C'è comunque nei media di massa una tendenza generale, antica ma che si rinnova sempre, ad accorpare sotto lo stesso tema lavoro e violenza, e dare spazio a editoriali e trasmissioni dove alla luce del diritti-donna, si passa continuamente da una cosa all'altra, mischiando tutto. Lo schema è fare sponda sulla violenza per aquisire crediti di genere e chiedere discriminazioni sul lavoro. Cioè, si rinnova l'allarme violenza per orientare in senso favorevole il sentimento dell'audience e poi, a quel punto, sull'onda di indignazione, si può lanciare qualsiasi proposta, anche per assurdo, neanche troppo, quella di favorire il licenziamento di uomini oltre i cinquant'anni per sostituirli con l'inserimento forzoso di donne, anche oltre i cinquant'anni, essendo il pacchetto sviluppo studiato solo per i giovani di entrambi i sessi e per le donne di ogni età.
Nessuno a quel punto osa obiettare alcunché di buon senso, per non essere tacciato di maschilismo o peggio ancora di collusione coi femminicidi o di istigazione alla violenza. Eppure di obiezioni ce ne sarebbero, quelle che gli uomini di potere non fanno. Solo un paio di cenni.
Stante il fatto che la soglia del pacchetto sviluppo che divide giovani e vecchi è posta a 35 anni, praticamente quei padri separati che dovessero versare in serie difficoltà economiche, andrebbero a ricadere nella fascia maschio over 35, deprivati di ogni sorta di protezione, anzi, sconvenienti per le aziende come nuove assunzioni, già difficili se hai superato i quaranta, e con questi provvedimenti, rese ancor più ardue. La proposta di governo è arrivata, mi par di ricordare, poco dopo che la fiction di Fiorello era andata in onda, come un messaggio in codice della Fornero ai separati: non solo non vi aiuto, ma anzi, dopo quella fiction, cerco di rovinarvi ancora di più.
Un'altra obiezione riguarda la contraddizione tra un sistema che ci chiede da un lato di lavorare sempre di più e sempre più in là, mentre dall'altro, dovendo fare spazio a giovani e donne, ci chiede di uscire il più presto possibile di scena perché siamo d'intralcio. L'INPS ci chiede di rimanere e le Pari Opportunità di andarcene. Buffo non vi pare?
Tuttavia, sul fronte violenza, mentre gli opinionisti sono bravissimi a collegare argomenti diversi come femminicidio e lavoro, con veri e propri voli pindarici pro-female/anti-male, non si sente porre un altro collegamento possibile, ma che dico possibile! molto più forte e sensato del precedente: quello che pone il nesso tra le stragi familiari in fase di separazione e il diritto di famiglia, cioè quella branca della legge e della relativa prassi, che norma il fenomeno. Affermare che il ripetersi di casi di omicidio-suicidio tra coppie in separazione o in divorzio è indice di una condizione di ingiustizia e sofferenza dei coinvolti, che si crea all'interno stesso della macchina-stato, è non solo lapalissiano ma addirittura doveroso, in un'analisi politica che si prefigga il miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini e la riduzione dei presupposti del crimine.
Anche quest'ultima osservazione, se fatta in una generica trasmissione televisiva dove fosse stato da poco ripetuto il mantra del femminicidio, cioè della donna uccisa dal maschio solo perché donna, sarebbe improponibile. Non verrebbe percepita come contributo di analisi fatto in buona fede, bensì come tentativo di ridurre la gravità dell'emergenza sociale. Non c'è niente da fare, o la fai prima o è meglio che non la fai. Dev'essere separata nel tempo e nello spazio dalla propaganda sul femminicidio, e forse è per questo che ripetono sempre il mantra, per okkupare ogni possibile spazio di ragionamento moderato coi loro estremismi anti-uomo, coi loro ripensamenti sul cromosoma Y. Per chiuderci la bocca. A noi, al buon senso e alla giustizia tutta.
Io la vedo così.