FONTE: quotidiano La Verità
L’ammissione ufficiale in risposta a un’associazione di avvocati: «Basta leggere il bugiardino». Ma che le iniezioni fermassero il virus era il presupposto sul quale sono stati fondati obbligo vaccinale e green pass.
Certe cose non sorprenderanno più i nostri lettori. Però, man mano che il puzzle della verità si va componendo, vale la pena fissare i momenti in cui, al disegno, si aggiungono nuovi pezzi. L’ultimo tassello l’ha messo l’Agenzia italiana del farmaco, con una lettera datata 19 luglio e firmata dalla dirigente Carla Cantelmo, che solo in questi giorni ha iniziato a circolare in Rete. Si tratta di una risposta alla richiesta di accesso agli atti formulata all’associazione Arbitrium - Pronto soccorso giuridico per la tutela dei diritti inviolabili.
Al punto 9 della missiva, a proposito dell’«indicazione terapeutica dei vaccini Covid-19», l’ente regolatore precisa: «Allo stato attuale, nessun vaccino Covid-19 approvato presenta l’indicazione “prevenzione della trasmissione dell’infezione dall’agente Sars-Cov-2”. L’indicazione terapeutica per la quale sono stati approvati i vaccini Covid-19 è riportata nei rispettivi Rcp, al paragrafo 4.1». Se si va a consultare il suddetto Riassunto delle caratteristiche del prodotto - ad esempio, quello del farmaco di Pfizer, Comirnaty - si riscontra che il medicinale era «indicato per l’immunizzazione attiva per la prevenzione di Covid-19, malattia causata da Sars-Cov-2». Dunque, l’Aifa certifica che i vaccini anti Covid non erano stati fabbricati allo scopo di impedire il contagio. Dovevano solo evitare che i positivi contraessero la malattia. Magari, sarebbe stato bene specificare che si parlava di malattia grave: di persone che si infettavano e poi manifestavano dei sintomi, nonostante avessero ricevuto la puntura, se ne sono contate a migliaia. E fin da subito, quando gli stessi funzionari dell’Aifa, nelle mail svelate da Fuori dal coro, tra di loro lamentavano diversi casi di «fallimento vaccinale». Andrebbe richiamato anche un episodio avvenuto Oltreoceano: i Cdc, nel 2021, aggiornarono la definizione di vaccino, stabilendo che esso non doveva «produrre immunità per una specifica malattia», ma semplicemente «produrre protezione da una specifica malattia». I requisiti, in pratica, vennero attenuati. Alcuni esperti sentiti da Associated Press, poi, garantirono che il cambiamento era «normale» e rifletteva «l’evoluzione della ricerca e della tecnologia dei vaccini».
Ma il nocciolo della questione è un altro. I decreti 44 e 52 del 2021, l’uno contenente le norme sull’obbligo vaccinale per i sanitari e l’altro redatto per inquadrare la disciplina dei green pass, si basavano sul presupposto che l’Aifa ha smentito: ovvero, che i vaccini fermassero il virus. Ecco cosa sta scritto nel dl emanato il primo aprile di tre anni fa: «Gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da Sars-Cov-2». Anche il testo del decreto del 22 aprile si rifaceva al «Piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da Sars-Cov-2». Peccato che - citiamo sempre l’Aifa - «nessun vaccino Covid-19 approvato presenta l’indicazione “prevenzione della trasmissione dell’infezione dall’agente Sars-Cov-2”». Come dimenticare l’incauta sortita di Mario Draghi, il quale, per giustificare l’introduzione del certificato verde, si lasciò scappare la frase sulla «garanzia di trovarsi tra persone che non sono contagiose»? Le leggi del «governo dei migliori» erano antiscientifiche. Avrebbe dovuto prenderne atto la Corte costituzionale, che invece ha salvato l’obbligo vaccinale per i sanitari, appoggiandosi alle presunte «conoscenze medico scientifiche disponibili» quando venne licenziato il decreto. Falso: quelle conoscenze non erano affatto «disponibili». Lo sapeva l’Aifa, sul cui sito campeggiano i foglietti illustrativi con l’indicazione terapeutica relativa alla prevenzione della «malattia», non dell’infezione. E lo sapeva l’Ema, costretta a riconoscerlo nella replica all’eurodeputato olandese Marcel De Graaf e ad altri suoi sette colleghi: «Lei ha ragione», recitava un comunicato dell’agenzia Ue, di cui sulla Verità aveva dato conto Maddalena Loy, «a sottolineare che i vaccini contro il Covid-19 non sono stati autorizzati per prevenire la trasmissione» del Sars-Cov-2.
Rimane un mistero: l’ex inquilino di via del Tritone, Giorgio Palù, il 23 dicembre 2020, dichiarò: «È quasi certo che entrambi i vaccini a mRna diano un’immunità sterilizzante, […] vi anticipo dei dati che sono quelli che ci ha trasmesso l’Ema e che noi abbiamo visto in Aifa». Da dove arrivavano quei dati? Le autorità avevano comprato a scatola chiusa le informazioni di Big pharma? E se nessuno ha mai sostenuto che i vaccini prevenissero il contagio, com’è stato possibile mettere in piedi un regime fondato su una bufala?
La Commissione d’inchiesta sul Covid saprà di sicuro a chi rivolgere queste domande.