Autore Topic: La realtà dei paesi dell'Europa dell'est  (Letto 76665 volte)

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Offline Dario Bernini

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #405 il: Giugno 01, 2020, 18:19:26 pm »
Da anni che vivo a Kiev. Sono avvocato Italiano in Ucraina (***spamming commerciale rimosso***).
Mi sembra che ho trovato un vero paradiso. La maggior parte degli italiani non se ne redono il conto questo paese è promettente, è un paradiso fiscale e di investimento. Solo a Kiev, la capitale, ci sono più progetti di costruzione che in tutta Italia.
Nonostante il conflitto armato nell'Ucraina orientale, c'è molta più vita, movimento e opportunità rispetto all'Italia.
« Ultima modifica: Giugno 01, 2020, 23:40:08 pm da Vicus »

Online Frank

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #406 il: Giugno 01, 2020, 19:03:28 pm »
Ora anche l'Ucraina sarebbe un paradiso ?


https://it.insideover.com/economia/lucraina-in-bilico-tra-crescita-e-poverta.html
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Povertà radicata
Malgrado le prospettive di sviluppo dell’Ucraina appaiano incoraggianti non bisogna dimenticare il punto di partenza del Paese, che è tra i più poveri d’Europa. Il salario medio mensile è di circa 380 euro, quello minimo si aggira intorno ai 150 euro mentre le pensioni minime raggiungono appena i 52 euro mensili. Non è raro anche nella capitale Kiev, la città più ricca del Paese, imbattersi in anziani ridotti in condizioni di miseria estrema e costretti a mendicare per sopravvivere.


http://www.fataturchinaeconomics.com/2019/10/da-dove-discende-la-corruzione-dellucraina-di-daron-acemoglu-e-james-a-robinson-da-project-syndicate-14-ottobre-2019/

https://it.qwe.wiki/wiki/Corruption_in_Ukraine



Offline Vicus

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #407 il: Giugno 01, 2020, 23:34:46 pm »
Dario se non sei venuto solo a fare pubblicità del tuo studio legale, per favore presentati qui:
https://www.questionemaschile.org/forum/index.php/board,6.0.html
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

Offline Dario Bernini

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #408 il: Giugno 02, 2020, 12:52:12 pm »
E bello di vedere le facce di Italiani surprise quando vengono in Ucraina la prima volta  :wacko: :wacko:
Ucraina sta facendo la stessa strada che fu Polonia.
https://www.atlanticcouncil.org/blogs/ukrainealert/ukraines-underrated-economy-is-poised-for-a-strong-2020/

Non sto cercando di promuovere il mio studio legale qui. Cerco soltanto cambiare un po la impressione su Ucraina.
SI ci sono tanti problemi ancora... e ci vogliono anni per cambiare le cose. Ma nelle citta grandi il guadagnio medio e piu di $900.

Offline Vicus

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #409 il: Giugno 02, 2020, 13:16:00 pm »
 :hmm: Per non essere uno spammer parli un italiano particolare.
Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #410 il: Giugno 02, 2020, 15:41:55 pm »
E bello di vedere le facce di Italiani surprise quando vengono in Ucraina la prima volta  :wacko: :wacko:
Ucraina sta facendo la stessa strada che fu Polonia.
https://www.atlanticcouncil.org/blogs/ukrainealert/ukraines-underrated-economy-is-poised-for-a-strong-2020/

Non sto cercando di promuovere il mio studio legale qui. Cerco soltanto cambiare un po la impressione su Ucraina.
SI ci sono tanti problemi ancora... e ci vogliono anni per cambiare le cose. Ma nelle citta grandi il guadagnio medio e piu di $900.

Sì ma non c'è bisogno di fingere di essere italiani.
Inoltre è significativo il fatto che ho dovuto stimolarti io, perché altrimenti ti saresti guardato bene dall'evidenziare le magagne dell'Ucraina...
Trattasi di un fatto che non mi stupisce minimamente, perché come ho avuto modo di scrivere innumerevoli volte, proprio in questo forum, gli abitanti di altri paesi tendono regolarmente ad occultare i guai della propria nazione, al contrario degli italiani che invece godono nell'autoflagellarsi.
Il motivo è semplice: gli stranieri sono nazionalisti, gli italiani no.
A parte una ristretta minoranza, gli abitanti del Bel Paese sono esterofili e campanilisti.

Offline fritz

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #411 il: Giugno 03, 2020, 00:48:08 am »
gli abitanti di altri paesi tendono regolarmente ad occultare i guai della propria nazione, al contrario degli italiani che invece godono nell'autoflagellarsi.
Il motivo è semplice: gli stranieri sono nazionalisti, gli italiani no.
A parte una ristretta minoranza, gli abitanti del Bel Paese sono esterofili e campanilisti.

Sono d'accordo con te tranne in un punto: gli italiani non sono in maggioranza autorazzisti. È la stampa e la magistratura ad avere questa tendenza (e ci sarebbe da aprire un topic a parte su quest'argomento). Purtroppo è una minoranza assai rappresentativa quella degli autorazzisti italiani, la quale occupa i posti di potere.

Offline fritz

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #412 il: Giugno 03, 2020, 00:51:39 am »
@Dario Bernini

Immagino che tu sia ucraino. L'Ucraina è un paese che vedo sempre amichevolmente, mi pare inoltre che nella zona di Odessa ci sono parecchi discendenti di italiani. Sei di quelle zone?

Tuttavia l'economia ucraina come quella di tutta l'est europa (incluse in parte anche R. Ceca e Ungheria) è ancora troppo povera per gli standard occidentali.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #413 il: Giugno 03, 2020, 01:08:37 am »
Sono d'accordo con te tranne in un punto: gli italiani non sono in maggioranza autorazzisti. È la stampa e la magistratura ad avere questa tendenza (e ci sarebbe da aprire un topic a parte su quest'argomento). Purtroppo è una minoranza assai rappresentativa quella degli autorazzisti italiani, la quale occupa i posti di potere.

Non credo esistano statistiche ben precise al riguardo, ma se devo basarmi sulla mia esperienza posso tranquillamente affermare che la maggioranza degli italiani è autorazzista.
In particolar modo se si parla di uomini avanti con gli anni (esempio: mio padre quasi ottantenne).

Offline fritz

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #414 il: Giugno 03, 2020, 01:19:29 am »
Ti posso dire che di sicuro gli autorazzisti li trovi nelle scuole e nelle università. E questo è un gran danno, perché influenzano generazioni sin dagli albori. L'informazione italiana è palesemente in mano a  correnti eversive filo europeiste, di cui non voglio discuterne qua ma verso cui nutro forti riserve e critiche. Tra questi, per esempio, lo slogan della Cirinnà "dio, patria e famiglia: che vita di merda" (salvo poi dire l'esatto contrario in piena pandemia covid-19).

Purtroppo questi sono l'esempio perfetto di ciò  che intendo. Nelle università si invitano le persone ad andare all'estero, li si incita in tutti i modi raccontando loro che fuori c'è l'el dorado. Sì, l'el dorado che finisce in un cesso di 20mq a lavorare come precari a vita all'estero, arricchendo quei paesi e impoverendo l'Italia (dove, qualora fossero rimasti, avrebbero avuto ben altra più fortunata sorte anche con un minor stipendio).

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #415 il: Giugno 06, 2020, 19:47:01 pm »
https://www.eastjournal.net/archives/106423

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RUSSIA: La mutilazione genitale femminile approda in tribunale
Lilly Marciante 2 giorni ago

Per la prima volta, in Russia, una vicenda di mutilazione genitale femminile è diventata motivo di procedimento penale: una bambina di nove anni nel giugno 2019 è stata illegalmente sottoposta a escissione clitoridea a Magas, capitale dell’Inguscezia, repubblica autonoma situata nel Caucaso settentrionale.

Storia di un’escissione illegale

La bambina, originaria della Cecenia, era stata invitata insieme al fratello dal padre, che vive in Inguscezia con la seconda moglie, per trascorrere insieme il fine settimana. Durante la permanenza è stata forzatamente portata in una clinica dove le è stata praticata una forma di mutilazione genitale femminile, l’escissione. Ad accompagnare la piccola nella clinica Ajbolit di Magas è stata la moglie del padre, con il pretesto di un vaccino. Una volta arrivate, la bambina è stata fatta sedere e minacciata di morte qualora si fosse ribellata. Mentre la donna e il personale della clinica le tenevano ferme braccia e gambe, la ginecologa Izanja Nal’gieva ha eseguito l’escissione.

Al momento dell’intervento non c’era nessun rappresentante legale della piccola e gli adulti presenti le hanno detto che era una procedura comune per tutte le bambine. Quando la bambina è tornata a casa piangendo e con evidenti tracce di sangue, il fratello ha dato l’allarme alla madre in Cecenia. A quel punto, i piccoli sono stati rimandati a casa dal padre che ha dato loro una somma di 500 rubli (circa 7 euro) per il viaggio di ritorno. Al telefono con la madre della bambina, il padre ha giustificato l’intervento con le parole “non volevo che mia figlia si eccitasse”.

Venuta a conoscenza dei fatti, la donna ha presentato ricorso all’ufficio del procuratore della repubblica di Inguscezia e al comitato investigativo per la Cecenia e il 27 giugno 2019 è stata avviata un’indagine penale contro la ginecologa della clinica. Una settimana dopo l’accaduto, la dottoressa Nal’gieva ha ammesso di aver praticato “un’incisione cutanea a livello del clitoride” d’accordo con i genitori. Più tardi, durante l’interrogatorio, ha cambiato la sua versione dei fatti dicendo di aver fornito solo assistenza medica e non aver eseguito alcun intervento chirurgico: “Ho letto distrattamente il protocollo e ho affermato di aver praticato la circoncisione. Non avevo con me la cartella clinica della paziente e non avevo memorizzato tutte le informazioni”, ha poi ritrattato la ginecologa.

Il caso ha interessato gli attivisti per i diritti umani e alcune Ong che hanno presentato una petizione al fine di incriminare la direzione della clinica per abusi sessuali e danni alla salute di un minore. Il rappresentante della clinica Ajbolit, Beslan Matiev, ha asserito che l’intera vicenda è un tentativo di speculazione ai danni della clinica da parte della famiglia della bambina, aggiungendo che la ricevuta attestante la procedura effettuata era falsa. La Ong Pravovaja Initsiativa (Iniziativa legale) ha dimostrato che la clinica continua a fornire servizi di mutilazione genitale femminile. Nell’account Instagram della struttura, infatti, è riportato che la ginecologa pediatrica Izanja Nal’gieva esegue queste procedure al prezzo di duemila rubli (circa 25 euro). A conferma di ciò, il quotidiano online Meduza ha pubblicato la prima versione del listino prezzi di Ajbolit del luglio 2016 dove il servizio compare al costo di 2.000 rubli. Nel novembre 2018 lo stesso quotidiano ha portato alla luce il caso di una clinica a Mosca che lo offriva per motivi religiosi.

Le mutilazioni in Russia

La pratica della mutilazione, a volte anche chiamata circoncisione femminile, consiste nella rimozione parziale o totale dei genitali esterni femminili. Oltre a essere terribilmente pericolosa, rappresenta una estrema forma di violazione dei diritti di donne e bambine, una vera e propria forma di violenza di genere. La pratica riflette convinzioni ataviche, spesso religiose, ed ha come fine il controllo della vita sessuale di una donna prima e dopo il matrimonio: mantenere la verginità e successivamente garantire la fedeltà al marito.

In un intervento del 6 febbraio 2015, l’allora segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon ha invocato la fine di una pratica tanto barbara. La Ong Stichting Justice Initiative (SRJI) che si occupa di violazioni dei diritti umani, sparizioni, torture e processi iniqui nei territori di Cecenia, Inguscezia e Daghestan, nel 2017 ha portato alla luce diversi casi (almeno 1240) di mutilazione genitale femminile in Daghestan, dove la popolazione è prevalentemente musulmana. Lo studio, condotto dalle ricercatrici Antonova e Siradzhudinova, ha dimostrato che la pratica, nonostante l’assenza di attenzione o di dibattito pubblico, è ancora molto diffusa nel territorio.

A detenere il primato per numero di donne che hanno subìto la pratica sono i distretti di Tsuntinskij e Bezhtinskij, dove tutte le donne intervistate hanno dichiarato di essere state sottoposte a mutilazione; nel distretto di Botlichskij il fenomeno ha riguardato l’80% delle intervistate, mentre nei distretti di Tsumadinskij e Tljaratinskij a subire la pratica è stata la metà delle ragazze. Tutte le donne interpellate hanno dichiarato di aver avuto problemi di natura sessuale e metà di loro di aver subìto un forte trauma psicologico dovuto all’operazione. A decidere di eseguire l’intervento è spesso la madre o altri parenti di linea materna spinti da senso di appartenenza alla comunità o per iniziazione religiosa.

Dalle interviste a personalità religiose, poi, sono emersi pareri discordanti sulla necessità di praticare tali mutilazioni. Le esperte hanno intervistato imam appartenenti alla ‘casta sacerdotale’  e non. I primi sostenevano a gran forza la pratica definendola parte delle prescrizioni dello Sciafeismo, una delle scuole giuridico-religiose del sunnismo islamico; gli imam ‘non ufficiali’ d’altra parte, pur considerandola una pratica religiosa, l’hanno definita inutile e dannosa. Dal momento che più del 90% della popolazione in Daghestan segue lo Sciafeismo, è ragionevole ritenere che gran parte della popolazione locale consideri la mutilazione genitale femminile una procedura obbligatoria. Secondo gli esperti religiosi “[la circoncisione] è un’imposizione sunnita e chiunque lo ignori può cadere nel peccato” e la pratica è condotta per “calmare la follia delle donne”.

La pubblicazione dello studio ha suscitato diverse polemiche in Daghestan. Ismail Berdiev, il muftì della repubblica Karačaj-Circassia, situata nel Caucaso settentrionale, ha dichiarato che tutte le donne devono essere circoncise così da prevenire la depravazione sulla Terra e ridurre la sessualità. Berdiev ha poi ritrattato dicendo che si trattava di uno scherzo. Il muftì ha ricevuto il supporto dell’arciprete ortodosso Vsevolod Čaplin che ha postato sulla sua pagina Facebook il seguente messaggio: “[esprimo] la mia vicinanza al muftì. Spero che non ritratti quanto detto a causa delle crisi isteriche che nasceranno”.

Nel 2016 è stato presentato alla Duma di Stato un disegno di legge sulla responsabilità penale per mutilazione genitale femminile, ma non è ancora stato adottato. La causa intentata nei confronti della ginecologa Nal’gieva e della clinica Ajbolit, se portata a termine, costituirebbe il primo processo che affronta il tema delle mutilazioni genitali femminili in Russia. La madre della bambina ha dichiarato che il giudice ha più volte proposto la riconciliazione fra le parti. Il processo, che è iniziato a dicembre, procede a rilento a causa delle misure restrittive in atto per la pandemia.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #416 il: Giugno 06, 2020, 19:50:03 pm »
https://www.eastjournal.net/archives/106702

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RUSSIA: Picchetti di protesta individuali e arresti a catena
Claudia Bettiol 3 giorni ago

Il 28 maggio scorso, a Mosca e San Pietroburgo, sono state arrestate più di una trentina di persone scese in strada a protestare individualmente a sostegno del giornalista e deputato comunale Il’ja Azar, fermato appena qualche giorno prima dalla polizia russa. Formalmente, Azar è stato incarcerato per aver organizzato dei picchetti di protesta individuali, violando così le misure restrittive relative alla quarantena introdotte lo scorso marzo dal sindaco di Mosca, Sergej Sobjanin, per contrastare l’epidemia nel paese. L’accusa nei confronti di Azar è la stessa usata per questa nuova serie di arresti, concatenatisi negli ultimi giorni.

Un picchetto tira l’altro

Corrispondente della testata indipendente Novaja Gazeta dal 2017 ed ex collaboratore di Meduza, il giornalista e deputato comunale Il’ja Azar è stato arrestato lo scorso 26 maggio mentre manifestava da solo vicino all’edificio del ministero degli Interni di Mosca. Azar stava protestando a sostegno di Vladimir Vorontsov, amministratore di una comunità online nota come “Difensore civico della polizia” che pubblica segnalazioni di abusi all’interno del ministero degli Interni russo, quando è stato fermato dalle forze dell’ordine.

Come riferisce il canale Telegram Apologija Protesta (apologia della protesta), il 28 maggio un tribunale distrettuale di Mosca ha condannato Azar a 15 giorni di arresto amministrativo, ritenendolo colpevole di aver ripetutamente violato la legge relativa agli assembramenti, nonostante il fatto che abbia picchettato in solitaria. Oltre alla presunta violazione dell’articolo 20.2 del codice amministrativo di Mosca (partecipazione a una manifestazione non autorizzata), il giornalista è stato multato per aver trasgredito la parte 2 dell’art. 3.18.1: violazione del regime di quarantena di Mosca.

Ben noto per il suo giornalismo investigativo, non è la prima volta che vediamo Il’ja Azar nei panni di attivista od organizzatore di raduni e piccole manifestazioni. Nell’estate del 2019, a Mosca, è stato proprio lui a coordinare una marcia solidale per l’ex collega e amico Ivan Golunov; ed è sempre lui a tenere delle proteste settimanali nella metropolitana della capitale a sostegno dei prigionieri politici. Tuttavia, l’arresto della scorsa settimana ha spinto attivisti e giornalisti a protestare individualmente in segno di solidarietà.

Gli arresti concatenati

Proprio il giorno del suo arresto, alcune manifestazioni di protesta isolate di solidarietà nei confronti di Azar hanno visto l’intervento della polizia nella capitale e in diverse città russe, tra cui Novosibirsk, Ekaterinburg e San Pietroburgo. Gli arresti sono cominciati ancora prima dell’inizio dei picchetti stessi, tanto che diversi attivisti non hanno nemmeno avuto il tempo di tirar fuori i propri cartelli o striscioni di protesta.

Tra i detenuti nella capitale, oltre ad alcuni deputati municipali del partito “Jabloko”, anche numerosi colleghi di Azar: il caporedattore di Mediazona, Sergej Smirnov, Tat’jana Usmanova di Otkrytaja Rossija e gli autori del canale Drugoe mnenie e di Echo Moskvy, Aleksandr Pljuščev e Tat’jana Felgenhauer – solo per citarne alcuni. I protocolli di ognuno riportano le stesse accuse fatte ad Azar, ai sensi degli stessi articoli.

Gli agenti delle forze dell’ordine, intervenuti prontamente, hanno dichiarato che queste azioni individuali sono di natura illegale poiché nella capitale è in vigore un severo regime di quarantena per combattere l’epidemia globale di coronavirus. Tuttavia, il presidente dell’Unione dei giornalisti russi, Vladimir Solov’ëv, ha chiesto di verificare la legalità di questi arresti, poiché le norme non prevedono il divieto di atti individuali. Inoltre, secondo la Costituzione russa, i diritti umani e le libertà – compresa la detenzione per proteste – possono essere limitati dalla legge federale, ma non da un decreto amministrativo emanato dal sindaco.

Tat’jana Usmanova sostiene che la detenzione dei “picchettatori” non ha nulla a che fare con le disposizioni relative all’auto-isolamento dovute alla pandemia; o perlomeno, non nella situazione di Il’ja Azar, il quale, come anche gli altri attivisti arrestati, stava protestando in solitaria: munito di un piccolo cartello, indossava mascherina e guanti e si trovava a distanza di sicurezza dalle persone di passaggio. Un picchetto di protesta individuale che, però, in Russia non è permesso nemmeno ai tempi del coronavirus.

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #417 il: Giugno 06, 2020, 20:02:44 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Armenia/Armenia-cenerentola-del-Covid19-202393

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Armenia: cenerentola del Covid19

Nel sud del Caucaso l'Armenia è ad oggi la più colpita dall'epidemia di coronavirus. Data l'impellente crisi economica il premier Pashinyan sonda la disponibilità dell'Unione Economica Eurasiatica di garantire aiuti incontrando però il muro di Putin

05/06/2020 -  Marilisa Lorusso
Con più di 10.000 casi l’Armenia è il paese sudcaucasico colpito più duramente dal Covid-19. Le vittime superano il centinaio e la fascia di età dei deceduti va da un 92enne a un 43enne. I numeri non sono paragonabili a quelli della vicina Georgia, con 800 casi, e dell’Azerbaijan, che non raggiunge i 6000 (qui i dati del 20 aprile per comparare la crescita dei contagi nelle tre repubbliche). Il primo giugno anche il primo ministro Nikol Pashinyan ha reso noto di essere stato trovato positivo al tampone, cui si era sottoposto prima di recarsi in Nagorno Karabakh. L’intera famiglia Pashinyan è positiva e il premier lavora da casa, attualmente asintomatico  .

Lo stato di emergenza dichiarato il 16 marzo e previsto per un mese è stato esteso fino a metà maggio e ha incluso il fermo dei mezzi pubblici, in vigore dal primo aprile. Nonostante lo stato di emergenza alcuni esercizi ed attività con permessi hanno iniziato a riaprire. Dure le pene per chi viola la quarantena obbligatoria che arrivano ad un massimo di 5 anni di reclusione.

L’attività del governo è stata frenetica e, sotto la pressione di una crisi che montava ogni giorno di più, l’esecutivo ha legiferato prevalentemente con decreti con un totale di diciassette pacchetti d’aiuto  varati nelle settimane più drammatiche della crisi.

In Armenia - come ovunque - alla pandemia e al necessario lockdown contenitivo del contagio è conseguita una acuta crisi economica. Il dilemma del bilanciamento fra la sicurezza sanitaria e quella economica attanaglia tutti i paesi, ma è avvertito in modo più drammatico in quelli strutturalmente più deboli, per un tasso di povertà più alto, per una maggiore dipendenza dalle importazioni anche di beni di prima necessità e dalle rimesse dall’estero.

La vulnerabilità economica
Rientra nel gruppo dei paesi che maggiormente risentono della crisi in corso anche l’Armenia, la cui vulnerabilità economica porta ad essere esposta e in forma critica a tutte le sfide che la contrazione economica pone. Il primo ministro armeno ha parlato  apertamente di conseguenze sociali ed economiche catastrofiche e di lungo termine, se i contagi dovessero implicare un nuovo lockdown completo.

Nell’immediato si è dovuto garantire l’accesso a beni di prima necessità ai meno abbienti. Stando ai dati del 2018 il 23,5% della popolazione armena vive al di sotto della soglia della povertà, e molti non sono in grado di accantonare dei risparmi. A questa categoria si aggiungono quelle in via di pauperizzazione, in primis tutti coloro che hanno lavori in nero o con prestazioni largamente extra contrattuali, per i quali l’interruzione dell’attività ha implicato in automatico la fine della retribuzione senza ammortizzazione alcuna. Sull’efficacia dell’intervento del governo nel sostenere categorie particolarmente vulnerabili e in generale la popolazione si è arrivati alle mani in Parlamento  . La rissa che ha visto coinvolto un membro della maggioranza e uno dell’opposizione non è certo il segnale rassicurante e di coesione da far pervenire nel pieno di una parossistica crisi.

Il crollo del potere di acquisto rischia di espandersi nel medio e lungo termine. I numeri della contrazione economica per l’Armenia si muovono intorno a una decrescita del 2% secondo il ministro dell’Economia Janjughazyan  , a fronte di una prevista crescita del 4.9% prevista per il 2020. Altre previsioni sono più negative  . Janjughazyan ha valutato che la flessione nel bilancio dello stato sarà per prima cosa causata dalla contrazione delle entrate fiscali. Sia le sospensioni fiscali in corso, sia un ridotto giro di affari ridurranno il gettito fiscale per l’anno 2020. Il parlamento il 29 aprile ha espresso un voto favorevole alla richiesta di un prestito di 312.5 milioni di dollari, e si cercano ora creditori per mettere insieme questa cifra stimata necessaria per scongiurare una crisi più profonda. Si punta al Fondo Monetario Internazionale pur nella consapevolezza che questo comporterà un notevole indebitamento per il paese.

In tutti i paesi a valuta debole c’è poi preoccupazione per le fluttuazioni monetarie. I debiti sono espressi in valute forti, dollaro o euro, e un crollo del cambio renderebbe l’indebitamento ingestibile. Per il momento, sottolinea Janjughazyan, il cambio drama-dollaro tiene. La stabilità del cambio è fondamentale anche per gli approvvigionamenti. L’Armenia importa una grande quantità di beni, anche di prima necessità, e i prezzi sono espressi in valute forti.

Il rallentamento economico preoccupa non solo il settore delle importazioni ma anche quello delle esportazioni armene. La riduzione della produzione colpisce i paesi esportatori di energia e di materie prime. L’Armenia risente direttamente del secondo fattore, e indirettamente del primo. Il paese esporta infatti minerali, metalli e pietre, che costituiscono il 30% delle esportazioni. Con le industrie che li utilizzano a ciclo produttivo ridotto la scarsa domanda rischia di far collassare l’offerta armena.

Indirettamente, invece, il collasso del mercato energetico che ha portato il petrolio al 20 dollari al barile colpisce la comunità armena via Russia. La Russia si trova infatti ad affrontare sia una pandemia numericamente dilagante, sia una enorme fragilità economica dovuta a una strutturale dipendenza dal mercato dell’energia per la stabilità del proprio budget. Con quest’ultimo messo in crisi da lockdown e crisi economica a pioggia il costo della presente congiuntura colpisce i vari soggetti economici del paese. La comunità armena in Russia è mittente del 45% delle rimesse che raggiungono la repubblica sudcaucasica. Inoltre la svalutazione del rublo e la crisi interna indeboliscono il mercato russo, che da solo farebbe il 28% delle esportazioni armene.

L’Unione Economica Eurasiatica nella crisi
L’interrelazione economica russo-armena si è intensificata dopo l’ingresso di quest’ultima nell’Unione Economica Eurasiatica, l’UEEA. Eredità geopolitica lasciata dall’ex presidente Sargsyan, l’UEEA è ora uno strumento che il governo Pashinyan voleva utilizzare per cercare di tagliare i costi dell’economia armena. Il 19 maggio durante un meeting in videoconferenza del Consiglio dell’UEEA ha premuto per la creazione di un mercato comune per il gas che includendo grandi produttori come la Russia e il Kazakhstan potrebbe avere tariffe tali da abbattere i costi dell’energia in Armenia.

Da Mosca è arrivata però una doccia fredda  . Così Vladimir Putin: “Quando si tratta della tariffa unificata proposta dai nostri amici armeni e bielorussi per i servizi di trasporto e transito del gas, riteniamo che una tariffa unica possa essere attuata solo su un mercato unico con un bilancio unificato e un sistema fiscale unificato. Un livello così profondo di integrazione non è stato ancora raggiunto nella UEEA, ne siamo tutti consapevoli; per ora, i prezzi del gas dovrebbero essere formati in base alle condizioni di mercato, dovrebbero tenere conto dei costi e degli investimenti dei fornitori e garantire anche un ragionevole tasso di rendimento del capitale investito nella produzione. […] Se le posizioni dei nostri amici armeni e bielorussi rimarranno invariate, sarebbe probabilmente logico escludere la questione del gas del Progetto di Strategia [in discussione] per approvarlo oggi”. Per parafrasare liberamente una nota citazione: non bisogna che tutto cambi affinché nulla cambi, ma anche se tutto è cambiato, non è ancora cambiato niente.


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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #418 il: Giugno 06, 2020, 20:05:53 pm »
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Grecia/Grecia-giustizia-per-un-femminicidio-202400

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Grecia: giustizia per un femminicidio

Il brutale omicidio di Eleni Topaloudi, recentemente sfociato nella condanna dei suoi due assassini, ha messo per la prima volta il concetto di “femminicidio” al centro del dibattito in Grecia, portando anche ad una riforma legale sulla definizione di stupro. Un approfondimento OBCT

05/06/2020 -  Elvira Krithari Atene
Eleni Topaloudi era una studentessa di 21 anni che è stata brutalmente violentata e uccisa nell'isola greca di Rodi nel novembre 2018. In un processo simbolo conclusosi lo scorso maggio i due imputati, Alexandros Lutsai e Manolis Koukouras, entrambi ventenni, sono stati condannati all'ergastolo per l'omicidio più 15 anni per lo stupro. Eleni è diventata un simbolo per coloro che chiedono giustizia per i crimini commessi contro le donne a causa del loro genere, e il suo caso ha creato spazio nel discorso pubblico greco per l'uso di un linguaggio preciso che incarni la dimensione politica e sociale della violenza contro le donne.

Non solo un omicidio
"Al tempo del suo omicidio, nel 2018, la parola 'femminicidio' era sconosciuta (in Grecia)", spiega a OBCT Natasha Kefallinou, portavoce del Centre for Research on Women’s Issues  (CRWI) “Diotima”, una ONG greca fondata nel 1989. "Il suo caso ha dato spazio alle organizzazioni femminili per consolidare il termine e chiedere il riconoscimento legale del femminicidio, vale a dire il riconoscimento dei motivi sessisti e misogini nei crimini".

Il termine, coniato per la prima volta nel 1976 dalla criminologa Diana Russel e successivamente adottato da organizzazioni globali come l'OMS  , indica gli omicidi motivati da mascolinità tossica e norme patriarcali: i casi in cui le donne vengono uccise quando non soddisfano le aspettative di genere che gli uomini hanno posto su di loro. Spesso i femminicidi vengono compiuti da familiari o uomini in relazione con la vittima. Kefallinou ricorda il vecchio motto femminista "i nostri assassini hanno le chiavi delle nostre case". Gli assassini di Eleni Topaloudi erano suoi amici: la giovane aveva raggiunto uno di loro per una cena street food.

Eleni Topaloudi è stata portata a casa di uno dei due, dove entrambi l'hanno violentata. Ha resistito con tutte le sue forze mentre veniva brutalmente picchiata con le mani e un oggetto di ferro. Il suo sangue è arrivato persino al soffitto, ma la giovane donna era ancora cosciente quando gli uomini l'hanno portata sulla scogliera. Secondo i media, è riuscita a sussurrare "mio padre vi troverà", prima di essere gettata in mare. Il suo corpo, con indosso solo il reggiseno, è stato trovato dai passanti e dalla guardia costiera. La sua famiglia, che vive in una piccola città ai confini nord-orientali della Grecia e aveva denunciato la sua scomparsa, è stata contattata dalla polizia per identificare il suo cadavere.

Un processo senza precedenti
"Non ho visto stupri qui. Non riesco a immaginare uno stupro con il reggiseno (della vittima) indosso", ha detto uno degli avvocati della difesa, ha riferito la giornalista Maria Louka che ha seguito da vicino il processo. "La cultura dello stupro si è manifestata pienamente durante il processo. Gli avvocati degli imputati hanno voluto dimostrare che la colpa era della donna. Hanno cercato di etichettarla. Hanno detto che si drogava, che era psicologicamente instabile, perché le mancava una relazione fissa", ha dichiarato Kefallinou a OBCT.

Tuttavia, le molte contraddizioni degli imputati, la tentata diffamazione della vittima e i legami politici della famiglia di uno dei due - che sarebbero stati usati per nascondere la verità - non sono bastati a insabbiare il caso. Il potente discorso della procuratrice Aristotelia Thogka ha colpito il pubblico, ma ha avuto anche una significativa rilevanza giuridica.

La procuratrice ha dichiarato: "Mi vengono assegnati 1500 casi al mese. Questo mi ha sconvolta. (...) Ho sentito la voce della signora Koula (la madre di Eleni) che chiedeva di sapere la verità. Anche io volevo la stessa cosa. La verità grida. Lasciamo che la giustizia prevalga a costo di far crollare il mondo intero. (...) Se posso alleviare il vostro dolore (ai genitori) vi dirò che questa ragazza è un simbolo (...) Posso vedere che nel 2020 la donna è trattata, in molti casi, come se fosse nulla".

Il discorso della procuratrice è stato accolto come coraggioso e iconico da chi solidarizza con la vittima, ma anche criticato da altri, fra cui il vice ministro greco responsabile del coordinamento del lavoro governativo, Akis Skertsos, e il presidente dell'Ordine degli avvocati di Atene, Dimitris Vervesos.

"Le reazioni sono state senza precedenti, già mentre il processo era ancora in corso. Questo non è mai accaduto prima", racconta Kefallinou. Centinaia di avvocati hanno firmato una dichiarazione per dissociarsi dal presidente dell'Ordine, mentre Skertsos (che aveva espresso le sue opinioni in un post di Facebook) ha dovuto smorzare la sua dichiarazione iniziale.

In seguito, in un'intervista con il quotidiano greco Ethnos, la stessa procuratrice ha espresso la propria indignazione per le critiche ricevute, soprattutto perché nessuno dei suoi critici era presente al processo. Il pubblico ministero ha inoltre esaminato attentamente il caso e presentato alla giuria tutte le prove necessarie per sostenere la sua richiesta di pena senza circostanze attenuanti. "È stato un discorso storico perché ha fatto riferimento alla legge sullo stupro e ha sottolineato, probabilmente per la prima volta in un tribunale greco, che qualsiasi atto sessuale senza consenso è stupro", sottolinea Kefallinou.

L'anno scorso è stata approvata una nuova legge sullo stupro e, grazie alla tenacia del movimento femminista in Grecia, il concetto di consenso è diventato parte integrante della nuova definizione legale di stupro, facendo della Grecia il nono paese dell'UE dove il sesso senza consenso è considerato stupro.

A chi importa dei femminicidi?
Secondo un recente studio globale sull'omicidio  e in particolare sull'uccisione di donne e ragazze da parte dell'Ufficio delle Nazioni Unite in materia di droga e criminalità, nel 2017 sono state uccise intenzionalmente 87.000 donne, il 58% delle quali è stato ucciso da partner o familiari. In Europa, secondo un rapporto dati pubblicato da OBCT nel 2017, nel 2012 43.600 donne sono state uccise da un partner, un ex partner o un familiare.

In Grecia, come in molti altri paesi, mancano statistiche ufficiali sui femminicidi. Un registro informale sulla violenza sessista/di genere esiste sotto forma di una mappa  , parte di un'iniziativa di gruppi femministi.

"L'assenza di un meccanismo per la registrazione e la documentazione dei dati, che comprenda la rete di supporto del Segretariato generale per l'uguaglianza di genere, la polizia greca, i servizi forensi, le ONG e le organizzazioni femminili, causa delle difficoltà nella pianificazione di politiche per impedire, contenere e affrontare questi fenomeni”, sottolinea la portavoce di Diotima.

Vista la scarsa sensibilizzazione a livello centrale e istituzionale, non c'è da stupirsi che i femminicidi siano spesso ancora presentati in modo romantico al grande pubblico. In molti casi, i media di tutto il mondo presentano gli omicidi delle donne come crimini passionali e "d'amore". Nel caso di Eleni Topaloudi ciò è stato impedito, in gran parte a causa della presenza incessante delle giornaliste che hanno trattato la sua storia in modo non sensazionalistico.

Queste giornaliste fanno parte di una grande folla di femministe e sostenitrici dei diritti delle donne, sempre presenti in tribunale a chiedere giustizia. La loro presenza è stata un sollievo per la famiglia della vittima, che ha dovuto ascoltare i raccapriccianti dettagli del crimine, ma ha anche portato la richiesta sociale di diritti delle donne dalle strade al tribunale.

Il giorno del verdetto, all'uscita dall'aula di tribunale, i genitori di Eleni sono stati accolti da una folla riunita che gridava più forte che mai. Sua madre si è unita a queste voci per gridare: “Non dimenticheremo mai quello che hanno fatto a Eleni. Non un'altra donna assassinata”.

Online Frank

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Re:La realtà dei paesi dell'Europa dell'est
« Risposta #419 il: Giugno 11, 2020, 00:58:05 am »
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Citazione
BOSNIA: Srebrenica, la negazione compiuta
Pietro Aleotti 9 ore ago

A venticinque anni esatti dai fatti, Srebrenica deve ora subire un nuovo attacco, altrettanto insidioso e, se possibile, altrettanto odioso: quello della contro-narrazione, della negazione. Come se, liberatisi del corpo, della carne e delle ossa, non restasse altro che liberarsi della memoria per completare lo scempio, per chiudere il cerchio. La negazione come ultimo stadio del genocidio, l’atto finale a compendio dell’episodio più sanguinoso avvenuto in terra europea dal secondo dopoguerra ad oggi.

Il rapporto del Memoriale di Srebrenica

Non sono bastate le sentenze, il riconoscimento anche formale dell’eccidio di Srebrenica come genocidio, gli oltre ottomila morti stimati, le seimila e seicento vittime  riconosciute al di là di ogni ragionevole dubbio e già sepolte nel cimitero-memoriale di Potocari: un conto che si aggiorna di anno in anno in un rito tanto doloroso quanto necessario, ora lo sappiamo anche più di prima. Non sono bastate le condanne a vita del responsabile politico di quella carneficina, Radovan Karadzic, né quella del suo braccio armato, l’uomo che sul campo la perpetrerò con inenarrabile crudeltà, Radko Mladic.

Nulla di tutto ciò è bastato: è questo quanto emerge, inequivocabilmente, dal rapporto appena curato da Monica Hanson Green per lo Srebrenica-Potocari Memorial and Cemetery for the Victims of the 1995 Genocide e significativamente intitolato “Il Genocidio di Srebrenica – Rapporto della Negazione 2020”.

Le mille strade della contro-narrazione

Il processo della contro-narrazione assume mille sfaccettature e si realizza secondo linee che si muovono in parallelo tra loro, salvo poi convergere verso l’obiettivo finale: la negazione.

C’è la minimizzazione dei fatti, lo sforzo di screditare le ricostruzioni numeriche di quel massacro, il riconteggio dei morti su basi di pura fantasia: un tentativo portato avanti da anni, da quando nel 2002 il “Centro di Documentazione della Repubblica Srpska per la Ricerca dei Crimini di Guerra” propose la cifra di 2.000 musulmani uccisi, indicandoli come militari e non come civili inermi. Un numero, questo, tornato spesso negli anni successivi, suggerito persino da Milorad Dodik, attuale membro serbo della presidenza tripartita di Bosnia, e riproposto come un mantra da Mladen Grujicic, primo sindaco serbo-bosniaco di Srebrenica che ha definito “false” molte delle tombe del memoriale.

In questo stesso alveo, si inserisce la teoria della cospirazione internazionale, quello del supposto pregiudizio del mondo intero contro la Serbia e i serbi; atteggiamento, questo, che ha radici profonde, e parente stretto di un altro stato mentale assai radicato, quello del vittimismo.

Altro elemento cardine del processo di revisione storica è la glorificazione dei criminali di guerra che prevede, nella sua logica perversa, persino l’inversione dei ruoli tra vittima e carnefice e lo sdoganamento dei simboli nazionalisti serbi più impresentabili. Sono svariati i casi che si inseriscono in questo contesto: non solo dediche di piazze, vie, monumenti e brani musicali al personaggio di turno, ma persino comparsate pubbliche, come quella, scandalosa, che vide protagonista Ratko Mladic collegato dalla sua cella in Olanda durante un programma televisivo nel novembre 2018.

Altro caso emblematico è quello che riguarda Vojislav Seselj: condannato in via definitiva nel 2018 dal Tribunale penale internazionale dell’Aja a dieci anni di carcere per crimini contro l’umanità, Seselj vive  libero a Belgrado dopo aver scontato i due terzi della pena, è membro del parlamento serbo ed ha recentemente pubblicato un volume di oltre tremila pagine con un titolo che non lascia dubbi “Non ci fu genocidio a Srebrenica”.

In questo filone viene inclusa persino la discussa attribuzione del Premio Nobel per la Letteratura 2019 a Peter Handke, considerato apologista dell’ex presidente serbo, Slobodan Milosevic, e autore di scritti in cui attribuisce alla mano degli stessi bosgnacchi (i bosniaci musulmani) un altro degli episodi simbolo della guerra in Bosnia: la strage del mercato di Markale.

La negazione compiuta? Cosa fare?

Il rapporto di Hanson Green è venato, in ogni pagina, da una sorta di consapevole pessimismo: consapevolezza e pessimismo che si originano dall’osservazione di quanto la contro-narrazione su Srebrenica abbia fatto breccia non solo in ampi settori della società civile serba e serbo-bosniaca ma persino nell’ambito di diversi circoli accademici e intellettuali delle destre occidentali, al punto che la negazione del genocidio non è mai stata così diffusa e socialmente accettata.

È dunque necessario fare qualcosa, sebbene l’impresa appaia di primo acchito, improba: la comunità internazionale, i governi di tutto il mondo, le istituzioni transnazionali e le ONG dovrebbero sentire l’obbligo morale di combattere contro il negazionismo. Sono diversi, ma per il momento ancora pochi, i governi che hanno introdotto leggi per vietare il negazionismo del genocidio; tra di essi, significativamente, ci sono Slovenia e Croazia ma non c’è la Bosnia. Lo scorso anno Belgio e Canada hanno approvato una legge che estende la proibizione del revisionismo dell’Olocausto ai genocidi di Srebrenica e Ruanda. Il negazionismo, poi, si combatte anche con l’educazione e nelle scuole, partendo dall’unificazione dei programmi scolastici che in Bosnia è resa quasi impossibile dalla segregazione etnica degli studenti e da libri di storia separati e inconciliabili.

Nell’introduzione al volume Emir Suljagic, direttore del Memoriale di Srebrenica, non ne fa solo una questione di giustizia sociale e di doverosa aderenza alla realtà storica: certo la negazione appare, innanzi tutto, come un intollerabile supplemento di sofferenza somministrato ai sopravvissuti. Basti pensare agli applausi e alle lacrime dei parenti delle vittime che accompagnarono la lettura della sentenza di condanna definitiva a Karadzic, accolta come una liberazione, come un macigno rimosso dal cuore. Ma c’è qualcosa di più e di diverso: negare significa creare il substrato ideale per la recrudescenza dell’odio, per l’innesco di nuove future violenze e, non sia mai, porre le basi perché “Srebrenica”, ovunque sia, accada di nuovo.