Ripubblico anche questo testo del filosofo francese Alain De Benoist
Il «matriarcato americano»
Il padre assassinato
A dispetto dell'arrivo di nuove ondate di emigranti, il puritanesimo è ben lontano dall'essere scomparso negli Stati Uniti, Si è solo secolarizzato. Sotto questo punto di vista, sarebbe interessante studiare il rapporto fra la moda della psicanalisi freudiana [alias] in America e la sotterranea continuità del puritanesimo nello spirito degli Americani. F. J. Hoffman (Freudianism and the Literary Mind, Louisiana State University, Baton Rouge, 1945) ha ben mostrato, per esempio, che la dottrina freudiana corrisponde perfettamente a «una ricerca in profondità dei complessi di colpa nascosti nella coscienza americana». Il problema negro, con il suo sfondo di ambiguità morali, sessuali e religiose, suscita anch'esso delle reazioni che gli europei tacciano spesso, a torto, di razzismo, e che trovano piuttosto origine in fantasmi tipicamente puritani. La psicanalisi era d'altronde diffusa ed accettata negli Stati Uniti molto prima dell'arrivo di Freud e dei suoi discepoli, successivo all'Anschluss.
Prima di arrivare in Europa, termini quali «complesso», «frustrazioni», «rimozione», etc., sono passati nel linguaggio corrente degli Stati Uniti. Questa adesione spontanea, intima si potrebbe dire, dell'America alle teorie psicoanalitiche era del resto fatale in un paese che, nato da una rottura con l'Europa, era troppo portato a subire un «complesso di Edipo» verso un «padre» respinto ed odiato. Goeffrey Gorer, che ha applicato agli Stati Uniti alcuni dei suoi principi di antropologia culturale, sostiene questa tesi in The Americans. A Study in National Character (Cresset Press, London 1948). «Sotto certi punti di vista - scrive - la nascita della repubblica americana può benissimo essere paragonata alla scena mitologica.. che Freud immaginò per descrivere l'origine della civiltà e l'istituzione delle pratiche totemiche. In Freud i figli si associano per uccidere il padre tirannico poi, schiacciati dal loro crimine e temendo il che uno di loro prenda il posto del padre assassinato, stringono fra di loro un contratto che sancisce legalmente la loro mutua uguaglianza basata sulla rinunzia di ciascuno all'autorità e ai privilegi del padre. L'Inghilterra di Giorgio I prende così il posto del padre dispotico e tirannico, i coloni americani quello della congiura dei figli, e la dichiarazione d'indipendenza e la Costituzione degli Stati Uniti quello dei contratto per cui tutti gli Americani si vedono garantire la libertà e l'uguaglianza sulla base di una comune rinuncia al privilegio paterno più invidiato ed odiato: l'autorità».
Dalle loro origini, gli Americani ricavarono così tre convinzioni fondamentali: la convinzione che l'America, nuova Terra Promessa, è la prefigurazione della cosmopolis futura, e che la «missione» degli Americani consiste nel dare l'esempio, anzi nel tentare di esportare il modello universale del Bene; la convinzione che la politica è una branca della morale, essendo suo scopo di istituire la Città di Dio in terra; la convinzione che tutti gli uomini sono uguali e che, con l'eventuale aiuto di Dio, tutti possono raggiungere qualsiasi meta; infine la convinzione che l'autorità è una cosa nefasta e odiosa in sé, e che le istituzioni che debbono farvi ricorso non sono che mali necessari. Tutta l'educazione americana riposa sulla ripetizione sull'adorazione e di questi quattro principi, che gli scolari si sentono ripetere nel corso della settimana nelle scuole, la domenica nei sermoni, in occasione delle «feste patriottiche», e che sono alla base dei meandri della vita politica e sociale.
«Terra promessa, terra sottomessa», si dice nelle pellicole di John Ford. Nei fatti, non vi fu gran che di conquista. Quel che si usa chiamare la «colonizzazione dell'America» fu essenzialmente l'istallazione in uno Schlaraffenland, o Paese della Cuccagna, in un Eldorado. I primi immigranti avevano l'impressione, sbarcando sulle rive del Nuovo Mondo, di arrivare in un sorta di paradiso terrestre, di «ritornare» ad uno stadio anteriore al peccato originale che aveva provocato il loro soggiorno in Europa. Quest'idea andava di pari passo con una concezione rousseauiana della vita. «Il presidente degli Stati Uniti intellettuali, mi diceva un professore di Yale, è Jean Jacques Rousseau», riferisce Claude Roy (Les Etats-Unis camp d'expérience de l'Europe, numero speciale de «La Nef», Julliard, 1970). Dal loro arrivo, gli Americani si sono impadroniti delle ricchezze che trovavano sul posto, vedendovi altrettanti «doni di Dio» da consumare subito...
...In queste condizioni la poca autorità che rimane è detenuta dalla donna. È quello che è stato chiamato il matriarcato americano. Ora come ora, il 10% delle famiglie ha come capo effettivo la donna; questa proporzione presso i negri raggiunge il 38%, a causa del numero più alto delle nascite illegittime e dei divorzi.
Ma è anche una questione di stato d'animo. A livello simbolico, la figura maschile dello «zio Sam» è quasi sempre negativa. Lo zio Sam è colui che chiede egli americani di fare il servizio militare (Uncle Sam wants you for US army), di pagare le tasse, di fare economia. Per simboleggiare l'America in forma positiva, si e preferito fare ricorso ad un'immagine femminile: la Statua della Libertà. E questa porta il corsetto di Madam Chairman. Questo ruolo svolto dalla donna, con le sororities (associazioni universitarie femminili, notoriamente più attive delle fraternities), come in tutti gli ingranaggi della meccanica sociale, non ha mancato di attirare l'attenzione. Le cause sono molteplici. Sul piano storico non bisogna dimenticare che le colonie americane hanno dato i natali a una forma di «democrazia religiosa» che riposava sull'idea che l'individuo è signore delle proprie capacità ed ha diritto a difenderle contro ogni violazione. Le donne furono le prime a trarre profitto da questa idea: Sheila Rowbotham non ha torto a vedere nel puritanesimo americano uno dei grandi antenati del neo-femminismo contemporaneo (Women's liberation and revolution). D'altro canto, la donna è oggi la consumatrice per eccellenza: è lei, nella famiglia, a stabilire implicitamente gli assi del consumo. Una società di mercanti non può non tenerne conto. André Bazin osserva: «A H Hollywood i film sono fatti per le donne: i sono fatti per le don soggetti si allineano alloro gusto sentimentale perché sono loro a determinare gli incassi» (Le cinéma de la cruauté, Flammarion, Paris 1975). È infine normalissimo che gli Stati Uniti, capitale dell'universalismo, la cui «ideologia» si basa sulla fede in un «bene» universale della cui esportazione gli americani avrebbero il monopolio, accordino uno spazio preponderante ai valori più specificamente femminili del «confort», dell'«amore» e della sicurezza, che sono alla base di una concezione egualitario-materialistica della vita (in un libro che fece un certo scalpore, The Natural Superiority of Women, Macmillan, New York, 1952 e 1974, Ashley Montagu proclama d'altronde la «superiorità naturale delle donne», basandosi sul fatto che a suo avviso i valori di cui esse sono portatrici sono più conformi all'ideale antieroico dell'universalismo egualitario «L'unica funzione e il destino della donna - osserva questo autore - consistono nell'insegnare agli uomini a vivere come se la vita e l'amore non fossero che una sola cosa»).
I sentimenti che l'americano medio nutre di fronte alla donna sono non di meno estremamente ambigui. Vi si riscontra più paura che ammirazione. In America, come scrive Margaret Mead, «la voce tormentosa della coscienza è femminile» è la voce di Mom. Il ricordo di una madre onnipotente, unica detentrice di una reliquia di autorità, non è cosa da poco; anzi spinge numerosi americani ad aderire alla psicanalisi, la cui tesi dell'ambivalenza della madre (odiata e amata al tempo stesso) non può non sedurli (28).
Questo inconscio timore della donna non ha niente della misoginia, ma può evolversi in ginofobia. Persino l'«eroe» del film o del romanzo giallo americano è spesso in posizione d'inferiorità dinanzi alla sua donna. Il tema puritano della «peccatrice», fonte di «dannazione», è soprattutto nell'immagine della «donna fatale», vero rapace umano, la cui vera natura si la cui vera natura si svela man mano che si dissipano le esaltazioni amorose, e che e causa di rovina e i decadenza (cfr. il romanzo di Frank Norris, McTeague, pubblicato nel 1899, da cui Erich von Stroheim ha tratto il film Greed; e con esso tutta la posterità dei romanzi della «serie gialla»). «Ereditando lo schema patologico del puritanesimo - ha scritto Alain Lacombe - il romanzo giallo non osa proporre rapporti normali, sessuali o affettivi che siano (...) L'uomo non coabita con la sua donna, che rimane la partner cui si ricorre per affermare spettacolarmente la propria virilità o per valorizzare i propri argomenti difensivi. Due pianeti si scontrano, ciascuno con leggi proprie. Abbandonando le sue tentazioni di autodistruzione attraverso i rapporti con i propri fratelli, l'uomo/individuo sarà in realtà più suicida nelle sue relazioni con la donna (...) L'eroe del romanzo giallo risolve tutti i propri conflitti, eccetto quelli con la sua donna» (Le roman noir américain, cit). Nell'ambito coniugale i rapporti sono fondati su un continuo controllato accostamento (suscettibile d'invertirsi in esplosione incontrollata: cfr. Edward Albee, Chi ha paura di Virginia Woolf?). Il matriarcato con successiva poliandria, facendo della donna una specie di mantide religiosa, conferma il maschio americano nella sua vocazione suicida (del resto, se tiene ad essere un winner, un «vincitore» nella vita pubblica e sociale, non è forse perché troppe volte è un loser, un «perdente», nella sua vita familiare e privata?)...