Autore Topic: Gramsci Vs. Cioran - fanatismo o indifferenza?  (Letto 1586 volte)

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Gramsci Vs. Cioran - fanatismo o indifferenza?
« il: Febbraio 20, 2011, 11:47:35 am »
Gramsci

Odio gli indifferenti.
Credo come Federico Hebbel che "vivere vuol dire essere partigiani".
Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L'indifferenza è il peso morto della storia. E' la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica.
L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E' la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all'intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all'iniziativa dei pochi che operano, quanto all'indifferenza, all'assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell'ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un'epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell'ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch'io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano.
I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere.
Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l'attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c'èin essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l'attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento.
Vivo, sono partigiano.
Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.
Ti sentirai più forte, un uomo vero, oh si , parlando della casa da comprare, eggià, e lei ti premierà, offrendosi con slancio.  L'avrai, l'avrai, con slancio e con amore … (Renato Zero)

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Re: Gramsci Vs. Cioran - fanatismo o indifferenza?
« Risposta #1 il: Febbraio 20, 2011, 11:50:07 am »
Cioran

In se stessa ogni idea è neutra, o dovrebbe esserlo; ma l’uomo la anima, vi proietta i propri ardori e le proprie follie; impura, trasformata in convinzione, essa si inserisce nel tempo, assume forma di evento: il passaggio dalla logica all’epilessia è compiuto... Nascono così le ideologie, le dottrine e le farse cruente.
Idolatri per istinto, noi convertiamo in Incondizionato gli oggetti dei nostri sogni e dei nostri interessi. La storia non è che una sfilata di falsi Assoluti, una successione di templi innalzati a dei pretesti, un avvilimento dello spirito dinanzi all’Improbabile.
Anche quando si allontana dalla religione, l’uomo vi rimane assoggettato; si affanna a creare simulacri di dèi, e si precipita poi ad adottarli: il suo bisogno di finzione, di mitologia, trionfa sull’evidenza e sul ridicolo. La sua capacità di adorazione è responsabile di tutti i suoi crimini: chi ama indebitamente un dio costringe gli altri ad amarlo, pronto a sterminarli se si rifiutano. Non c’è forma di intolleranza, di intransigenza ideologica o di proselitismo che non riveli il fondo bestiale dell’entusiasmo. Perda l’uomo la propria facoltà di indifferenza: diverrà virtualmente assassino; trasformi la sua idea in dio: le conseguenze saranno incalcolabili. Non si uccide se non in nome di un dio o delle sue contraffazioni: gli eccessi suscitati dalla dea Ragione, dall’idea di nazione, di classe o di razza sono affini a quelli dell’Inquisizione o della Riforma. Le epoche di fervore eccellono in imprese sanguinarie: santa Teresa non poteva che essere contemporanea degli autodafé, e Lutero dei massacri dei contadini. Nelle crisi mistiche, i gemiti delle vittime si accompagnano ai gemiti dell’estasi... Forche, galere, penitenziari prosperano solo all’ombra di una fede - di quel bisogno di credere che ha infestato per sempre lo spirito. Il diavolo appare assai scialbo rispetto a colui che dispone di una verità, della sua verità. Noi siamo ingiusti nei confronti dei Neroni e dei Tiberi: essi non inventarono il concetto di eretico: furono soltanto sognatori degenerati che si divertivano con i massacri. I veri criminali sono coloro che instaurano un’ortodossia sul piano religioso o politico, che distinguono tra il fedele e lo scismatico.
Quando ci si rifiuta di ammettere l’intercambiabilità delle idee, scorre il sangue... Sotto le risoluzioni ferme si leva un pugnale. Gli occhi ardenti preannunciano l’assassinio. Lo spirito esitante, preso da amletismo, non è mai stato dannoso: il principio del male sta nella tensione della volontà, nell’inattitudine al quietismo, nella megalomania prometeica di una razza che scoppia di ideale, che esplode sotto le proprie convinzioni e che, per essersi compiaciuta di irridere il dubbio e la pigrizia - vizi più nobili di tutte le sue virtù - ha imboccato una via di perdizione: la via della storia, miscuglio indecente di banalità e di apocalisse... Le certezze vi abbondano: sopprimetele, sopprimete soprattutto le loro conseguenze, e ricostruirete il paradiso. Che cos’è la Caduta se non la ricerca di una verità e la sicurezza di averla trovata, se non la passione per un dogma, l’insediamento in un dogma? Da ciò deriva il fanatismo, tara capitale che dà all’uomo il gusto dell’efficacia, della profezia, del terrore - lebbra lirica con la quale egli contamina gli animi, li sottomette, li stritola o li esalta... Vi si sottraggono solo gli scettici (o i fannulloni e gli esteti), perché non propongono nulla, perché - veri benefattori dell’umanità - ne distruggono i partiti presi e ne analizzano il delirio. Io mi sento più al sicuro accanto a un Pirrone che a un san Paolo, per il motivo che una saggezza arguta è più mite di una santità scatenata. In uno spirito ardente si ritrova mascherato il predatore... Non ci si difenderà mai abbastanza dalle grinfie di un profeta... Allontanatevi da lui se alza la voce, fosse pure in nome del cielo, della città o di altri pretesti: satiro della vostra solitudine, egli non vi perdona di vivere al di qua delle sue verità e dei suoi slanci; la sua isteria, il suo bene, vuole farveli condividere, imporveli e snaturarvi. Un essere che sia posseduto da una convinzione e non cerchi di comunicarla agli altri è un fenomeno estraneo alla terra, dove l’ossessione della salvezza rende la vita irrespirabile. Guardatevi attorno: dappertutto larve che predicano; ogni istituzione riflette una missione; i municipi hanno il loro assoluto non meno dei templi; l’amministrazione, con i suoi regolamenti - metafisica a uso delle scimmie... Tutti si sforzano di correggere la vita di tutti: vi aspirano i mendicanti, e perfino gli incurabili: i marciapiedi del mondo e gli ospedali traboccano di riformatori. La voglia di diventare fonte di avvenimenti agisce su ognuno come un disordine mentale o come una maledizione voluta. La società - un inferno di salvatori! Quello che vi cercava Diogene con la sua lanterna era un indifferente..
Mi basta sentire qualcuno parlare sinceramente di ideale, di avvenire, di filosofia, sentirlo dire «noi» con tono risoluto, invocare gli «altri» e ritenersene l’interprete - perché io lo consideri mio nemico. Scorgo in lui un tiranno mancato, un carnefice approssimativo, detestabile quanto i tiranni e i carnefici di gran classe. Il fatto è che ogni fede esercita una forma di terrore, tanto più spaventosa quando ne sono fautori i «puri». Si diffida dei furbi, delle canaglie, dei cialtroni; tuttavia non si può imputar loro nessuna delle grandi convulsioni della storia; non credendo in nulla, essi non frugano nei vostri cuori, e neanche nei vostri pensieri riposti; vi abbandonano alla vostra indifferenza, alla vostra disperazione o alla vostra inutilità; l’umanità deve loro i pochi momenti di prosperità che ha conosciuto: sono loro a salvare i popoli che i fanatici torturano e gli «idealisti» rovinano. Privi di dottrina, essi hanno soltanto capricci e interessi, vizi accomodanti, mille volte più sopportabili delle devastazioni provocate dal dispotismo che sbandiera principi: giacché tutti i mali della vita derivano da una «concezione della vita». Un uomo politico perfetto dovrebbe studiare a fondo i sofisti antichi e prendere lezioni di canto - e di corruzione...
Il fanatico, invece, è incorruttibile: se per un’idea è capace di uccidere, allo stesso modo può farsi uccidere per essa; in entrambi i casi, sia egli tiranno o martire, è un mostro. Non esistono esseri più pericolosi di quelli che hanno sofferto per una convinzione: i grandi persecutori si reclutano tra i martiri ai quali non è stata tagliata la testa. Lungi dal diminuire la brama di potenza, la sofferenza la esaspera; perciò lo spirito si sente più a suo agio in compagnia di un fanfarone che in quella di un martire; e niente gli ripugna quanto lo spettacolo in cui qualcuno muoia per un’idea... disgustato dal sublime e dalla carneficina, esso sogna una noia di provincia su scala universale, una Storia il cui ristagno sia tale che il dubbio vi si profili come un evento e la speranza come una calamità...
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Re: Gramsci Vs. Cioran - fanatismo o indifferenza?
« Risposta #2 il: Febbraio 22, 2011, 21:48:25 pm »
Nessun commento?  :D
Sapete come la penso, cmq di Gramsci devo dire che condivido il fatto che l'indifferenza=abulia non va bene, è sinonimo di malattia, però è certo che la lucidità di Cioran, la sua analisi, è spettacolare...stratosferica.
Non c'è confronto. :sleep:
 
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Online KasparHauser

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Re: Gramsci Vs. Cioran - fanatismo o indifferenza?
« Risposta #3 il: Febbraio 22, 2011, 23:20:32 pm »
Complimenti per la scelta e l'accostamento di due brani di straordinaria potenza di due straordinari pensatori (così si dice, io mica li conosco bene).
Due concezioni di vita diametralmente opposte, come possono esserlo il Cristianesimo e lo Stoicismo.
Sono stato anche io rapito dal pezzo di Cioran.

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Re: Gramsci Vs. Cioran - fanatismo o indifferenza?
« Risposta #4 il: Febbraio 22, 2011, 23:33:19 pm »
Complimenti per la scelta e l'accostamento di due brani di straordinaria potenza di due straordinari pensatori (così si dice, io mica li conosco bene).
Due concezioni di vita diametralmente opposte, come possono esserlo il Cristianesimo e lo Stoicismo.
Sono stato anche io rapito dal pezzo di Cioran.

Grazie KasparHauser , in effetti ho avuto anch'io la stessa impressione.
Letti da soli sono già belli, ma messi a confronto hanno un effetto sinergico. :)
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Offline Ethans

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Re: Gramsci Vs. Cioran - fanatismo o indifferenza?
« Risposta #5 il: Febbraio 22, 2011, 23:47:27 pm »
"Quando ci si rifiuta di ammettere l’intercambiabilità delle idee, scorre il sangue..."

Non aggiungo altro...