fissò a lungo, tenendosi il cotone emostatico premuto nella narice, poi, istintivamente, tese ad avvicinare le proprie labbra a quelle di Maggie.
Lei se ne avvide immediatamente e obiettò un flebile: “No, Steve, no… cosa…?”
Il contatto di quelle bocche sprigionò una tale carica di passione da farli tremare entrambi.
Maggie ebbe un improvviso moto di rabbia e lo allontanò da sé.
“No! Cosa diavolo ti viene in mente?”
Divenne rossa in volto e i suoi occhi s’inumidirono.
“Come puoi pensare di farmi questo ora? Dopo quasi quattro anni! Ora che tutto è passato e comincio a sentirmi felice con Mark!”
“Maggie, tu non immagini neppure cosa mi sia successo”, le rispose timidamente e in modo confuso.
“Oh sì invece, mio caro! Semplicemente hai fatto la tua scelta: rincorrere il successo e il denaro! Ora vorresti farmi credere di esserne pentito, ma non puoi pensare semplicemente di cambiare le cose di nuovo! C’è un altro aspetto niente affatto trascurabile: io non ti amo più. Mark ora è l’uomo della mia vita e lo sarà per sempre. E’ meglio che ora tu riprenda la strada di casa, prima che la tua adorata Lucy sguinzagli i suoi dobermann. Non voglio noie con lei Steven, nessuno ne vuole avere con quella donna, perciò tornatene da dove sei venuto e lasciami vivere in pace”.
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Offline giuspal

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Re:Vi presento Robert Hunt
« Risposta #28 il: Luglio 11, 2017, 17:20:06 pm »
Undicesimo Capitolo. Buona lettura.  :)

XI – Comunicazioni inconsce

“Diavolo, come sono bella!” pensava Jeremy Tanner ammirandosi incorporato nell'immagine Beta di Jasmine Poloni.
“Tutti quelli che incrocio per strada continuano a voltarsi! Che spasso essere un bocconcino simile. Voglio proprio divertirmi a far impazzire un po’ di maschi adesso, vediamo un po’ quel biondino là, sì tu, proprio tu, vieni qui, bravo …”.
“Che fai in giro tutta sola, bellezza? Hai bisogno di qualcuno che ti stia accanto, che ti protegga dal resto del mondo … è così cattivo il mondo, sai piccola?”
Tanner scrutò il tipetto biondo con i suoi penetranti occhi verdi, gli sorrise e poi lo spinse via urlando con il suo vocione da scaricatore di porto: “Levati di torno bamboccio, altrimenti sarò costretta io a proteggere te! Ahahahahah!”
Lui la guardò tra il sorpreso e lo schifato, quindi rispose: “Chi diavolo sei? Un maledetto travestito? Sparisci, prima che ti rompa quel bel faccino che ti porti appresso!”
Prontamente Jasmine-Jeremy colpì il malcapitato calciandolo con la scarpa appuntita proprio nel punto considerato maggiormente debole in ogni uomo, lasciandolo in tal modo piegato sulle ginocchia al bordo del marciapiede, completamente senza fiato per il dolore immane.
“E ora devo immediatamente ritrovare una persona”, pensò tra sé dirigendosi sulla via del ritorno alla 6D.
Vi giunse in taxi in meno di venti minuti, scrutò verso le finestre del piano più alto della palazzina.
“A noi due Robert Hunt Beta! Finché non avrò la soddisfazione di fare a pezzi il vero Bob, mi sfogherò su te!”
S’introdusse con passo deciso nella hall della 6D guadagnando in pochi istanti l’accesso in ascensore.
Raggiunto il secondo piano, le porte di quest'ultimo si aprirono e Jeremy si ritrovò dinnanzi sua figlia.
“Lu…”, fece per esclamare il suo nome, ma immediatamente si trattenne.
Lucy la guardò e le domandò, porgendole amichevolmente la mano.
“Ci siamo forse già viste? La sua faccia non mi è nuova, signorina …”.
“Poloni, Jasmine Poloni! Scusi la voce ma sono stata colta in pieno da un tale mal di gola”, replicò lui-lei ostentando una voce in falsetto e tentando di imitare l’accento francese. “Con chi ho l’onore?”
“Mi chiamo Tanner, Lucy Tanner, figlia del Presidente della 6D. Se sta cercando mio padre sappia che in questo momento non è qui. Deve essere impegnato altrove, ma quando si assenta non lascia mai detto a nessuno dove trovarlo, rendendosi sempre in tal modo irreperibile!”
In quelle ultime parole Lucy tradì una discreta misura d’acredine che Jeremy accolse con un mezzo sorriso, pensando nel frattempo che non era minimamente intenzionato a dover rendere conto delle proprie azioni alla figlia.
“No, la ringrazio, a dire il vero sono qui per incontrare il Dottor Hunt, per intervistarlo circa le ultime novità su alcune sue scoperte”.
All’udire ciò, Lucy si avvicinò per sussurrarle all’orecchio: “Stia attenta a quel tizio, se devo essere sincera non mi piace il modo in cui si atteggia. Per carità, un bravo scienziato, sa fare bene il suo lavoro, ma spesso tende a dimenticarsi che se non fosse per mio padre questo centro ricerche probabilmente non avrebbe nemmeno ragione di esistere. Per quanto mi riguarda è solamente uno spreco di tempo e denaro. Quando il mio vecchio mollerà, farò smantellare tutta questa ferraglia tecnologica e trasformerò questo luogo nella più importante rivista di moda del pianeta!”
Il vecchio Tanner si fece forza ed incassò anche quell’ennesima coltellata morale, nonostante il sangue avesse preso a bollirgli in testa.
“Bene, è stato un vero piacere conoscerla signorina Lucy, le auguro una piacevole giornata!”
Uscito dall’ascensore Jeremy aggiunse nella sua mente: “Quando tornerò a casa, io e te faremo i conti! Te la do io la rivista di moda. Ti diseredo razza d’ingrata che non sei altro, proprio della stessa pasta di tua madre!”
Giunse infine alla porta dello studio di Hunt e diede due lievi colpi alla vetrata.
La voce di Bob Beta rispose dall’interno: “Avanti!”
Per quanto ormai la conoscesse bene, Hunt mostrò un’inconsueta sorpresa nel vederla.
“Hai dimenticato qualcosa, tesoro?”
Si alzò di scatto dalla sua sedia andandole incontro.
“Forse so che cosa hai dimenticato e sono felice che tu sia tornata indietro apposta”.
Jeremy non fece in tempo a proferire parola perché Bob mise Jasmine a tacere baciandola all’istante dinanzi alla porta ancora semi-aperta.
Non appena Bob si staccò da lei per chiuderla, Tanner, s’infilò una mano in bocca con l’intento di pulirsi la lingua, disgustato da quel contatto alquanto inatteso e, soprattutto, indesiderato.
Bob l’ammirava incantato.
“Oggi sei stupenda più che mai Jasmine! Lasciami contemplare il tuo viso, le tue labbra così dolci, il tuo nasino all’insù e i tuoi occhi così… così… verdi???”
Un rovescio partì d’istinto e Bob si ritrovò scaraventato contro la propria scrivania.
Jeremy non gli diede il tempo di realizzare cosa stesse accadendo, lo colpì subito con un calcio all’addome e, infine, con un colpo di karaté alla nuca lo fece stramazzare a terra privo di sensi.
“Bene, per oggi mi sono sfogato abbastanza, non ho alcuna intenzione di ammazzarti finché non avrò trovato il modo di tornare a casa. Spiacente per te, Bob Beta, è tutta colpa della tua controparte reale. Semmai un giorno v’incontrerete sappi che dovrai prendertela con lui. Ti saluto!”
Uscì quindi dallo studio, scrocchiandosi le dita delle mani soddisfatto.
Allorché Bob Hunt Beta rinvenne, era tutto un dolore, si trascinò fino in bagno e si osservò allo specchio, il labbro sanguinava e probabilmente aveva anche un dente rotto.
“Accidenti, come picchia Jasmine! E questo solo perché le ho detto che aveva gli occhi verdi? Ma io glieli ho visti, non me li sono mica sognati, non avrà pensato che avessi in mente un'altra?”
Lo specchio del bagno si oscurò all’improvviso, proiettando un’immagine in negativo di Hunt.
“Un momento, questo che significa?”
La stessa voce comunicante con la sua consistenza reale le rivolse la parola.
“Colei che ti ha colpito non era Jasmine, hai visto giusto Hunt! In lei abita l’ectoplasma di Jeremy Tanner proveniente dalla dimensione consistente. L’ha inviato il tuo Essere. Non temere, presto ti libereremo di lui”.
“Voi provenite da Omega, vero?”
Non ottenne risposta e lo specchio tornò quello di prima.
Si medicò sbrigativamente, quindi si diresse verso il suo laboratorio.
“Devo cercare di vederci più chiaro in questa faccenda”.
Fu in tal modo che l’immagine Beta suggerì inconsciamente la stessa idea al suo corrispettivo consistente Robert Hunt, il quale però, trovandosi in quel momento più lontano dalla 6D, si avvalse della collaborazione di Peter, comunicando con lui per telefono.
“Ascolta Peter, ho bisogno di sapere un po’ di cosette”.
“David Bowen è sempre tra i rottami dell’aereo in Delta, Steven Kent in Epsilon ha appena litigato con sua moglie che non è Maggie Lowry bensì Lucy Tanner. Jeremy Tanner in Beta invece non si vede ancora!”
Hunt ascoltò prima con stupore, poi, memore del collegamento diretto di Peter con quelli dell’altra parte, rispose con un sorriso: “Grazie Peter!”
“Di nulla Dottore! Mi chiedono se lei se la sente di fare un giretto in Delta, per riportare a casa il nostro amico di Detroit”.
Si girò verso il corpo del malcapitato e, vedendolo così ridotto dopo il trattamento ricevuto da Sally Giller, ebbe un attimo di perplessità.
“Temo che non ci sia più nulla da fare per quel poveraccio, anche se rientrasse nel suo corpo non sopravvivrebbe”.
“Ci vada Dottore, si fidi, si punti contro la fotocamera: è già sincronizzata con Virtuality”.
“Mi raccomando Peter! Mira bene!”
Malgrado le proprie raccomandazioni, Hunt si accorse in seguito di essere giunto in Delta in buona compagnia.
“Sally! Che accidenti ci fai qui anche tu? Peter, rimandala subito indietro!”
“No, Hunt devi portarla con te! Ti sarà d’aiuto a convincere Bowen a seguirvi, è troppo scosso e tu, da solo, non lo smuoveresti di un millimetro”.
Bob alzò gli occhi al cielo, sbuffò lievemente, si voltò verso Sally e disse: “Sissignori, obbedisco! Va bene, stammi vicino e segui le mie istruzioni, se ti perdo qui non è facile ritrovarti come a casa”.
Sally gli mise una mano sottobraccio e soggiunse: “Ti seguirò ovunque andrai, caro!”
Hunt scosse la testa un po’ desolato pensando: “Comincia ad esserci un po’ troppa gente in giro per le diverse dimensioni, finiremo realmente per perdere qualcuno, di questo passo!”
Lo spostamento in forma d’ectoplasma comportava la copertura di grandi distante in tempi brevissimi. Guidati dalla Voce, Bob e Sally giunsero pertanto sul luogo del disastro in pochissimi minuti.
“Mio Dio, che sfacelo, impossibile trovare superstiti qui!” Esclamò Sally a gran voce.
“Beh, meglio che sia accaduto qui piuttosto che nella realtà, non trovi?” riprese Hunt.
“Perché, Bob? Secondo te cambia qualcosa? Anche qui ci saranno almeno centoquaranta o centocinquanta morti!”
“Ma non hanno una consistenza reale, Sally! Assistiamo ad un’ipotesi alternativa alla realtà: nelle diverse dimensioni le ipotesi di ciò che non accade nella realtà vengono progressivamente disperse fino all’attuazione di ogni probabile evento”.
“Sarà come dici, ma è comunque impressionante, non trovi?”
“Zitta! Ascolta …”.
“E’ possibile che nessuno mi veda e mi senta? Allora, sono morto? Dove sono tutti gli altri? Perché sono rimasto da solo?”
Bob e Sally si scambiarono una rapida occhiata d’intesa. “L’abbiamo trovato, andiamo!”
La Voce intervenne avvisandoli: “Fate presto, prima che tutta la scena dell’evento sia risucchiata in Omega!”
David Bowen se ne stava lì, in piedi, senza muovere un passo, era tremendamente agitato: quella situazione d’incertezza sul proprio stato lo turbava profondamente.
“Siamo qui, Signor Bowen, siamo venuti a riportarla a casa”, esordì Bob.
“Fermi là! Portarmi dove? Siete Angeli della Morte, vero? No, no! Non ci voglio venire con voi! Andate via, via!”
Hunt fece per avvicinarsi, ma Sally lo trattenne: “Aspetta, ci penso io. David Bowen! Siamo qui per te! Unicamente per te! Lasciati andare e fidati di noi!”
Come un cagnolino obbediente Bowen allungò le sue braccia in avanti e s’incamminò verso di loro esclamando: “Eccomi!”
Bob sbarrò gli occhi e sorrise compiaciuto: “Però! Ci sai fare con i defunti, Sally!”
Lei, guardandolo sottecchi, rispose: “Vorrei saperci fare anche con un vivente di mia conoscenza”.
Lui, guardandosi intorno con fare noncurante, accennò a fischiare un motivetto.
“Razza di presuntuoso! Chi ti dice che stessi parlando di te?”
Improvvisamente un tuono e la terra prese a tremare, nel cielo una crepa nera si era appena formata e andava allargandosi a vista d’occhio.
“Dannazione! Muoviamoci! L’Omega si sta aprendo su noi!”
Si avvinghiarono entrambi all’ectoplasma di Bowen mentre Hunt, estraendo lo smartphone e rivolgendolo contro tutti e tre, gridò: “Peter! Adesso!”
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Re:Vi presento Robert Hunt
« Risposta #29 il: Luglio 12, 2017, 01:33:15 am »
Pieno di idee interessanti, grazie Giuspal.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.