Autore Topic: Aphorismen  (Letto 121005 volte)

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Re: Aphorismen
« Risposta #270 il: Agosto 20, 2011, 02:31:29 am »
Anche se il significato simbolico è già talmente autoesplicativo, c'è sempre qualche illuso che continua a pensare che magari, si sia trattato solo di un caso.

Bene, finita quella, nel 1527 ne iniziarono un'altra.
Dedicata questa volta ... alla  virgen de las mercedes. :doh: :cry: 

http://www.suncaribbean.net/rd_laCapital_ZC_mapaMonum_18iglesiaMercedes.htm

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Re: Aphorismen
« Risposta #271 il: Agosto 26, 2011, 06:07:52 am »
Sulla grande meretrice vestita di porpora e scarlatto..che siede su Roma[1]
La Chiesa é esattamente ciò contro cui Gesù predicò e contro cui insegnò ai suoi discepoli a combattere.[2]

F. Nietzsche


1 - Sono i colori delle alte cariche ecclesiastiche, vescovi e cardinali.

2 - La chiesa cattolica non insegna il vero cristianesimo
Il Concilio di Efeso, sulla base di forti pressioni popolari che "reclamavano" per l'assenza di "divinità femminili" nel Cristianesimo, proclamò MARIA "Madre di Dio".
Tale rassicurante e superstiziosa venerazione colmava il "vuoto" lasciato dalle varie Dee della religione pagana.
Maria prese dunque il posto, nella devozione popolare, di Diana, Iside, Artemide, e varie altre dee.
Molte caratteristiche del culto della "madonna" risalgono a divinità femminili precristiane. L'iconografia della Vergine con in braccio il bambino, è ispirata al culto di Iside (ivi comprese le "grotte" come tipico luogo di "apparizioni"). Lo stesso racconto della verginità di Maria e della nascita "miracolosa" di Gesù fu aggiunto ai Vangeli posteriormente, per facilitare la diffusione del Cristianesimo fra i pagani che già erano "abituati" ai racconti riguardanti esseri "semidivini" figli di un dio e di una donna vergine (Eracle, Mithra, Horus, ecc.)

http://controcorrente83.blogspot.com/2011/05/la-chiesa-cattolica-non-insegna-il-vero.html
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Re: Aphorismen
« Risposta #272 il: Agosto 26, 2011, 19:54:48 pm »
Boh, ora che ci penso, forse la spiegazione l'ha data lui stesso.
Non contro il cristianesimo, ma appunto, contro il cristianesimo, la sua mistificazione:

"I cristiani non hanno mai messo in pratica le azioni che Gesù ha loro prescritto: le sfacciate chiacchiere sulla «fede» e sulla «giustificazione attraverso la fede» e sulla sua suprema e esclusiva si­gnificanza sono soltanto la conseguenza del fatto che la Chiesa, non aveva il coraggio né la volontà di riconoscere le opere che Gesù esigeva.

Ciò che manca nel cristianesimo è l'astenersi da tutto quello che Cristo ha ordinato di fare.
È il vivere meschinamente, ma interpretato con l'occhio del di­sprezzo.

Nessun Dio è morto per i nostri peccati; non c'è nessuna reden­zione per la fede; non c'è nessuna resurrezione dopo la morte ­- sono tutte falsificazioni del cristianesimo autentico, di cui si deve far responsabile quella nefasta testa balzana.

La vita esemplare sta nell'amore e nell'umiltà; nella pienezza del cuore, che non esclude nemmeno il più umile; nella rinuncia formale al voler aver ragione, al difendersi, al vincere nel senso del trionfo personale; nella fede nella beatitudine qui, sulla terra, malgrado povertà, ostacolo, e morte; nella riconciliazione, nell'assenza di ira, di disprezzo; nel non voler essere ricompensati; nel non essere vincolati a nessuno; nell'essere senza signori in senso spirituale, molto spirituale; in una vita molto orgogliosa, sotto la volontà di una vita grama e servizievole.

Dopo che la Chiesa lasciò cadere tutta la prassi cristiana e sanzionò propriamente la vita nello stato, quel genere di vita che Gesù aveva combattuto e condannato, dovette porre in qualcos'altro il senso del cristianesimo: nella credenza in cose incredibili, nel cerimoniale di preghiere, venerazione, feste.

I concetti di «peccato», «remissione», «pena», «ricompensa» - tutti completamente irrilevanti e quasi esclusi nel primo cristianesimo - vengono ora in risalto.

Un orribile miscuglio di filosofia greca e giudaismo; l'ascetismo, il continuo giudicare e condannare; la gerarchia...

L'attentato (da parte di Cristo n.d.r) contro sacerdoti e teologi sfociò, grazie a Paolo, in un nuovo clero e in una nuova teologia - in una classe dominante e in una Chiesa".

F. Nietzsche
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Re: Aphorismen
« Risposta #273 il: Agosto 26, 2011, 20:39:00 pm »
Te lo posso spiegare io, Animus, anzi è lo stesso Nietzsche che lo spiega: nelle azioni e nelle parole di
Cristo non vi è nessuna rivolta contro la VITA mentre negli insegnamenti e nelle pratiche (penitenziali)
della Chiesa vi sono diverse offese ed attentati al buon senso, alla vita stessa e al SANO desiderio di
goderla. Cristo anzi partecipò a feste, a banchetti, accettò inviti a pranzo; insomma piacque al nostro
filosofo. Tutto quello che però ne seguì era in GRAN PARTE il contrario anzi la NEGAZIONE di quello che
Cristo insegnava. Al punto che Nietzsche stesso ebbe a dire (nell'Anticristo): "nella storia ci fu un solo
cristiano, Gesù Cristo. Soltanto una vita COME LUI LA VISSE, soltanto questo è cristiano". Tutto ciò
che ne seguì, lasciò intendere, ne fu solo una pessima imitazione. Al punto che (nell'Anticristo) anche
gli scritti degli apostoli sono criticabili. "Tutte le volte che leggo le lettere degli apostoli- ebbe a dire-
devo mettermi i guanti. La sozzura di questo materiale mi ci costringe". Il cristianesimo, come poi si
andò affermando, disse Nietzsche, si qualificò come la religione dei mentecatti dei perdenti dei tapini.
Quindi, la figura di Cristo era per Nietzsche rispettabile, perchè Cristo MAI AGI' contro la VITA e mai
la DISPREZZO'. Il cristianesimo, anzi la cristianità come si affermò fu un ATTENTATO alla vita stessa.

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« Risposta #274 il: Agosto 30, 2011, 20:49:36 pm »
L'avversione per la bellezza femminile
Mentre la bellezza femminile pecca di caducità[1], la bruttezza possiede la virtù dell'eternità, perché come un fiore di plastica ... non sfiorisce mai.

Animus




1 - Non molto tempo fa, in compagnia di un amico silenzioso e di un poeta già famoso nonostante la sua giovane età, feci una passeggiata in una contrada estiva in piena fioritura.
Il poeta ammirava la bellezza della natura intorno a noi ma non ne traeva gioia. Lo turbava il pensiero che tutta quella bellezza era destinata a perire, che col sopraggiungere dell’inverno sarebbe scomparsa: come del resto ogni bellezza umana, come tutto ciò che di bello e nobile gli uomini hanno creato o potranno creare. Tutto ciò che egli avrebbe altrimenti amato e ammirato gli sembrava svilito dalla caducità cui era destinato.

"No! è impossibile che tutte queste meraviglie della natura e dell’arte, che le delizie della nostra sensibilità e del mondo esterno debbano veramente finire nel nulla. Crederlo sarebbe troppo insensato e troppo nefando. In un modo o nell’altro devono riuscire a perdurare, sottraendosi a ogni forza distruttiva."

Ma questa esigenza di eternità è troppo chiaramente un risultato del nostro desiderio per poter pretendere a un valore di realtà: ciò che è doloroso può pur essere vero.
Io non sapevo decidermi a contestare la caducità del tutto e nemmeno a strappare un’eccezione per ciò che è bello e perfetto. Contestai però al poeta pessimista che la caducità del bello implichi un suo svilimento.
Al contrario, ne aumenta il valore! Il valore della caducità è un valore di rarità nel tempo. La limitazione della possibilità di godimento aumenta il suo pregio. Era incomprensibile, dissi, che il pensiero della caducità del bello dovesse turbare la nostra gioia al riguardo. Quanto alla bellezza della natura, essa ritorna, dopo la distruzione dell’inverno, nell’anno nuovo, e questo ritorno, in rapporto alla durata della nostra vita, lo si può dire un ritorno eterno. Nel corso della nostra esistenza vediamo svanire per sempre la bellezza del corpo e del volto umano, ma questa breve durata aggiunge a tali attrattive un nuovo incanto. Se un fiore fiorisce una sola notte, non per ciò la sua fioritura ci appare meno splendida.
...
Mi pareva che queste considerazioni fossero incontestabili, ma mi accorsi che non avevo fatto alcuna impressione né sul poeta né sull’amico. Questo insuccesso mi portò a ritenere che un forte fattore affettivo intervenisse a turbare il loro giudizio; e più tardi credetti di aver individuato questo fattore. Doveva essere stata la ribellione psichica contro il lutto a svilire ai loro occhi il godimento del bello. L’idea che tutta quella bellezza fosse effimera faceva presentire a queste due anime sensibili il lutto per la sua fine; e, poiché l’animo umano rifugge istintivamente da tutto ciò che è doloroso, essi avvertivano nel loro godimento del bello l’interferenza perturbatrice del pensiero della caducità.

La mia conversazione col poeta era avvenuta nell’estate prima della guerra. Un anno dopo la guerra scoppiò e depredò il mondo delle sue bellezze. E non distrusse soltanto la bellezza dei luoghi in cui passò e le opere d’arte che incontrò sul suo cammino; infranse anche il nostro orgoglio per le conquiste della nostra civiltà, il nostro rispetto per moltissimi pensatori ed artisti, le nostre speranze in un definitivo superamento delle differenze tra popoli e razze. Insozzò la sublime imparzialità della nostra scienza, mise brutalmente a nudo la nostra vita pulsionale, scatenò gli spiriti malvagi che albergano in noi e che credevamo di aver debellato per sempre, grazie all’educazione che i nostri spiriti più eletti ci hanno impartito nel corso dei secoli. Rifece piccola la nostra patria e di nuovo lontano e remoto il resto della terra. Ci depredò di tante cose che avevamo amate e ci mostrò quanto siano effimere molte altre cose che consideravamo durevoli.
...
Ma quali altri beni, ora perduti, hanno perso davvero per noi il loro valore, perché si sono dimostrati così precari e incapaci di resistere? A molti di noi sembra così, ma anche qui, ritengo, a torto. Io credo che coloro che la pensano così e sembrano preparati a una rinuncia definitiva perché ciò che è prezioso si è dimostrato perituro, si trovano soltanto in uno stato di lutto per ciò che hanno perduto.


Sigmund Freud, Opere (1915-1917)

« Ultima modifica: Agosto 30, 2011, 21:20:06 pm da Animus »
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« Risposta #275 il: Settembre 05, 2011, 19:06:04 pm »
Il mondo è il migliore degli inferni possibili
Se finalmente a ciascuno si volessero porre sott'occhio gli orrendi dolori e strazi, a cui è la sua vita perennemente esposta, lo coglierebbe raccapriccio: e se si conducesse il piú ostinato ottimista attraverso gli ospedali, i lazzaretti, le camere di martirio chirurgiche, attraverso le prigioni, le stanze di tortura, i recinti degli schiavi, pei campi di battaglia e i tribunali, aprendogli poi tutti i sinistri covi della miseria, ove ci si appiatta per nascondersi agli sguardi della fredda curiosità, e da ultimo facendogli ficcar l'occhio nella torre della fame di Ugolino, finalmente finirebbe anch'egli con l'intendere di qual sorte sia questo meilleur des mondes possibles.

Donde ha preso Dante la materia del suo Inferno, se non da questo nostro mondo reale?
E nondimeno n'è venuto un inferno bell'e buono.

Quando invece gli toccò di descrivere il cielo e le sue gioie, si trovò davanti a una difficoltà insuperabile: appunto perché il nostro mondo non offre materiale per una impresa siffatta.
Perciò non gli rimase se non trasmetterci, in luogo delle gioie paradisiache, gli ammaestramenti che a lui furono colà impartiti dal suo antenato, dalla sua Beatrice e da differenti santi.

Da ciò apparisce abbastanza chiaro, di qual natura sia questo mondo.

A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione
« Ultima modifica: Settembre 05, 2011, 19:30:47 pm da Animus »
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« Risposta #276 il: Settembre 05, 2011, 22:32:56 pm »
Se si purga il giudaismo dei profeti e il cristianesimo come lo ha insegnato Gesù Cristo da tutte le aggiunte successive, in particolare quelle dei preti, ci si ritroverà con un insegnamento capace di curare tutti i mali sociali dell'umanità.

E' dovere di ogni uomo di buona volontà cercare tenacemente, nel suo piccolo mondo, di rendere questo insegnamento di pura umanità una forza vivente, fin dove gli è possibile.
Se fa un onesto tentativo in questa direzione, senza venir calpestato e schiacciato sotto i piedi dei suoi contemporanei, può considerare sè e la comunità a cui appartiene, felice.

Albert Einstein

1 - va con:http://www.metromaschile.it/forum/dialoghi-sulla-qm/aphorismen/msg41359/#msg41359
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« Risposta #277 il: Settembre 06, 2011, 19:54:04 pm »
Schopenhauer sulla sola verità metafisica dei libri sacri (Il Peccato originale)

L'esistenza umana ha certo come suo ultimo scopo il dolore: ove così non fosse, dovremmo dire che le manca la ragione d'essere al mondo.
Tutto quello che ci riesce spiacevole o doloroso lo avvertiamo all'istante e con perfetta chiarezza.
Basta la lieve sofferenza causataci da una scarpa troppo stretta a farci dimenticare lo stato di florida salute in cui ci troviamo.
Noi avvertiamo il dolore, ma non l'assenza di dolore.

Le ore volano più rapide per quanto più piacevoli; d'altrettanto appaiono eterne quelle piene di tristezza.
La nozione del tempo è la noia che ce la  offre, la felicità ce la toglie.
Questo prova che la nostra esistenza è tanto più felice quanto meno si fa sentire.
 
Eppure, se bastasse formulare un desiderio per vederlo esaudito, di che sarebbe fatta la vita, a che sarebbe impiegato il tempo?
Mettete l'umanità nel paese della cuccagna, dove tutto germinasse spontaneamente, dove le allodole se ne volassero belle e arrostite in bocca a chi ne avesse appetito, dove ogni uomo trovasse al primo angolo di via la donna dei suoi desideri e la potesse avere subito a disposizione, ebbene, vedreste gli uomini morirvi di noia, o impiccarsi per la disperazione, mentre altri cercherebbero motivi di contesa, si scannerebbero, si assassinerebbero, insomma si procurerebbero ben più tristi amarezze di quante attualmente non ne prodighi loro madre natura.

La necessità di assicurarsi l'esistenza è la gran molla che spinge ogni vivente all'azione, e che ne mantiene desta l'operosità.
Ma dopo quello, non si sa più che fare.
E allora l'uomo rivolge ogni suo sforzo ad alleggerire il peso della vita, a renderlo sempre meno opprimente, ad ammazzare il tempo, che è quanto dire, a sfuggire alla noia.

Ed eccolo, fuori dalle preoccupazioni delle immediate esigenze fisiche o morali, liberate le spalle da ogni altro fardello, riuscir di peso a sé stesso: La noia non è già piccolo malanno, qual senso di disperazione riesce a dipingere sul viso!

Il crudele sistema penitenziario di Filadelfia, basato sulla segregazione e l'inoperosità, fa della noia un tale supplizio che molti condannati preferiscono sottrarvisi col suicidio.

Lo Stato, considerandola come una calamità pubblica, con saggia prudenza si adopera per tenerla lontana. Ed infatti è tale flagello che, non meno del suo estremo opposto, la fame, saprebbe trascinare gli uomini a qualunque eccesso: il popolo vuole panem et circenses.

La vita è un compito che bisogna laboriosamente adempiere: sotto questo aspetto, il vocabolo de-functus è una bella parola.
Pensate per un momento che la funzione procreativa non risponda ad un bisogno, né includa alcuna voluttà, e non sia nulla più di un atto di riflessione e di ragionamento: forse che l'umanità continuerebbe a vivere sulla faccia della terra?
O piuttosto ogni vivente non sarebbe stato penetrato di tanta pietà per la generazione ventura da risparmiarle il peso dell'esistenza, o per lo meno non sarebbe dubbioso prima di addossarglielo a sangue freddo?

Ma è un inferno questo mondo, ed in esso gli uomini si differenziano in anime tormentate e in demoni tormentatori.
L'inferno del mondo è più triste dell'inferno di Dante, perché in questo ognuno è costretto ad essere demonio al proprio vicino: sopra di tutti vi è un arcidiavolo, il conquistatore, che allinea centinaia di migliaia d'uomini gli uni di fronte agli altri e gli grida: "Il vostro destino è quello di soffrire, è quello di morire: suvvia ! fucilatevi ! cannoneggiatevi!"
Ed essi lo fanno!

La vita non ci vien già più offerta come un dono, di cui non abbiamo che a rallegrarci; anzi, essa è un dovere, un compito che occorre adempiere a prezzo di molto lavoro; ne proviene uno stato di universale miseria, una fatica senza posa, una concorrenza spietata, una lotta che non conosce tregua, una sempre vigile attività che richiede il massimo sforzo di ogni energia fisica ed intellettuale.
Milioni di uomini uniti in nazioni concorrono a costituire il bene pubblico, ma coloro che soccombono vittime del benessere sociale si contano a migliaia.
Quando per folli pregiudizi, quando per tenebrose mene politiche, si suscitano guerre fra le genti, occorre che il sudore e il sangue del popolo scorrano a rivi per dar corpo alle fantasticherie di pochi o per pagare il peso delle loro colpe.

Mi si dirà che la mia è una filosofia sconsolata - e questo non per altro se non perché io dico la verità …


La tradizione del peccato originale mi riconcilia con l'Antico Testamento, poiché quella, per quanto presentata sotto il velo dell'allegoria, a me appare come la sola verità metafisica dei libri sacri.
Ed infatti, la vita nostra sembra proprio l'effetto immediato di una grave colpa e di un peccaminoso desiderio....
Abituatevi a considerare la terra come un luogo di penitenza, come un reclusorio, a penal colony, come già l'avevano chiamata i più antichi filosofi e alcuni fra i padri della Chiesa.
In ogni tempo la filosofia, il Brahmanesimo come il Buddismo, Empedocle come Pitagora, si sono confermati nell'identico concetto; Cicerone ricorda che gli antichi sapienti nell'iniziazione ai misteri insegnavano: nos ob aliqua scelera suscepta in vita superiore, poenarum luendarum causa natos esse
[siamo nati per scontare pene contratte per qualche delitto commesso in una vita precedente]

Vanini - quel Vanini il quale han trovato più comodo condannare al rogo che confutare - esprime la medesima idea in una forma assai recisa quando dice: Tot, tantisque homo repletur miseriis ut, si christianae religioni non repugnaret, licere auderem: si daemones dantur, ipsi in hominem corpora transmigrantes, sceleris poenas luunt.

Che più?

Anche nel Cristianesimo, a volerlo comprendere bene, la vita è considerata come la conseguenza di un fallo, di una caduta.
Ove ci si renda famigliare questa persuasione, non vorremo aspettarci dalla vita se non quanto essa può dare, e invece di giudicare come accidenti imprevisti ed eccezionali le sue contrarietà, le sofferenze, i guai, gli affanni grandi o piccini, penseremo che così deve essere, ben sapendo che quaggiù ognuno ha la sua croce da portare, ed ognuno la porta a modo suo.

In mezzo ai tormenti del reclusorio, uno dei più atroci è certo cagionato dalla società che vi si trova.
Avviene lo stesso nella società degli uomini, e per me lo dica chi ne meriterebbe una migliore.

Un'anima superiore, un genio, spesso si trovano commossi dal medesimo sentimento che proverebbe un nobile prigioniero di Stato nel ritrovarsi in carcere circondato da delinquenti volgari, che come lui cercano di isolarsi.

Io, per me, arrivo persino a pensare che noi non ci dovremmo chiamare nelle reciproche relazioni: Signore, Eccellenza, o similmente, ma piuttosto: compagno d'affanni, soci malorum, fratello in duolo, my fellow-sofferer.

Per quanto possa sembrare stravagante quest'espressione, in realtà è la più adatta, poiché farebbe apparire qual'é veramente il prossimo nostro …

A. Schopenhauer
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« Risposta #278 il: Settembre 13, 2011, 20:07:01 pm »
Alle donne, come ai preti, non va fatta nessuna concessione.

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« Risposta #279 il: Settembre 18, 2011, 20:17:34 pm »
Ça va sans dire?

Haiti è il paese più povero delle Americhe, nessuna risorsa naturale, niente turismo, nessuna industria, zero agricoltura, niente di niente di niente.

Va da sé, che essendo la necessità ad aguzzare l'ingegno,e a volte lo stomaco, venendo a mancare i frutti della terra, gli abitanti si sono abituati a mangiare ... la terra[1].

Ça va sans dire, lì le donne sono costrette a prostituirsi per mangiare.[2]


A Cuba, si sa, "manca tutto" ma tutti hanno da mangiare, istruzione e sanità.
Almeno quello.
Certo, nel menù della "libretta" non vi compaiono pere e fragole, briosche e cappuccino sono un sogno.
Una volta una cubana mi disse che per una fragola avrebbe fatto qualunque cosa.
  
Ça va sans dire, lì le donne sono costrette a prostituirsi per variare il loro menù.

...

...

Le Terry De Nicolò, con 2 mila euro al mese possono mangiare fragole e cappuccini, vestirsi ed avere un'utilitaria.
Certo, se invece vogliono champagne e caviale e viaggiare in Cayenne ..
Ça va sans dire ...

Animus


1 - 2 - http://www.terranews.it/news/2010/03/haiti-donne-obbligate-prostituirsi-cambio-di-cibo


 
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« Risposta #280 il: Settembre 20, 2011, 21:32:19 pm »
Patriarcato, guerra, sottomissione femminile.

La guerra si sa, "è un'invenzione del patriarcato il cui fine è la sottomissione del genere femminile".
Ci si creda o meno, il mio interesse va alla tesi superiore, alla sintesi degli opposti, ovvero alla guerra dei sessi che sottotraccia segna il corso della storia umana.

Se quella tesi è vera, allora può non essere falso ciò che ha ricordato recentemente Massimo Fini, che anche "le donne sono una razza nemica"[1].

Io, la firmo incondizionatamente.

Prendiamo la guerra, che cosa vediamo?
Milioni di uomini mandati a morire.
Sì, ma da chi?

C'è chi dice, dalla cultura patriarcale.
Bene.

E chi sono coloro che la sorreggono?
Sono loro, i maschi (carnefici), quelli .... che muoiono. :hmm:

Certo che quando sono i carnefici a morire e le vittime a vivere, deve sorgere il sospetto che si stia guardando il fenomeno da una prospettiva sbagliata.
Sorge?
Pillola rossa o pillola blu, coscienza o plagio?

Prendiamo la bomba atomica.
L'Hiroshima day andrebbe festeggiato, perché ha salvato più vite la bomba atomica che la ...penicillina!


Infatti la bomba atomica, uccidendo decine di migliaia di donne, donne portate in prima linea contro la loro volontà, ha salvato decine di milioni di uomini: La guerra finì, perché le donne finalmente ...morivano[2]!

Ecco un'evidenza che nessun gender study ha mai evidenziato.

Animus

1 - In realtà è di Cesare Pavese:Le donne, come i tedeschi, sono una razza nemica.
2 - In un ottica di genere.
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« Risposta #281 il: Settembre 28, 2011, 19:30:38 pm »
Spermatozooi in F1
In un centro sportivo ho visto dei bambini che correvano, la distanza aveva trasformato l'iniziale massa compatta in una lunga fila indiana, tra il primo e l'ultimo, una distanza abissale.

Sembravano solo dei bambini.
Erano invece, soprattutto, le macchine da corsa dei loro spermatozooi.[1]
 


1- Da leggere con: http://www.metromaschile.it/forum/dialoghi-sulla-qm/aphorismen/msg12807/?topicseen#msg12807
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« Risposta #282 il: Settembre 29, 2011, 00:00:49 am »
Una dea
Qualche giorno fa, al cospetto di una donna bellissima, sensuale, curvilinea, ho pensato: Non le manca nulla, non necessita un dottorato, un mestiere, ha in lei tutto quello che serve, tutto ciò che potrebbe desiderare qualsiasi uomo, il nullatenente come quello più potente.

Ed è giusto così. Ricordo ancora chiaramente lo sdegno che provai un giorno verso un uomo interessatosi ad una lei che aveva etichettato come un buon partito (la prima volta sentito uscire dalla bocca di un uomo, la crisi gioca davvero brutti scherzi), uno stipendio sicuro: una mezza calzetta abbruttita che lavorava in comune...

Certo, un secondo pensiero - sibillino - si sovrappone immediatamente al primo: Quali campioni genetici del genere maschile, quali Adoni, senza arte ne parte, potrebbero avere anche solo una minima frazione delle chances estatiche delle Afroditi?

Che la bellezza sia davvero negli occhi di chi guarda?
E se è così, con quali occhi siamo visti dall'altra metà del cielo?

Terzo pensiero sibillino: Quelli ... dell'utilitarismo?

Animus

« Ultima modifica: Settembre 29, 2011, 00:25:12 am da Animus »
Ti sentirai più forte, un uomo vero, oh si , parlando della casa da comprare, eggià, e lei ti premierà, offrendosi con slancio.  L'avrai, l'avrai, con slancio e con amore … (Renato Zero)

Ha crocifissi falci in pugno e bla bla bla fratelli (Roberto Vecchioni)

Offline Animus

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Re: Aphorismen
« Risposta #283 il: Ottobre 01, 2011, 20:35:39 pm »
Sui delitti del pene

Vengo a sapere da un latinista che:

"In principio era il Penis, e il Penis era presso l'Uomo e il Penis era l'Uomo."

Poi vinsero le tenebre, arrivarono i secoli bui, e con essi gli "spregiatori della vita" fecero tante cose grandi ma anche tante cose da nulla, bazzecole, quisquilie ... pinzellacchere, avrebbe detto Totò!

Una?

Beh, gli "eunuchi" - per una buona causa certo, per guadagnarsi il regno dei Cieli, ma sempre di eunuchi si tratta - hanno pensato: se noi pronunciamo "oe" come "e", "penis" e "poenis", il pene e le sofferenze, che nel latino classico differivano nella pronuncia, diventano prima omofone, poi omografe, e finalmente ... "sinonimi".

Le pene del pene-> I falli del fallo.

E' proprio vero che non si finisce mai di imparare, ma è anche vero che più si indaga sugli "avvelenatori", più si scopre quanto Nietzsche avesse ragione.
Ah, se aveva ragione....


Animus

http://iltirreno.gelocal.it/livorno/multimedia/2011/08/18/fotogalleria/l-albero-della-fecondita-castrato-col-restauro-mutilati-i-simboli-fallici-30284466/2

« Ultima modifica: Ottobre 03, 2011, 17:03:11 pm da Animus »
Ti sentirai più forte, un uomo vero, oh si , parlando della casa da comprare, eggià, e lei ti premierà, offrendosi con slancio.  L'avrai, l'avrai, con slancio e con amore … (Renato Zero)

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Offline Animus

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Re: Aphorismen
« Risposta #284 il: Ottobre 03, 2011, 17:32:40 pm »
- Più si detestano gli uomini, più si è maturi per Dio, per un dialogo con nessuno.
- La dolcezza del vivere è scomparsa con l'avvento del rumore.
  Il mondo sarebbe dovuto finire cinquant'anni fa.

E. Cioran

Ti sentirai più forte, un uomo vero, oh si , parlando della casa da comprare, eggià, e lei ti premierà, offrendosi con slancio.  L'avrai, l'avrai, con slancio e con amore … (Renato Zero)

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