La parte evidenziata è magistrale
Davide Giacalone
Giovedì, 10 Ottobre 2013
E’ vero, c’è una cancrena carceraria. Ma quello che ci fa morire è l’infarto giudiziario. Pensare di risolvere la prima senza affrontare il secondo è una presa in giro. Oltre che un oltraggio al diritto. L’amnistia è sempre un provvedimento ingiusto e fastidioso, ma ha un senso, è necessaria, se serve a salvare una seria riforma della giustizia dalle macerie dell’arretrato e della malagiustizia. In caso contrario sarebbe uno sfregio, con l’aggravante dell’inutilità.
Partiamo dagli ultimi dati diffusi dal Dap (dipartimento amministrazione penitenziaria): i detenuti sono 64.758, mentre le carceri potrebbero regolarmente ospitarne 47.615, quelli in eccesso, quindi, sono 17.143, il 26.4%. I detenuti che stanno scontando la pena sono, però, solo il 58.8%, gli altri (24.635) sono, a norma della Costituzione e di un paio di trattati internazionali, degli innocenti in attesa di giudizio. In particolare il 19% della popolazione carceraria (12.333 persone) è in attesa del primo giudizio. In altre parole: non ha mai incontrato un giudice della propria causa, ma solo colleghi dell’accusa che validano gli arresti. Dei condannati il 26.1% (la quota più alta) deve ancora scontare meno di un anno. La vergogna è in questi numeri, che noi denunciamo e documentiamo da anni e che dimostrano che ove si voglia sfollare è assai più semplice di quel che si dice e senza mettere fuori i colpevoli. E’ vero che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ci ha diffidati dal mantenere in queste condizioni l’inferno carcerario, ma è anche vero che la stessa Corte ci condanna a raffica per la violazione dei diritti processuali. Con la sola clemenza resteremmo incivili, ma liberando i colpevoli. Orrore.
Nel messaggio che il presidente della Repubblica ha inviato al Parlamento, finalmente servendosi dello strumento costituzionalmente appropriato (e con l’imbarazzo iniziale di giustificarne la dimenticanza, durata otto anni), c’è un passaggio rivelatore, ove parla della “riduzione dell’area applicativa della custodia cautelare”. Credo che si sbagli: la legge già prevede che quella custodia sia disposta solo in casi estremi e di alta pericolosità sociale, peccato che non solo la magistratura agisce all’opposto, ma la politica (e lo stesso presidente, come vedremo) non perde occasione per reclamare arresti senza processi. S’è creata una situazione schizzofrenica: la galera è invocata per gli innocenti e il perdono per i colpevoli. Da ricovero.
Proponendo sia l’indulto che l’amnistia, da farsi in tempi brevi, Giorgio Napolitano chiede di escludere i “reati particolarmente odiosi”. Poi ci torna: “ferma restando la necessità di evitare che essa incida su reati di rilevante gravità e allarme sociale (basti pensare ai reati di violenza contro le donne)”. Demagogia, se è consentito dirlo. Demagogia un tanto al chilo. I “reati odiosi” sono quelli che si subiscono. Lo scippo è un reato odioso, per lo scippato. Mentre i reati che destano “allarme sociale” sono quelli che i media amano propagandare. Fatemi capire: chi ha commesso una violenza contro un maschio esce amnistiato e chi ha fatto la stessa cosa a una femmina resta in galera? Questi sono gli effetti nefandi del luogocomunismo partoriente cretinerie come il femminicidio. E se il presidente non rinuncia alla sua fetta di demagogia, con quale autorevolezza può chiedere ad altri di rinunciarvi? (A tal proposito: non ho in simpatia gli ortotteri, ma è la seconda volta che mi capita di osservare che la scomunica di una forza politica non è nei poteri del Colle, neanche se ci fosse un monarca costituzionale, sicché siamo regrediti a quando l’inquilino era il pontefice).
Il sovraffollamento carcerario è piaga da tempo incancrenita. I radicali si battono, con tenacia e coerenza, da molti lustri. Essi, cui va la nostra gratitudine, sanno che la clemenza senza giustizia non risolve nulla. Lo prevedemmo nel 2006, in occasione dell’indulto, e così è stato. Asciugare il pavimento con gli stracci è fatica sprecata, se prima non si chiude il rubinetto che allaga. E l’allagamento viene dalla malagiustizia, dall’infarto del diritto. Cui tanti hanno portato il loro contributo. Napolitano licenzia il problema nella parte finale del suo messaggio, ma lo fa in modo da sfuggire alle questioni rilevanti. Lo fa perché non si dica che non lo ha fatto, ma è come se non lo avesse fatto. Serve riformare introducendo tempi certi e non ordinatori, la responsabilità dei giudici, la separazione delle carriere. Dopo averlo fatto si deve salvare la giustizia dal crescere della carne morta, usando l’amnistia (vedo che ne conviene Danilo Leva, responsabile giustizia del Pd: evviva! I soliti venti anni di ritardo, ma evviva!). Se si inverte l’ordine di precedenza si sfollano gli istituti di pena, ci si mantiene incivili, si nega il diritto e si ricomincia a buttare in carcere con maggiore lena e senza processo. In poco tempo torniamo al punto di partenza: con la cancrena e l’infarto.