Moebius docet.
Significativo che abbiano fatto scomparire questa pagina...
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Ne copio e incollo il testo, per una più agevole lettura, visto che la pagina non è più disponibile.
Quel maledetto crucco di Moebius
by Dalla redazione — 8 Novembre 2010
in ATTACCO FRONTALE, FAMIGLIA-EDUCAZIONE-SCUOLA, INEDITION, SALUTE-MEDICINA
“L’inferiorità mentale della donna”: un libro “scorretto”, pubblicato nel 1998 da Castelvecchi,
ormai fuori catalogo e “raro”
Esiste una mentalità rozza e volgare, fondata su pregiudizi contro le donne: il termine che
sintetizza tale atteggiamento precostituito è molto noto ed è misoginia. Assolutamente
contraria a questa, ma ugualmente del tutto fondata su prevenzioni nella stessa misura
acritiche, vi è altresì un’altra posizione ideologica – probabilmente influenzata dal
sentimentalismo ottocentesco di marca romantica e oggigiorno molto di moda, anzi un must
che accomuna tutte le posizioni politiche -, secondo la quale tutto ciò che è inerente al
mondo femminile e alle sue rivendicazioni è bello, buono, vero e giusto. Il termine – meno
noto del primo – e che definisce o potrebbe definire tale pregiudizio è filoginia.
Contro di essa – e sulle differenze fisiche e spirituali tra i due sessi – ha scritto molte
controverse pagine Paulus Julius Moebius (Lipsia, 1853-1907), psichiatra tedesco, direttore
del Policlinico neurologico della città natìa.
La casa editrice Castelvecchi, encomiabile per aver stampato nel
corso degli anni molteplici testi “scomodi” e “trasgressivi”, nel 1998
ha dato alle stampe uno “scandaloso” scritto di Moebius,
L’inferiorità mentale della donna (Über den physiologische
Schwachsinn des Weibes, 1900). Abbiamo notato che esso è da
tempo scomparso non solo dal catalogo della casa editrice romana,
ma che è introvabile anche nei remainder e nelle vendite on line.
Seguendo lo spirito critico di LucidaMente, ci è venuto il sospetto
che la scelta di far “sparire” il libro sia stata provocata da motivi
legati al politically correct, cui abbiamo dedicato il presente numero
della rivista. Come mai oggi circolano nelle librerie italiane
porcherie di ogni tipo, che si ammucchiano costituendo scandalose,
mortifere cataste, mentre un volumetto non privo di pregi, se non
altro stilistici, si è dileguato?
Abbiamo perciò sentito l’attuale direttore editoriale della Castelvecchi, Cristiano Armati, che,
nel corso di una cordiale conversazione telefonica, ci ha rassicurato: L’inferiorità mentale
della donna è uscito dal catalogo della casa editrice per aver concluso il proprio “ciclo”, senza
che vi siano state scelte, censure o motivazioni particolari, né in seguito a particolari
pressioni di lettori o associazioni “filogine” o femministe. «Magari» ci ha detto Armati
«oggigiorno un libro fosse capace di suscitare reazioni forti, anche sdegnate o
scandalizzate!». Conoscendo bene pure noi l’atmosfera di “quietismo” che aleggia
sull’editoria e sui libri pubblicati in Italia, l’assoluta mancanza di polemiche, stroncature,
recensioni forti, pur di mantenere in quieto vivere, non inimicarsi alcuno, tirare a campare,
condividiamo pienamente la considerazione di Armati.
Resta, d’altro canto, la “sparizione” del libro di Moebius. Del resto,
l’edizione italiana della Castelvecchi era stata fatta precedere da una
insolita introduzione di Filippo Scòzzari. Perché “insolita”? Perché l’artista
bolognese – peraltro in genere molto iconoclasta e trasgressivo – prende
duramente le distanze dal saggio di Moebius, denigrandolo (!) con
affermazioni del tipo: «Mi appresto a sparare su un tedesco scemo che era
anche un medico scemo e uno scrittore scemo. Ora fortunatamente è
morto da moltissimi anni, quindi è scemissimo, e non lo ricorda un cane». Peccato che lo
“scrittore scemo” sia stato un bravo saggista e ancora oggi sia ricordato per aver scoperto
sindromi, malattie e sintomi che portano il suo nome. È certamente singolare che un
prefatore parli male del libro che sta introducendo (se a uno non piace un libro, evita di fare
il prefatore dello stesso), anzi insulti in modo volgare e preconcetto l’autore. E questo la dice
già lunga sui vincoli del “politicamente corretto” su cui abbiamo discettato in questo numero
della rivista.
Per recuperare qualcosa del libro di Moebius, abbiamo pertanto scelto di selezionarne alcuni
brani tratti dall’edizione Castelvecchi, brani che riportiamo di seguito e che oggi appariranno
“provocatori” o “maschilisti”. Il lettore (e/o la lettrice), ovviamente, li valuti come meglio
desidera, considerando però che ormai siamo, come i cani di Pavlov, condizionati a reazioni
obbligate dall’ideologia dominante del politically correct. E che non tutte le donne sono
uguali… Forse le stesse donne farebbero bene a prendere coscienza di certi atteggiamenti di
alcune e che qualche critica a volute, masochistiche màrtiri di uomini violenti, a conformiste,
bigotte, vittimiste, rampanti senza scrupoli ed escort varie farebbe bene a tutte e tutti. Il
compito del giornalista e del letterato consiste, comunque, nell’informare, documentare, far
conoscere, senza censure aprioristiche. Ecco alcuni brani dal libro di Moebius:
«Gli innovatori politici e religiosi non si accorgono che l’umanità è
tutt’una cosa con la Natura e che le leggi umane, dovunque
ripetentisi, necessariamente derivano dalla natura stessa degli
uomini. Essi credono sul serio che basti avere un giusto obbiettivo e
buona volontà perché il mondo muti faccia; non vedono l’uomo
reale, il quale nelle circostanze più importanti della vita segue i suoi
istinti, ma si tengono d’innanzi agli occhi una figurina di cera, la cui
forma possa esser cambiata a volontà e si illudono di trionfare sulla
Natura con le loro leggi. Così i femministi pensano di trasformare la
donna per mezzo delle leggi e dell’educazione. Ora, è
semplicemente puerile il credere che l’essenza della donna, quale si
ritrova in ogni tempo e presso tutti i popoli, sia un dato del capriccio».
«Concessione di diritti eguali in un senso ragionevole, non può significare altro che a
nessuno venga fatta ingiustizia e che vi sia giusto compenso per ogni prestazione. Si
propugni invece l’uguaglianza, sul principio che tutti gli uomini siano uguali, come volevano i
rivoluzionari di vecchio stampo: sarà predicata una stoltezza, poiché gli uomini non sono
uguali e tanto meno sono uguali i due sessi. Infatti cotesta sciocca idea dell’uguaglianza non
ha nulla a vedere col “movimento del proletariato femminile”; si tratta soltanto della
soppressione delle miserie, frutto delle nostre infelici condizioni sociali, si tratta di giustizia
verso le donne e le fanciulle che sono costrette a guadagnarsi il pane».
«Ciò che generalmente è ritenuto vero e buono, per le donne è in realtà vero e buono. Esse
sono rigide e conservatrici e odiano le novità, eccettuato, s’intende, il caso, in cui il nuovo
arrechi loro un vantaggio personale. Si dà così l’apparente contraddizione che le donne,
strenue a difendere le vecchie usanze, corrano dietro, tuttavia, ad ogni nuova moda; sono
conservatrici, ma accolgono per buona ogni assurdità per poco che questa venga abilmente
suggerita».
«La loro morale è soprattutto morale di sentimento; la morale che deriva dal ragionamento
è loro inaccessibile e la riflessione non fa che renderle peggiori. A questa unilateralità
s’aggiunge una ristrettezza di visuale. Giustizia, senza riguardo alla persona, è per esse un
concetto vuoto di senso. Esse, nel fondo, non hanno il senso del giusto. Ne consegue la
violenza degli affetti, la incapacità al dominio di se stessi. La gelosia e la vanità,
insoddisfatta o ferita, suscitano tempeste che non concedono campo a nessuna riflessione
d’ordine morale. Se la donna non fosse fisicamente debole, essa sarebbe un essere
altamente pericoloso».
«La lingua è l’arma delle donne, poiché la loro debolezza mentale le obbliga a rinunziare alla
prova dei fatti, per cui non resta loro che la piena delle parole. La litigiosità e la smania delle
chiacchiere non a torto furono in ogni tempo ritenute specifiche del carattere femminino».
«Parimenti è loro caratteristica un’avarizia fuori di luogo. Molto affine a questa caratteristica
è l’abitudine a far gran caso di minime questioni. Piccole bagattelle del momento fanno loro
dimenticare passato e avvenire, le questioni più serie e le minuzie vengono trattate con lo
stesso impegno e spesso ciò che veramente è importante viene trascurato per amor di un
nonnulla. Né giovano le dure esperienze, e le dimostrazioni più persuasive provocano bensì
teorici assentimenti, ma non mutano lo stato delle cose: “Alla fin fine io son fatta così”».
«Se la donna giudica il comportamento e la condotta di un’altra donna, spesso essa sarà
molto perspicace e potrà spingere il suo sguardo molto più a fondo che non la maggior parte
degli uomini. Ma la cosa è ben diversa quando si tratta di giudicar se stesse».
«Un certo grado di libertà è assolutamente condizione di vita per l’uomo, sia questi un
cacciatore, che deve, libero, scorrazzare pei monti, sia invece un filosofo che deve
liberamente muoversi nei regni del pensiero; ma la donna non ricerca affatto la libertà, anzi
la sua felicità consiste appunto nel sentirsi legata».
«Quando imparano a conoscere l’amore, come ben presto si dilegua tanto clamore! Resta
unico padrone del campo l’amore e le passate aspirazioni non risvegliano ormai altro che
allegre risa. Quando, poi, per soprammercato, arrivano i bambini, vengono dimenticate del
tutto le infantili aberrazioni dello spirito».
«Nella vita reale la cosa è chiara, ma quando scrivono, gli uomini perdono il buon senso».
L’immagine: la copertina dell’edizione Castelvecchi de L’inferiorità mentale della donna di
Paul Julius Moebius.
Franco Nardelli
(Lucidamente, anno VI, n. 61, gennaio 2011)
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