Autore Topic: L'utopia femminista ha generato l'Eurabia  (Letto 5462 volte)

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Milo Riano

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L'utopia femminista ha generato l'Eurabia
« il: Ottobre 14, 2009, 22:40:59 pm »
Articolo noto ai più che riprendo.
Non ricordo una discussione in particolare dal primo forum sulla QM a cui collegarlo.



http://web2.venet.net/libridelponte/det-articolo.asp?ID=141

L'UTOPIA FEMMINISTA HA GENERATO L'EURABIA
Enclave, n. 36, giugno 2007
di Guglielmo Piombini


In uno spassoso articolo “Contro il femminismo” (pubblicato su Enclave n. 31/2006) Murray N. Rothbard notava come fosse diventato impossibile evitare di essere assaliti, senza tregua, dal noioso chiacchiericcio delle femministe. Ogni giorno siamo inondati da libri e articoli sul problema della “liberazione della donna”, mentre non si trova nulla che presenti la tesi opposta. Ma se gli uomini tengono le fila di questa società maschile e sessista, osservava Rothbard, come mai non osano avanzare programmi o stampare scritti a propria difesa? Gli “oppressori” rimangono stranamente silenziosi, e questo induce a sospettare che forse l’oppressione risiede nella sponda opposta.

Nel mondo occidentale, dopo decenni di intimidazioni e lavaggio del cervello, gli uomini hanno perso il coraggio di replicare agli attacchi delle femministe. Ci voleva una donna come Alessandra Nucci, che in gioventù ha conosciuto dall’interno il movimento femminista, per denunciarne la pericolosa deriva estremista, illiberale e anticristiana. In un libro notevole uscito alla fine del 2006, La donna a una dimensione (Marietti Editore), Alessandra Nucci osserva che in Occidente le donne hanno conseguito una grande libertà di scelta nel campo dell’istruzione, del lavoro o della famiglia, ma le femministe, invece di celebrare questi progressi, continuano a presentare le donne come vittime della discriminazione e a pretendere dallo Stato trattamenti privilegiati.

La Nucci documenta in maniera dettagliata il modo in cui le femministe sono riuscite con successo ad avvalersi delle burocrazie e delle agenzie internazionali legate alle Nazioni Unite per imporre in ogni sede l’ideologia “di genere”. Questa dottrina si basa sulla convinzione che tutte le differenze fra gli uomini e le donne, a parte quelle fisiche, siano frutto di indebiti condizionamenti e di stereotipi sociali, e che quindi siano modificabili. Con il pretesto di assicurare alle donne la definitiva parità, osserva la Nucci, le femministe di genere mirano a renderle uguali agli uomini orientando (cioè manipolando) i gusti, con le pressioni culturali e l’educazione, nell’illusione di riuscire a creare una nuova natura umana, libera di scegliere fra orientamenti sessuali diversi e soprattutto libera di non riprodursi. Ciò comporta l’incoraggiamento di nuovi stereotipi, inculcati con l’educazione a scuola e con le immagini nei media, in cui la donna è conformata a un modello per il quale la carriera e il lavoro fuori casa non sono più una scelta, ma l’esigenza unica per realizzarsi nella vita, l’uomo non è più tanto da uguagliare quanto da soppiantare, e la maternità diventa un’opzione residuale di second’ordine.

La meta a cui puntano questi movimenti femministi è un via libero planetario alla diffusione delle pratiche di pianificazione famigliare (la Nucci parla di vero e proprio “imperialismo contraccettivo”), alla banalizzazione della promiscuità sessuale, all’universalizzazione dell’aborto libero e gratuito, a una ridefinizione della natura umana che annulli la famiglia annegandola nel mare dei generi intercambiabili: tutte cose che vanno in direzione della dissoluzione della famiglia monogamica auspicata da Friedrich Engels e da schiere di socialisti prima o dopo di lui.

Ma le donne sono più felici?

Sorge però un dubbio: se i diversi ruoli tradizionali svolti dagli uomini e dalle donne non sono il frutto dell’oppressione patriarcale, ma di libere scelte che esprimono la natura maschile e femminile, le femministe non rischiano di creare infelicità nelle donne, costringendole a compiti non propri? Alessandra Nucci ricorda che già nel 1982 la femminista storica Betty Friedan aveva ammesso che ci potrebbe effettivamente essere qualcosa nella natura delle donne che le porta a trovare la felicità nella famiglia e nella casa. Se l’agiografia femminista ha imposto con successo come modello unico a cui aspirare quello della donna che lavora, studi sociologici hanno dimostrato che separare un bambino dalla madre troppo presto o per troppo tempo rischia di provocare danni a lungo termine su quel bambino.

Se le donne spesso preferiscono il part-time per stare con i propri figli non è perché sono indotte a sacrificarsi dai condizionamenti della società tradizionali, ma perché difficilmente la propria felicità può sussistere se i propri figli sono infelici. Per le femministe radicali, invece, queste donne sono da considerare dei soggetti da rieducare perché incapaci di capire da sole che è nel loro interesse optare per il lavoro a tempo pieno e privilegiare la propria autorealizzazione rispetto alla cura in prima persona dei propri figli. Una parlamentare laburista olandese, Sharon Dijksma, ha proposto addirittura di multare le donne che scelgono di fare le casalinghe invece di lavorare fuori casa, perché stando in casa sprecherebbero la costosa istruzione ricevuta “a spese della società”. È la solita storia: i politici prima caricano la gente di tasse per fornire dei servizi “gratuiti” non richiesti, e poi si sentono in diritto di gestire totalmente le loro vite.

Mettere in contrapposizione la felicità delle donne con quelle dei loro figli, osserva la Nucci, è irreale e innaturale. Se è vero che non esiste destino biologico che prescrive che la donna debba necessariamente realizzarsi come madre, è altrettanto vero che la donna che si può ritenere felice nonostante l’infelicità di un figlio è una vera rarità. Gli studi dimostrano inoltre che, nonostante tutti gli sforzi e le pressioni perché le donne pensino alla carriera e raggiungano l’esatta proporzione dei maschi nel lavoro, nella politica o negli sport, sia le femmine sia i maschi rientrano subito negli “stereotipi” tradizionali nel momento in cui li si lascia liberi di scegliere. Nelle università, ad esempio, sono uomini la stragrande maggioranza degli studenti che scelgono i rami tecnologici, mentre le donne costituiscono la stragrande maggioranza delle iscritte a scienze dell’educazione e alle materie umanistiche.

Il sistematico disprezzo del maschio (occidentale)

Il femminismo radicale ha diffuso con successo una cultura che disprezza il maschio e tutti i caratteri solitamente associati alla mascolinità. Molte università occidentali prevedono dei corsi sul femminismo che diffondono un odio per gli uomini impensabile in qualsiasi altra parte del mondo. Nelle scuole dei paesi anglosassoni e del Nord Europa, ricorda la Nucci, i giovani maschi vengono sistematicamente attaccati per la loro identità e denigrati dalle insegnanti, che arrivano a provocare le femmine per farle adirare contro il sesso maschile. Fin da piccoli i maschi si sentono marchiati come il sesso violento e insensibile, e vivono in uno stato permanente di colpevolezza. La mentalità ingenerata dal femminismo organizzato suggerisce anche che i padri sono un elemento di poco conto all’interno della famiglia. Questo spiega perché i tribunali assegnino di regola i figli alla madre in caso di separazione, perché il parere del padre sulla decisione di abortire o meno non conti nulla, e perché i programmi televisivi e le pubblicità ritraggano raramente figure positive di uomini.

Questa pressione giuridica e culturale fa sì che siano sempre più numerose la famiglie in cui il padre è assente, perché respinto dalla moglie o perché scacciato e perseguitato dai tribunali imbevuti di ideologia femminista. Negli Stati Uniti, ad esempio, pare siano ormai il 40 % i figli minorenni che non vivono con il padre. Tuttavia, come ha dimostrato anche lo psicologo Claudio Risè nel libro Il padre. L’assente inaccettabile (Edizioni San Paolo), gli studi indicano che la mancanza della figura paterna danneggia irreparabilmente lo sviluppo armonioso dei figli. Il padre infatti ha il compito di sciogliere il nodo protettivo che lega la madre al bambino, spingendo il figlio a diventare intraprendente e ad aspirare all’autonomia.

Nell’ideologia femminista però vi è un aspetto ancora più inquietante, che non sfugge ad Alessandra Nucci: solo i maschi occidentali vengono messi sotto accusa e stigmatizzati fin dalla più tenera età. Le femministe non spendono una parola di critica nei confronti degli uomini che appartengono a culture molto più oppressive e “patriarcali” di quella occidentale. Nel 2002 la femminista svedese di idee marxiste Gudrun Schyman, il cui usuale grido di battaglia è “morte alla famiglia nucleare!”, ha affermato che gli uomini svedesi non sono differenti dai talebani, e ha proposto una tassazione collettiva per legge a carico di tutti gli uomini svedesi, in riparazione delle loro presunte violenze sulle donne.

Nel 2004, sul maggior quotidiano svedese Aftonbladet, la femminista Joanna Rytel ha scritto un articolo intitolato “Non darò mai vita a un bambino bianco”, nel quale affermava che i maschi bianchi sono tutti egoisti, sfruttatori, presuntuosi e sessuomani, concludendo con l’avvertimento “uomini bianchi, statemi lontani!”. Le femministe norvegesi stanno cercando di far approvare una legge che impone la chiusura di tutte le imprese che non assumano almeno il 40 per cento di donne nei loro consigli di amministrazione; inoltre hanno chiesto anche quote per gli immigrati musulmani.

L’attacco al maschio occidentale potrebbe produrre però un inatteso effetto boomerang: la progressiva islamizzazione culturale e demografica del continente europeo. Distruggendo la famiglia e la figura paterna e maschile, le femministe stanno spianando la strada alla penetrazione indisturbata dell’islam nelle società occidentali, preparando così un futuro da incubo per le prossime generazioni di donne. Partendo dalla brillante analisi di Alessandra Nucci, vorrei spiegare perché la vittoria del femminismo potrebbe paradossalmente favorire l’avvento dell’Eurabia.

Come il femminismo ha spianato la strada all’islam

Per quanto alcune delle più coraggiose e indomite avversarie dell’islam siano donne (si pensi a Oriana Fallaci, a Bat Ye’Or, a Ayaan Hirsi Ali), è indubbio che, nella media, le donne occidentali siano più favorevoli al multiculturalismo e all’immigrazione islamica rispetto agli uomini occidentali. In tutto l’Occidente i partiti più critici verso l’immigrazione sono tipicamente maschili, mentre quelli che esaltano la società multiculturale sono spesso dominati dalle femministe. Se negli Stati Uniti avessero votato solo le donne, il presidente in carica l’11 settembre 2001 sarebbe stato Al Gore, non George W. Bush. In Norvegia l’unico partito che cerca di contrastare l’immigrazione islamica di massa che sta cambiando il volto del paese è il Partito del Progresso, il cui elettorato è per il 70 per cento maschile; all’estremo politico opposto il multiculturalista Partito Socialista riceve il 70 per cento dei suoi voti dalle donne.

La spiegazione femminista di questo diverso comportamento elettorale è che gli uomini sono “più xenofobi ed egoisti”, mentre le donne hanno la mente più aperta e sono più solidali con gli estranei. La verità, probabilmente, è che tradizionalmente gli uomini hanno sempre avuto la responsabilità di individuare i pericoli e di proteggere la propria comunità dai potenziali nemici esterni.

Il rifiuto delle femministe di confrontarsi con il problema dell’immigrazione musulmana non ha però solo motivazioni psicologiche, ma anche ideologiche. Molte femministe sono silenziose sull’oppressione islamica delle donne perché hanno abbracciato un’ideologia terzomondista e antioccidentale che le paralizza. A giudicare dalle retorica femminista, infatti, tutta l’oppressione del mondo proviene dall’uomo occidentale, che opprime sia le donne sia gli uomini non occidentali. Gli immigrati musulmani sarebbero anch’essi delle vittime: al massimo con qualche pregiudizio patriarcale, ma comunque sempre meglio degli uomini occidentali.

Quasi tutte le femministe, radicali, infatti, sono anche delle accese “anti-razziste” che si oppongono ad ogni minima limitazione dell’immigrazione islamica in quanto “razzista e xenofoba”. Il femminismo radicale si è trasformato gradualmente in egualitarismo, cioè nella lotta contro tutte le “discriminazioni” e nell’idea che tutti i gruppi di persone debbano disporre di una quota uguale di tutto, e che sia compito dello Stato assicurarla. Le femministe hanno contribuito enormemente alla diffusione della cultura del vittimismo in Occidente, che permette di ottenere i vantaggi politici sulla base dello status di appartenenza nella gerarchia delle vittime. Inoltre hanno chiesto, e in larga misura ottenuto, la riscrittura dei libri di storia che facesse giustizia dei “pregiudizi” maschilisti ed eurocentrici. Queste loro idee fanno oggi parte dei programmi scolastici e sono praticamente egemoni sui media. In breve, le femministe radicali hanno rappresentato l’avanguardia della “correttezza politica” in tutto l’Occidente.

Quando i musulmani arrivano in Occidente portandosi dietro la loro mentalità vittimista si trovano il lavoro già preparato da altri. Colgono quindi su un piatto d’argento l’opportunità di sfruttare una tradizione vittimista già stabilita, che gli permette di ottenere interventi statali a proprio favore, quote preferenziali, la riscrittura della storia in senso filo-islamico, e campagne politiche contro “l’islamofobia” e “l’incitamento all’odio”. Le femministe occidentali hanno dunque spianato la strada alle forze che annienteranno il femminismo occidentale, e di questo passo finiranno a letto, letteralmente, con il nemico.

Dal femminismo alla sharia

La graduale trasformazione dell’utopia femminista nel suo opposto, la legge coranica, è ormai evidente nei paesi scandinavi, dove l’applicazione dell’ideologia femminista e multiculturalista ha raggiunto le punte più avanzate. Negli ultimi anni, infatti, si è verificato un enorme aumento degli stupri e delle violenze sulle donne, per opera nella quasi totalità dei casi di giovani immigrati islamici. In Svezia il numero degli stupri è quadruplicato in una generazione, parallelamente all’afflusso di una immigrazione islamica senza controllo che ha già preso possesso di intere città, come Malmoe. Pur rappresentando non più del 5 % della popolazione, in Norvegia e in Danimarca due terzi di tutti gli uomini arrestati per stupro sono “di origine etnica non-occidentale”, un eufemismo usato per designare gli appartenenti alla religione musulmana.

Nel 2001 Unni Wikan, professoressa di antropologia sociale all’università di Oslo, ha dato la precedenza al multiculturalismo sul femminismo, spiegando in un’intervista al quotidiano Dagbladet che “le donne norvegesi hanno la loro parte di responsabilità in questi stupri” perché, essendo ormai la Norvegia una società multiculturale, le donne norvegesi devono adattarsi ai costumi degli immigrati, abbigliandosi e comportandosi in maniera giudicata non provocatoria dalla loro cultura.

Per i multiculturalisti, quindi, i norvegesi sono solo una delle tante etnie che popolano il paese dei fiordi (forse neanche la più importante), e sulle decisioni che riguardano la Norvegia non hanno più voce in capitolo dei somali o dei curdi giunti la settimana scorsa.

La risposta degli uomini scandinavi a queste continue aggressioni è stata quasi inesistente. Viene da chiedersi dove siano finiti i vichinghi di un tempo, che certo non si sarebbero voltati dall’altra parte se degli ospiti stranieri avessero violentato le loro donne. Probabilmente la mancata protezione delle donne da parte degli uomini scandinavi è dovuta al fatto che queste notizie vengono deliberatamente censurate o minimizzate dalle autorità e dai media, in modo che il pubblico non si renda conto delle eclatanti dimensioni del fenomeno.

La ragione principale, tuttavia, ha a che fare con l’influenza delle idee fortemente antimaschili che le femministe scandinave hanno diffuso negli ultimi decenni. L’istinto protettivo maschile non si manifesta perché le donne nordiche hanno lavorato senza sosta per sradicarlo, insieme a tutto ciò che fa parte della mascolinità tradizionale. In questo modo il femminismo ha indebolito mortalmente la Scandinavia, e probabilmente l’intera civiltà occidentale.

Dal punto di vista femminista questa situazione ha una sua logica: se tutta l’oppressione del mondo proviene dai maschi occidentali, il regno di pace e di eguaglianza sognato dalle femministe potrà essere raggiunto solo quando gli uomini bianchi verranno messi in condizione d’impotenza. La soppressione e la ridicolizzazione degli istinti maschili, tuttavia, non sta conducendo al paradiso femminista, ma all’inferno islamista. Una società in cui gli uomini sono stati “femminilizzati”, infatti, è destinata a cadere preda delle più aggressive civiltà tradizionali. Invece di “avere tutto”, le femministe rischiano di perdere tutto, e la crescente violenza degli immigrati contro le donne occidentali è un sintomo del crollo dell’utopia femminista. Cosa faranno le femministe quando si troveranno di fronte bande di giovani musulmani armati e violenti come quelli che spadroneggiano in Palestina, in Afghanistan e in tutto il mondo musulmano? Gli diranno che “il corpo è mio e lo gestisco io” o gli leggeranno l’ultimo libro di Catharine McKinnon?

La vita, la libertà e la proprietà possono essere protette solo con la forza o con una credibile minaccia di applicazione della forza, altrimenti sono lettera morta. Per questa ragione la responsabilità principale della difesa dei diritti individuali, anche delle donne, spetterà sempre in larga misura agli uomini. Raramente le teorie femministe tengono conto di questo fatto sociologico fondamentale. Le doti e le capacità delle donne sono indispensabili, ma nessuna civiltà vitale può fare a meno della forza e dell’energia maschile.

Nancy PelosiCome si spiega allora l’ammirazione delle donne progressiste occidentali per l’islam, quando non esiste un solo paese musulmano in cui le donne godano di diritti lontanamente paragonabili a quelli dell’uomo? Le attiviste occidentali che a casa propria attaccano duramente “l’arretratezza” e “la mentalità patriarcale” della Chiesa cattolica sono le stesse che si sottomettono con più voluttà alla sharia quando si recano nei paesi musulmani. Di recente la giornalista Lilli Gruber, la cantante Gianna Nannini e la speaker del Congresso americano Nancy Pelosi, che in Occidente fanno quotidianamente professione di femminismo, progressismo e trasgressione, hanno ostentato con orgoglio le loro foto con il chador scattate durante i viaggi in Medio Oriente.

Quando si comportano così, ha ironizzato qualche commentatore “maschilista”, le femministe tradiscono i propri desideri più nascosti. Lo scrittore danese Lars Hedegaard ha scritto, in un articolo intitolato “Il sogno della sottomissione”, che “quando le donne occidentali spalancano le porte alla sharia, presumibilmente lo fanno perché vogliono la sharia”. La scrittrice inglese Fay Weldon ha rincarato la dose affermando che “molte di queste donne trovano sessualmente attraente la sottomissione" e poco seducenti e noiosi gli uomini femminilizzati dell’Europa Occidentale, rispetto ai virili sceicchi del deserto.

Ma nello stesso modo si comportano probabilmente anche gli uomini occidentali quando devono scegliere una compagna di vita. È stato notato che nei paesi scandinavi sono in forte aumento gli uomini che preferiscono una moglie straniera proveniente da culture più tradizionali dell’estremo oriente o dell’America Latina. Il femminismo radicale ha portato separazione, sospetto e ostilità tra i sessi, non cooperazione. E non ha sradicato la naturale attrazione per le donne con caratteri femminili e per gli uomini con caratteri mascolini.

Ai musulmani spesso piace far notare che in Occidente si convertono all’Islamismo più donne che uomini. In un servizio giornalistico sulle donne svedesi convertite all’islam, risulta che l’attrazione per la famiglia islamica sia una delle motivazioni principali. Queste donne nordiche convertite trovano appagamento nel ruolo ben definito di cura della casa e dei figli che l’islam assegna loro. Hanno scoperto un senso da dare alla propria vita che non trovavano nella cultura secolare o nell’insipido e succube Cristianesimo modernista.

In psichiatria è stato notato che le donne tendono più frequentemente a rivolgere la propria nevrosi su se stesse, infliggendosi delle ferite o tenendo dei comportamenti autodistruttivi. Gli uomini invece sono più portati a dirigere la propria aggressività verso l’esterno. È inoltre risaputo che un certo numero di donne maltrattate dal marito tendono a giustificarne i comportamenti aggressivi e ad incolpare se stesse. La sensazione è che l’Occidente nel suo insieme, dopo decenni di propaganda antimaschile, abbia adottato inconsciamente alcuni di questi tratti negativi della psiche femminile. L’Occidente femminilizzato viene quotidianamente minacciato, insultato e aggredito con prepotenza dal mondo musulmano, ma reagisce – come la moglie abusata  incolpando se stesso, come se fosse in qualche modo affascinato dai suoi aguzzini.

Come ha scritto Alexandre Del Valle nel suo recentissimo libro Il totalitarismo islamista, questo masochismo espiatorio degli occidentali, frutto della tendenza a dubitare della propria civiltà e a flagellarsi di continuo, costituisce una irresistibile esortazione alla liberazione delle pulsioni più sadiche del fondamentalismo islamico.

L’eterogenesi dei fini

La femminista americana Ellen Willis scriveva nel 1981 su The Nation: “Il femminismo non riguarda solo una questione o un gruppo di questioni, ma è l’avanguardia di una rivoluzione dei valori culturali e morali. L’obiettivo di ogni riforma femminista, dalla legalizzazione dell’aborto alla promozione degli asili-nido pubblici, è quello di demolire i valori della famiglia tradizionale”. L’icona del femminismo Simone de Beauvoir affermò che “nessuna donna dovrebbe essere autorizzata a stare a casa per allevare i bambini, perché lasciandogli questa libertà troppe donne farebbero la scelta sbagliata”. Oggi ci accorgiamo che i desideri delle femministe degli anni Sessanta e Settanta, come la Willis e la de Beauvoir, si sono avverati oltre le più rosee previsioni: in Occidente i divorzi hanno avuto una crescita esplosiva mentre il numero dei matrimoni e delle nascite è crollato, determinando un vuoto culturale e demografico che ci ha resi vulnerabili all’irruzione dell’islam.

Il femminismo radicale ha inferto un colpo durissimo alla struttura famigliare del mondo occidentale, ma sarà impossibile risollevare i tassi di natalità se le donne non tornano ad essere apprezzate per il loro ruolo di madri e se il matrimonio non viene rivalutato. Non esistono altre istituzioni diverse dalla stabile famiglia tradizionale per crescere bambini culturalmente, emotivamente e psicologicamente sani e felici. Il matrimonio non è “una cospirazione per opprimere le donne”, ma la ragione per cui noi siamo qui.

In definitiva, il femminismo radicale ha rappresentato una delle più importanti cause dell’attuale indebolimento della civiltà occidentale, sia dal punto culturale che dal punto di vista demografico. Le femministe radicali, portatrici spesso di una visione del mondo marxista, hanno dato un contributo fondamentale all’affermazione della soffocante “correttezza politica” che impedisce ogni reazione dell’Occidente; inoltre, debilitando la struttura famigliare dell’Occidente hanno contribuito a rendere la nostra civiltà incapace di reggere l’assalto di società prolifiche e patriarcali come quella islamica.

Il destino di una società dominata dall’ideologia femminista, dove gli uomini sono troppo demoralizzati, indeboliti e inebetiti per difenderla, è quello di essere schiacciata e sottomessa dagli uomini provenienti da altre culture più aggressive e mascoline. È questo che sta accadendo all’Europa occidentale. L’ironia della sorte è che quando in Occidente le donne lanciarono la seconda ondata del femminismo negli anni sessanta e settanta godevano già di una situazione in via di miglioramento e non erano particolarmente oppresse, almeno rispetto ad altre parti del mondo. Alla fine del ciclo, quando gli effetti a lungo termine del femminismo radicale si saranno compiuti, le donne si troveranno realmente schiavizzate sotto l’implacabile tallone dell’islam. Sarà l’ennesima eterogenesi dei fini che, da sempre, scombussola i disegni e le vicende della storia umana.

« Ultima modifica: Ottobre 14, 2009, 22:44:48 pm da Milo Riano »

Milo Riano

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Re: L'utopia femminista ha generato l'Eurabia
« Risposta #1 il: Ottobre 14, 2009, 23:16:11 pm »
Il reportage Viaggio nelle città europee dell' integrazione difficile
Malmö, il ghetto ribelle degli stranieri che mette in crisi il modello svedese
Un residente su tre è musulmano. Quasi tutti sono disoccupati.

MALMÖ - «Io? Sono di Gaza». Rani, 15 anni, strizza l' occhio agli amici che gli si fanno intorno a semicerchio, come se volessero proteggerlo da una minaccia incombente. Si chiamano Mohammed, Ali, Hata, Isak. Tutti coetanei. Età da medie, al massimo liceo. «A scuola? Ma no, nessuno di noi ci va. Tempo perso». La stessa domanda, provoca identica risposta: sono di Ramallah, Il Cairo, Sarajevo. Bisogna insistere. E allora rispondono con le voci che si sovrappongono, in una primavera nordica solo annunciata: «Certo che siamo nati a Rosengard: ma questa non è mica casa nostra». Periferia orientale di Malmö. Palazzi gettati come mattoncini a formare isole tanto ordinate quanto slegate l' una dall' altra, cemento a vista: uno dei tanti progetti che, sulla carta, negli anni Sessanta e Settanta, dovevano risolvere una volta per tutte il «problema casa» della classe operaia più viziata d' Europa.

Oggi i lavoratori svedesi sono una minoranza minacciata più dall' incedere dell' immigrazione islamica che dalla crisi economica. «Non c' è più posto per noi», spiega con un sorriso a mezza bocca Anders Püschel, al momento «disoccupato». Non c' è più posto per nessuno, a giudicare dagli ultimi eventi. A Rosengard, dove Ibrahimovic ha imparato prima a fare a botte poi a calciare il pallone, la sera, non si esce di casa. I poliziotti sono diventati il bersaglio preferito di Intifade istantanee: sassaiole sulle auto di pattuglia che tornano in rimessa ammaccate, come se avessero attraversato un campo profughi palestinese con le insegne dell' esercito di Israele bene in vista. Ogni sera, da mesi, cassonetti, cabine, e qualunque struttura pensata per la città si trasformano in roghi appiccati da molotov lanciate direttamente dal salotto di casa. I vigili del fuoco, stanchi di diventare il bersaglio preferito dopo gli agenti, hanno deciso di ritirarsi dal loro Forte Apache, la caserma di Rosengard. Henrik Persson, il comandante della stazione dei pompieri del quartiere, si è appena dimesso: «Nessuno mi ascolta, nessuno ci aiuta. Non ha senso continuare così».

Persson ha raccontato che, a una recente riunione operativa, un dirigente della polizia lo ha messo in guardia: «Preparatevi a vedere lanciare le molotov contro di voi». Ma a una richiesta di fondi e rinforzi, spiega ancora Persson, «ho ricevuto un netto rifiuto». Dall' opposizione, la consigliera centrista Anja Sonesson chiede «l' imposizione immediata di un coprifuoco per arginare l' ondata di violenza. I ragazzini con meno di 18 anni non dovrebbero uscire dopo le 9 di sera». Per il momento, i socialdemocratici, la maggioranza, resistono: «Sarebbe la fine della democrazia, del sistema svedese». Il sindaco Ilmar Reepalu è convinto che una misura così drastica accentuerebbe «il carattere di enclave a se stante del quartiere. Al contrario noi dobbiamo cercare di unire Rosengard al resto della città, farne un zona residenziale come le altre». Malmö, terza città della Svezia, capoluogo della prospera Scania, porto sull' Öresund con un passato di traffici che non torneranno più, ha 270 mila abitanti, centomila dei quali stranieri, per lo più concentrati a Rosengard e dintorni. Come dire, un residente su tre è musulmano.

Molti vengono dai Balcani, dall' Africa, dall' Asia centrale. «Ci sono cento e più nazionalità nel quartiere - spiega Stefan Alfelt, corrispondente locale di Aftonbladet, uno dei principali quotidiani nazionali -. Pochi di loro hanno un' occupazione. In alcune zone i senza lavoro sono addirittura l' 86% degli adulti. I giovani crescono osservando i genitori che vivono di carità pubblica. Sanno di essere senza speranza e si comportano di conseguenza: fanno la guerra». Curiosamente, non è un conflitto «Rosengard contro gli altri». «Gli scontri raramente superano i confini del quartiere - dice ancora Alfelt -. È una guerra civile locale: tutti contro tutti». In realtà, qualche volta la violenza lascia Rosengard e si sposta verso il centro elegante, l' isola pedonale dove si affacciano vetrine e ristoranti ancora affollati nonostante la crisi. Ai primi di marzo è bastato l' arrivo della nazionale israeliana di tennis, impegnata in Coppa Davis contro la Svezia, proprio a Malmö, a far insorgere la comunità islamica, in quell' occasione alleata dei centri sociali svedesi e i black blok di tutta Europa.

Un mix esplosivo che la polizia ha affrontato a modo suo. Con le maniere forti: cariche a cavallo, botte da orbi e pistole impugnate contro i dimostranti. Inutile parlare di integrazione, a Rosengard. Il modello sociale svedese? «Non spetta a me interpretare la politica del governo», ci ha detto il sindaco Ilmar Reepalu, socialdemocratico, facendo intendere che lui, la sua città, vuole continuare ad amministrarla come se il welfare scandinavo non fosse superato dalla realtà. Certo «dobbiamo iniziare a progettare qualcosa di diverso. Ne va della tranquillità di tutti». Solo una questione di ordine pubblico, allora? La polizia, conclude il portavoce Lars-Hakan Lindholm, «sa esattamente cosa fare e lo farà». Il punto è: per quanto, ancora?

Salom Paolo
(5 maggio 2009)


http://archiviostorico.corriere.it/2008/dicembre/21/Brucia_Malmo_citta_degli_immigrati_co_9_081221032.shtml

Offline ilmarmocchio

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Re: L'utopia femminista ha generato l'Eurabia
« Risposta #2 il: Ottobre 15, 2009, 09:08:32 am »
Articolo assai istruttivo. tristo e' il pollaio dove le galline cantano e il gallo tace

Milo Riano

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Re: L'utopia femminista ha generato l'Eurabia
« Risposta #3 il: Ottobre 16, 2009, 22:16:16 pm »
Tratto da:
Eric Zemmour
L'uomo maschio
EDIZIONI PIEMME, 2007
 
Il caso dei giovani ebrei dei quartieri popolari, a Parigi o nelle banlieue, è molto istruttivo. Anche loro hanno trovato una virilità per procura. Sono sionisti. Israele e il suo esercito, coi suoi carri armati e i suoi aerei, straordinari falli di ferro e acciaio,  è il disprezzo delle organizzazioni internazionali, il piglio battagliero di Ariel Sharon. Non  si sbagliano. Il sionismo è innanzitutto un tentativo storico di smetterla con l'immagine "femminizzata" dell'ebreo europeo, l'ebreo dalle mani sottili e malaticcio, l'ebreo del ghetto, studente di teologia, angariato da cosacchi brutali e avvinazzati, l'ebreo intellettuale dei paesi occidentali, amante di libri e oggetti rari, l'ebreo che non si  sporca le mani con la terra né alla guerra, l'ebreo religioso che trascura qualunque attività sportiva.

Il sionismo vuole sbarazzarsi di questo ebreo vilipeso, vuole farlo rinascere col lavoro nei campi (i kibbutz) e la guerra. Il contadino-soldato è il modello del sionismo teso a eliminare definitivamente l'ebreo effeminato dell'esilio. Questa rinascita spiega perché i dirigenti israeliani come Sharon restino sordi a quelli che, in nome dei "valori ebraici", intimano di porre fine alla politica brutale nei confronti dei palestinesi. E spiega anche l'irriducibile opposizione del mondo arabo a Israele.

Nella storia millenaria degli arabi, nell'immaginario di ciascuno di essi, l'ebreo c'è sempre stato, ha sempre vissuto vicino a loro in modo pacifico, ma non poteva portare armi e aveva uno status giuridico e fiscale inferiore. Accettavano volentieri che gli ebrei più dotati, più intelligenti, più istruiti, diventassero consiglieri del re, finanzieri,  scrittori.

Degli spiriti raffinati e delicati, come le donne, venerati ma al contempo tenuti in una condizione secondaria, inferiore, sottomessa. "Donne" che però si sono rivelate capaci di coltivare aranci nel deserto e di vincere tutte le guerre contro di loro, gli arabi, uomini veri. Non lo hanno mai accettato.

Quindi non sorprenda che gli arabi delle periferie francesi vogliano vendicarsi sugli ebrei che hanno sotto mano. Non capiscono niente della posta geopolitica. Vogliono solamente vendicare la virilità perduta dei loro fratelli. Lo fanno in modo ancestrale.

Con gli ebrei così come con le donne. O con i "petits Blancs" paragonati a ragazze, come si è visto 1'8 marzo 2005 durante le manifestazioni degli studenti contro la legge Fillon. La violenza e la cattiveria di questa spedizione punitiva contro i bianchi furono addirittura riprese da «Le Monde». La maggior parte dei commentatori di sinistra ha voluto vederci un conflitto sociale. Altri hanno valutato il fatto sul piano etnico. Per quanto mi riguarda, io ci vedo l'odio viscerale dei "veri uomini" per le "checche", di quelli che sanno battersi verso quelli che non sanno difendersi.

I giovani che il 21 aprile 2002 manifestarono contro "il fascismo", tre anni dopo ne hanno visto il vero volto, che è sempre virilità esasperata, virilità umiliata che, per reazione, per rifiuto della  propria effeminatezza vista nello specchio che altri tendono, diventa selvaggia. Barbara.

Come tutti i giovani maschi dall'inizio dell'umanità fino a oggi, anche i giovani arabi hanno paura delle donne. Paura di quelle macchine castranti, paura di non essere all'altezza del loro appetito, che credono, e sperano, insaziabile. Intorno al  Mediterraneo, la paura della femminilità si regola da sempre con una virilità esagerata, sovraccaricata, e nascondendo i richiami della sensualità femminile, capelli e caviglie, seno e fianchi, sotto vesti ampie, informi. Gli arabi delle nostre città reagiscono così. I più religiosi obbligano le sorelle a portare il velo. Gli altri esigono dalle ragazze che portino gli  stessi loro vestiti, tuta e scarpe da tennis. Così, travestite da ragazzi, fanno meno paura.

Se insistono a voler essere più femminili, a voler fare paura, a sfidare la loro virilità  incerta e fragile, allora, per poterle desiderare, per essere sicuri di eccitarsi, applicano l'altro sistema maschile, il piano B dell'uomo fin dall'homo sapiens, il disprezzo manifesto, tanto più rabbioso e violento quanto più sia turbato e inquieto. Solo la "troia" e la "puttana" possono stuzzicare il fragile desiderio maschile.

Nelle società occidentali e cristiane, questa potenziale violenza si stemperava nel matrimonio e nel bordello. Nelle società musulmane tradizionali si racchiude nella religione e nella poligamia. La legge del padre, sacra, insegnata a bastonate, e l'amore materno, incondizionato.

È un mondo che non ritrovano nei nostri paesi. Una reazione così maschilista qui da noi risulta sfalsata, fuori luogo rispetto a una società che condanna la messinscena machista, e dove sempre di più i giovani rifiutano o temono - o anche le due cose insieme - il conflitto, lo scontro, la violenza. Una volta, per esorcizzare la paura delle donne, gli uomini giocavano a fare il superuomo; oggi, imitano le donne.

È questa società che i giovani arabi rigettano. Il padre è stato operaio alla Renault o alla Michelin; poi è diventato un disoccupato che vive di carità pubblica; non appena questo padre svilito, umiliato tre volte in quanto arabo, ex colonizzato e operaio, gonfiava di botte i figli, scattava l'intervento del vicinato, degli assistenti sociali e  della giustizia, per bloccare la sua mano castigatrice.

La legge del padre veniva così sminuita, derisa, vietata. La madre, che nel paese d'origine ammirava ma anche temeva il marito, ha vissuto questa castrazione della potenza virile non come una liberazione, ma come una suprema umiliazione. La famiglia magrebina è esplosa. La legge del padre è stata calpestata. Adesso il padre è assente fisicamente - ha lasciato la sua famiglia per un'altra donna, un'altra vita, perfino un  altro paese - o simbolicamente: svirilizzato dalla disoccupazione, ha rinunciato a imporre la sua legge di ferro, almeno ai figli.

Anche i ragazzi provenienti dall'Africa nera conoscono la stessa mancanza di riferimenti paterni, ma per ragioni differenti, la poligamia e la moltiplicazione di quei nuclei familiari senza il padre che vengono pudicamente chiamati "monogenitoriali". Coi padri inesistenti, e le madri che tirano avanti con gli aiuti sociali se non coi traffici dei figli, nessuno si occupa di fornire  una struttura formativa a questi ragazzi che, disorientati, incapaci di scegliere tra due  culture, vagano in quello che Emmanuel Todd chiama un "no man's land antropologico".

Secondo la sua teoria, la struttura familiare di un paese è il sostrato decisivo delle sue strutture economiche e politiche. La famiglia eterogenea inglese avrebbe ispirato il liberalismo e il sistema parlamentare; la famiglia egualitaria della pianura parigina sarebbe all'origine del culto francese dell'uguaglianza; la famiglia autoritaria tedesca sarebbe invece la fonte dei lunghi regimi autocratici imposti dalla Prussia.

Se questa tesi, qui riassunta sommariamente, risultasse fondata, le trasformazioni familiari nei paesi occidentali - dal divorzio di massa ai nuclei monogenitoriali, fino all'omogenitorialità - provocheranno prima o poi degli tsunami politici e sociali.

In Francia, la rivolta delle banlieue nel novembre 2005 ne sarebbe un terrificante prodromo. Le bande di ragazzi sono un surrogato alla famiglia di un tempo. Vi regna la legge del clan, dei capibanda, il rapporto di forza, il fascino del denaro, l'ostentazione. 
Il sentimento affettivo di appartenenza riguarda il posto, il quartiere, la banda. Il linguaggio è ridotto all'osso, espressione del loro pensiero sommario. Volutamente sommario. Voluttuosamente sommario. Come un'ulteriore prova di virilità, visto che qualunque sottigliezza di pensiero e di espressione viene considerata prova manifesta di declino femminile. La società francese femminizzata, che non sopporta la violenza, l'autorità virile, li esorta a entrare nel suo morbido grembo. A integrarsi.

Nel 1974, ai tempi della crisi petrolifera, le autorità francesi dovettero scegliere tra il rinvio nel paese d'origine di tutti coloro dei quali le fabbriche non avevano più bisogno e l'accoglienza degli stessi, imminenti disoccupati. Abbiamo scelto la soluzione "umanitaria". La nostra società femminile non poteva sopportare la crudeltà di uno strappo. Abbiamo rifiutato la soluzione da uomini, quella che respinge chiunque venga percepito, anche inconsciamente, come rivale nella competizione per la conquista della donna. Abbiamo preferito la dolcezza di una soluzione femminile, l'accoglienza, l'integrazione. Questa parola è diventata magia, religione, esorcismo. Rimpiazzò il modello tradizionalmente francese dell'assimilazione.

Rinunciare ad assimilare gli immigrati e i loro figli vuol dire rinunciare a imporre loro - virilmente - la nostra cultura. Di fronte a quest'ultima prova di debolezza, così femminile, i figli di quegli immigrati preferiranno riavvicinarsi alla legge del padre, trasfigurato, idealizzato, e vendicarlo. Con l'approvazione delle madri, per le quali i  figli avrebbero rappresentato una vendetta. In base a questo, trasgrediranno disinvoltamente la legge francese, odiata matrigna. In questa società di "ragazze", loro saranno uomini.

Vogliono "fottersi la Francia". La Francia, questa donna, questa "troia", questa "puttana". Loro, gli uomini. Bruciano, distruggono, sacrificano i simboli della sua dolce protezione materna, le scuole, i trasporti pubblici, i pompieri.

Respingono a pietrate gli unici uomini che la Francia gli manda contro per difendersi: i poliziotti. Gli "odiati" sbirri. Gli unici che ancora osano affrontarli in un combattimento da uomini. Uno scontro in cui è in gioco il predominio virile. Uno scontro che può solo essere all'ultimo sangue.

Milo Riano

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Re: L'utopia femminista ha generato l'Eurabia
« Risposta #4 il: Ottobre 16, 2009, 22:25:27 pm »
(...)

Il sogno femminista si è sostituito al sogno comunista. Si sa come finiscono questi sogni. Nel resto del mondo, non si è a questo punto. Gli americani, i cinesi, gli indiani, gli arabi, i russi adottano la forza, la violenza, la guerra, la morte, la virilità. Al di fuori del mondo occidentale, siano musulmani, buddisti o indù, gli uomini difendono gelosamente la loro egemonia, come un tesoro, e rifiutano di allineare lo "status" delle loro donne a quello delle europee.

Così, da una parte e dall'altra degli oceani si affrontano due feroci estremismi: totalitarismo femminista contro tirannide maschilista. Dai musulmani fino ai cantanti reggae, l'influenza omosessuale viene chiaramente considerata una minaccia da estirpare. Negli Stati Uniti, prima successe il contrario.

Le americane sono state le prime a ottenere l'uguaglianza, il rispetto, la parità. La legge contro le molestie sessuali, la spartizione delle mansioni domestiche, l'ingresso massiccio nella vita professionale, anche ai più alti livelli. Tutto quello che sognavano le femministe del mondo intero. Tutto quello che hanno incarnato Jane Fonda e Hillary Clinton. L'uomo femminizzato è nato proprio negli Stati Uniti. L'uomo castrato.

Ma dagli stessi Stati Uniti è venuta una vigorosa reazione maschilista, con gruppi di uomini che vanno a reimparare la propria virilità nei boschi. George Bush, coi suoi stivali da texano, e i"neoconservatori"vengono da Marte, non da Venere.

Di fronte a questa evoluzione, le società europee e americane rischiano di allontanarsi sempre di più, una deriva dei continenti nella quale l'Europa incarnerebbe la donna e l'America l'uomo. Oppure, come di regola nella storia del xx secolo, le trasformazioni americane prefigurano le nostre con venti anni di anticipo? Se è così, il contrattacco maschilista avverrà in un contesto inedito e delicato. Nelle banlieue, l'islamizzazione, demografica o culturale, ha avviato il suo lavoro di separazione rigorosa dei sessi e di segregazione delle donne.
 
Quando si chiede a Malek Chebel, scrittore, psicanalista e antropologo, perché scegliere l'islam invece del cristianesimo, lui risponde: «Per la sua virilità». La si può ritenere una provocazione gratuita, ma Chebel descrive con rara finezza quello che sta succedendo nelle banlieue francesi: «Rimango sempre sorpreso dalla forza di convinzione dei convertiti cristiani all'islam. Che cosa ci trovano? Una virilità e una sicurezza che nel cristianesimo non c'è più... La forza di Gesù, ma anche il suo tallone d'Achille, è di avere promosso una religione di bontà, di misericordia, ma anche di sofferenza. Se prendi uno schiaffo, porgi l'altra guancia. E' una religione indulgente. In Oriente, sono virtù femminili. Cosa propone Maometto? Un rafforzamento del patriarcato, pure se rispetta la donna e ne migliora la condizione. I valori forti, come la ricchezza, la forza, la guerra, non vengono messi in discussione. Religione maschile per definizione».

Attraverso la televisione, il nuovo modello americano di Bush, virile e neoconservatore, impregna i cervelli dei giovani. Questi due modelli stanno già rispondendo alla domanda di ordine che traspira da tutti i pori della società francese, minata da trent'anni di disordine femminile. L'anarchia chiama la dittatura, al disordine succede la tirannide. È quello che ci aspetta. Sono modelli aspri, rudi, violenti. Sono estranei alla tradizione francese, che ha la peculiarità di conciliare una supremazia patriarcale con un mondo aperto alle donne.

Offline ilmarmocchio

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Re: L'utopia femminista ha generato l'Eurabia
« Risposta #5 il: Ottobre 17, 2009, 18:51:24 pm »
A me piace molto il libro di Zemmour.  lo spunto sulla debolezza del cristianesimo, in particolare quello piagnucoloso cattocomunista, e' condivisibile, e anche se non mi piace l'islam, c'e' molto di vero in quello che ha scritto. La crisi del maschio e' in occidente

Grifone.nero

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Re: L'utopia femminista ha generato l'Eurabia
« Risposta #6 il: Ottobre 18, 2009, 23:59:34 pm »
A me piace molto il libro di Zemmour.  lo spunto sulla debolezza del cristianesimo, in particolare quello piagnucoloso cattocomunista, e' condivisibile, e anche se non mi piace l'islam, c'e' molto di vero in quello che ha scritto. La crisi del maschio e' in occidente


Ok , ma con quello che succede  in Svezia, altro che crisi, saranno le donne a rimetterci (ormai l'uomo è out)
Però continuo a pensare che magari "prenderanno il controllo nel 2030", come amano dire, in quei paesi, ma non in Italia o suoi simili, perchè i paesi mediterranei sono più inclini al tradizionalismo, e infatti in italia ci vuole una grossa botta per dare un improvviso risveglio.
tutt'al più, credo a una "mescolanza" delle due culture.

Milo Riano

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Re: L'utopia femminista ha generato l'Eurabia
« Risposta #7 il: Ottobre 23, 2009, 20:57:28 pm »
Milioni di uomini umiliati e derisi... e chi li tiene fermi? :unknown:

Grifone.nero

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Re: L'utopia femminista ha generato l'Eurabia
« Risposta #8 il: Ottobre 23, 2009, 21:08:45 pm »
Milioni di uomini umiliati e derisi... e chi li tiene fermi? :unknown:

Se succederà quello che dice l'articolo, saranno le donne le umiliate definitivamente (senza contare la merda della Tv)


Milo Riano

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Re: L'utopia femminista ha generato l'Eurabia
« Risposta #9 il: Ottobre 23, 2009, 22:34:21 pm »
Citazione
saranno le donne le umiliate definitivamente

http://www.youtube.com/v/NEwZO0xW-IE

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Re: L'utopia femminista ha generato l'Eurabia
« Risposta #10 il: Ottobre 23, 2009, 23:24:46 pm »
a me Bush pareva tutt'altro che virile .  Un bambinone sciocco.
E gli USA implegatati con il femminismo moltissimo.
I musulmani li vedo bene in Europa.  Dal confronto con loro le donne europee impareranno ad apprezzare la maniera gentile con cui le trattiamo. Piuttosto che temerli, dovremo imparare a farci rispettare quando si tratta di regole. Regole laiche , non religiose.

Penso che il passaggio sul padre/patriarca umiliato nelle nuove realtà economiche sia da approfondire e stressare il più possibile. Così come ci sarebbe da aprire un capitolo sui patriarchi pensionati. Quegli uomini che avevano visto nel lavoro il loro ruolo sociale ed improvvisamente per età si trovano privi del loro interesse.

Trovo invece che "la paura del giovane maschio verso la donna" sia l' ennesima riproposizione di un luogo comune falso. 
Io ho riposto le mie brame nel nulla.
(Stirner , L'Unico e la sua proprietà)
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Grifone.nero

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Re: L'utopia femminista ha generato l'Eurabia
« Risposta #11 il: Ottobre 23, 2009, 23:35:59 pm »
Citazione
a me Bush pareva tutt'altro che virile .  Un bambinone sciocco.


Bush è un formidabile petroliere. Su come veramente si sia comportato è difficile stabilirlo, perchè un giornale anti-USA ovvio che ne parla male. Un giornale Pro-USA ovvio che ne parla bene.

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E gli USA implegatati con il femminismo moltissimo.


Che è nato da lì.

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I musulmani li vedo bene in Europa.  Dal confronto con loro le donne europee impareranno ad apprezzare la maniera gentile con cui le trattiamo. Piuttosto che temerli, dovremo imparare a farci rispettare quando si tratta di regole. Regole laiche , non religiose.


Se si mescoleranno le culture, sicuramente succederà quello che dici. Io lo spero. Però non credo a una "guerra civile". Eccetto che in Svezia, ove ormai spadroneggiano.

Citazione
Penso che il passaggio sul padre/patriarca umiliato nelle nuove realtà economiche sia da approfondire e stressare il più possibile. Così come ci sarebbe da aprire un capitolo sui patriarchi pensionati. Quegli uomini che avevano visto nel lavoro il loro ruolo sociale ed improvvisamente per età si trovano privi del loro interesse.

Ovvio.

Citazione
Trovo invece che "la paura del giovane maschio verso la donna" sia l' ennesima riproposizione di un luogo comune falso.
 

Più che paura, direi  AL LIMITE diffidenza. A me invece fanno paura le TV, caposaldo del terrorismo.
Però è anche vero che oggi pochi uomini si sposano.

[/quote]

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Re: L'utopia femminista ha generato l'Eurabia
« Risposta #12 il: Agosto 20, 2010, 14:36:14 pm »
Una delle più belle discussioni che ho letto in questo forum.
E' proprio vero il detto "chi troppo vuole nulla stringe".

Offline Ryu

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Re: L'utopia femminista ha generato l'Eurabia
« Risposta #13 il: Agosto 22, 2010, 15:20:22 pm »
Yuuhuu Alessandra Nucci ti amo! Non ho nemmeno finito di leggere...
E' ciò che ho sempre pensato una volta raggiunta l'effettiva parità i membri del movimento femminista non accettano di doporre l'ascia di guerra per conservare il loro statusdi leader.
Ciò infatti significherebbe perdere fama, consensi, uno stile di vita votato al comando e all'essere sopra rispetto alle masse. Tornare alla normalità. Allora che fare? continuare a inventarsi nemici o situazioni immaginarie
Senza contare che le vere femministe di una volta quelle che si battevano per una parità sono state spodestate da zoccole col mantello da femminista tipo la carfagna, ecc che si riempiono la bocca di parole e frasi pseudo-femministe con il solo obiettivo di arrivare a potere, soldi ecc insomma so' mignotte e oggi come oggi quelle che hanno fiutato l'affare visti i tempi che corrono sono in netta maggioranza
Odio il femminismo perché amo le donne

Offline Jason

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Re: L'utopia femminista ha generato l'Eurabia
« Risposta #14 il: Agosto 22, 2010, 15:26:34 pm »
Citazione
zoccole col mantello da femminista


Bhe, stronze, non zoccole  ;) ;) ;)
Zoccola è il dispregiativo di prostituta. ( che non va mai usato )

Attenzione al linguaggio .
«La folla che oggi lincia un nero accusato di stupro presto lincerà bianchi sospettati di un crimine».
Theodore Roosvelt, Presidente degli Stati Uniti d’America