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http://www.riscossacristiana.it/le-menzogne-dellideologia-di-genere-il-gender-mainstreaming-di-paolo-pasqualucci/Le menzogne dell’ideologia di genere: il gender “mainstreaming” – di Paolo Pasqualucci
By Riscossa Cristiana On 24 gennaio 2014 · 6 Comments
Il silenzio sempre più angosciante della Gerarchia cattolica di fronte all’offensiva omo e omofila che sta colpendo il nostro paese in modo sempre più grave – Un autore tedesco demolisce l’ideologia di genere - L’assurdità dei due “generi” – Il terribile caso di Bruce Reimer – La “gender theory” nega l’evidenza fornita dalla natura
di Paolo Pasqualucci
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La-mascheraIl silenzio sempre più angosciante della Gerarchia cattolica
M a r i o P a l m a r o nella sua recente bella, forte lettera al direttore de “La Nuova Bussola Quotidiana”, ha espresso con grande efficacia l’angoscia di noi tutti per il futuro della Chiesa e dei cattolici, in particolare dei più giovani. Sul contenuto di questa lettera non si può che concordare in tutto e per tutto, anche quando denuncia il perdurante silenzio dell’autorità ecclesiastica di fronte all’offensiva omo e omofila che sta colpendo il nostro paese in modo sempre più grave. Quest’offensiva sembra stia per raggiungere l’agognata meta di leggi liberticide e corruttrici, quelle che da un lato sanzioneranno penalmente [sic] chi oserà criticare ancora il vizio dell’omosessualità in quanto tale, dall’altro imporranno il medesimo nella società civile facendolo penetrare nelle scuole dall’asilo all’università, nell’assistenza sociale, in istituti quali il matrimonio e le adozioni e in sostanza dappertutto (penetrazione del resto già in atto sotto la spinta ed i finanziamenti di Bruxelles, di ben note forze politiche nostrane e alte cariche dello Stato, favorita ora da sentenze allucinanti come la recente pronuncia della Cassazione sulla legittimità dell’affidamento di minori in difficoltà a coppie gay). Il quadro generale è sempre più torbido e cupo ma la Gerarchia della Chiesa cattolica continua a tacere, se non per qualche maldestra ed ambigua uscita, che manco a farlo apposta finisce col portare acqua al mulino dell’Avversario (come quella incredibile del cardinale Schönbrunn, citata da Palmaro, o quella di Papa Bergoglio: “se un gay è in cerca di Dio, chi sono io per giudicare?” – disastrosa perché interpretata dai media e dai più come se il Papa, affermando di “non giudicare”, accettasse l’omosessualità in quanto tale). O per qualche timido e platonico intervento pubblico isolato nel quale si afferma che (dopotutto) un bambino avrebbe sempre bisogno di una padre ed una madre, di nascere quindi in una famiglia composta da un uomo ed una donna. Non si ha nemmeno il coraggio di dire: da una famiglia normale, secondo natura, come stabilito da Dio.
I più tacciono per paura, credo. Ma ci sono sicuramente anche quelli che tacciono perché la pensano come il defunto cardinale Carlo M. Martini, gesuita come il Pontefice attualmente regnante, il quale (tutti lo ricorderanno) poco prima di morire disse che la Chiesa, se voleva recuperare “i duecento anni di ritardo” [sic] che, secondo lui, aveva accumulato rispetto al mondo moderno, avrebbe dovuto modificare il suo insegnamento ed aprirsi all’opportuno riconoscimento dei (corrotti) costumi contemporanei, omosessualità inclusa, per la tutela dei supposti “diritti” della quale, il defunto sembrava mostrare una particolare sollecitudine. E ci sono poi quelli come il vescovo Domenico M o a v e r o , che ha di recente aperto bocca per schierarsi dalla parte della corruzione dominante allorché, professando l’incomprensibile nozione di “centralità della persona”, ha richiesto il riconoscimento statale delle “coppie di fatto” o “conviventi”, in generale e quindi di ogni tipo, perché questo esigerebbero “la misericordia cristiana e i diritti universali”. Le “convivenze di fatto” rappresentano oggi una delle principali cause di dissoluzione della famiglia e del matrimonio cristiani, predicati e difesi dalla Chiesa da due millenni. Quelli come il vescovo Moavero, chiamati da Dio ad essere i nostri padri spirituali ed i nostri maestri per condurci alla vita eterna, facendo l’apologia dell’errore e del peccato si pongono esplicitamente contro l’etica sempre insegnata dalla Chiesa, che riposa sulla Verità Rivelata da Nostro Signore. A costoro, è nostro dovere di cattolici ricordare i severi ammonimenti del Signore: Guai a voi, cattivi pastori, “che serrate in faccia agli uomini il regno dei cieli; e non ci entrate voi né lasciate che c’entrino quelli che ci vogliono entrare” (Mt 23, 13). Cattivi pastori che imperversate da tanti anni ormai senza che la Suprema Autorità della Chiesa intervenga richiamandovi all’ordine, non sfuggirete all’ira divina nel giorno del Giudizio! Anzi, sarete trattati peggio della Sodoma e Gomorra della quale vi fate oggi paladini (Mt 11,24).
Un autore tedesco demolisce l’ideologia di genere
zastrowData la tragica attualità assunta dal fenomeno, mi sia consentito proporre all’attenzione dei cattolici il breve ma incisivo saggio del giornalista e pubblicista tedesco Volker Zastrow, tre edizioni fra il 2006 e il 2010, che analizza in modo esemplarmente critico la “filosofia di genere”, l’ ideologia partorita dalla pseudocultura femminista e gay che vaneggia di una supposta natura “sociale” e non “naturale” del sesso[1]. Questa ideologia viene utilizzata, come se fosse una cosa seria, per giustificare la protezione e la diffusione dell’omosessualità (maschile e femminile) da parte dei governi. In Germania e Svizzera, nell’area prossima ai cattolici fedeli alla Tradizione della Chiesa, si è sviluppata in questi anni una pubblicistica che ha sottoposto a valide e ben documentate critiche i fondamenti di quest’ideologia, dimostrandone la totale inconsistenza[2].
Quest’ottimo saggio fa vedere in particolare l’assoluta falsità della pretesa dell’omopensiero secondo la quale la scienza avrebbe dimostrato la natura “sociale”, “culturale” e non naturale del sesso. Il saggio si giova a tal fine di una precisa ricostruzione dell’atroce “caso Reimer”, il ragazzo ebreo vittima assieme al fratello (si suicidarono entrambi) delle sperimentazioni della nascente “filosofia di genere”. Le pretese della Genderphilosophie, oltre che al buon senso e alla ragione rappresentano un’offesa a Dio, che ha creato l’uomo e la donna affinché si unissero in legittimo matrimonio, procreassero figli in una famiglia da loro stessi costituita e popolassero la terra. Quest’offesa sta diventando sempre più grave, dobbiamo pertanto attenderci che i castighi già in atto diventino ancora più tremendi. Un esempio dell’aggravarsi delle offese a Dio: in documenti elettronici di vario tipo, da riempire via internet, non si legge da qualche tempo, quando si tratta di dichiarare la propria “identità sessuale”, come dicono: “Genere: uomo, donna, altro.”? A l t r o ! Addirittura! E questo incredibile “altro” dei documenti è un frutto della filosofia del “gender mainstreaming”.
Che vuol dire “gender mainstreaming”?
Nessuno lo sa. È una caratteristica del “politicamente corretto” servirsi di termini ambigui, criptici, che solo gli iniziati sanno utilizzare ai loro fini. Gli iniziati sono qui gli ambienti femministi e gay. Il termine, nota l’Autore, è oscuro anche in inglese ed è intraducibile alla lettera. E non solo in tedesco. Implica l’idea di condurre o ricondurre qualcuno o qualcosa nella corrente (stream) principale o maestra (main), il “main stream” appunto. In inglese, la parola “mainstream” è usata di frequente come aggettivo, nel senso di “importante, principale o tradizionale”. Per esempio: “the mainstream jazz”: la musica del jazz detto tradizionale; “the mainstream theologians”: i teologi più importanti , etc. Ma è nel linguaggio della Rivoluzione Sessuale che tale termine viene soprattutto impiegato come verbo. L’entità che verrebbe condotta o ricondotta nella “corrente principale” sarebbe appunto “il genere”, maschile e femminile, i due sessi. Ma può esistere una “corrente maestra” concernente i due sessi, nella quale meglio situarli? Che significa?
Nel sottotitolo dell’opera, egli ci dà la sua libera traduzione del termine in questione. Letteralmente: “politico rovesciamento dei sessi”. “Mettere nella corrente principale” il genere significa condurlo-ricondurlo nella “corrente maestra”, rappresentata da che cosa? Lo si intuisce: dalla perfetta uguaglianza tra i sessi o generi, rappresentativa della “vera” sessualità. E quest’azione deve essere condotta dalla Politica e quindi mediante la legislazione statale e sovrastatale (EU, ONU). Si tratta allora di un “radicale rovesciamento (Umwandlung) politico del genere”. Ossia: “della politica del rovesciamento o dell’inversione dei sessi”. Siffatta incredibile politica è perseguita attivamente dal governo tedesco, nascosta nei programmi il cui scopo ufficiale sembra quello di promuovere la perfetta uguaglianza (Gleichstellung) tra l’uomo e la donna. Questi programmi sono sempre elaborati su materiali femministi. Nei siti web del Ministero della Famiglia tedesco, la parola “Gender mainstreaming” è usata di frequente, senza esser tuttavia mai tradotta o spiegata. Ma si riesce a capire che la nozione del “Gender mainstreaming” implica la “modificabilità” dei ruoli dei sessi, così come intesi dal punto di vista sociale e culturale tradizionale (op. cit., pp. 7-10; 14-15). Questa è indubbiamente la nozione chiave: la “modificabilità” dei ruoli tradizionali dei sessi.
È ovvio che la parola inglese “gender” ha acquisito un nuovo significato, non può esser intesa quale semplice traduzione della parola italiana “genere” o del suo equivalente tedesco (Geschlecht): genere umano, genere (sesso) maschile, femminile. Ma qual è stata l’origine di questo suo nuovo significato? Questo è un punto che mi sembra particolarmente importante. Il nuovo significato proviene da elucubrazioni di psicologi esperti in “psicologia sessuale”, che hanno voluto fabbricare un fondamento “teorico” alle esigenze della sensibilità dei cosiddetti “transessuali”. Vale a dire, di uomini del tutto normali dal punto di vista biologico, i quali, volendo tuttavia essere come le donne, sostenevano di sentirsi a disagio nel loro corpo naturale, che sembrava loro pertanto “falso”. Si trattava evidentemente di individui dalla sensibilità per così dire anomala. Per accontentarli, alcuni di questi psicologi hanno inventato la teoria secondo la quale esistono due “generi”. E cioè: il “genere biologico (il sesso, in inglese)” e “il genere nel senso psichico-emotivo o per così dire metafisico, nettamente separato (abgelösten) dal sesso naturale” (ivi, p. 11). Il genere nel senso “psichico-emotivo”, sarebbe allora il genere per eccellenza: il “gender”. Si tratta del sesso (o identità sessuale) che uno/una si fabbricherebbe da se stesso/se stessa, secondo i suoi desideri!
L’assurdità dei due “generi”
Il fondamento logico e scientifico di una simile “teoria”, osservo, sfugge a qualsiasi persona dotata di buon senso e sana di mente. Sfugge, per il semplice motivo che non esiste. Inevitabilmente, i movimenti omosessuali si sono impadroniti della “teoria”, dalla quale hanno elaborato la nozione del “gender” come “genere sociale”. Il “genere sociale” sarebbe il genere che la società vuole imporre e che richiede l’eterosessualità (ivi, p. 11). L’eterosessualità (l’attrazione e la relazione fisica, affettiva e sentimentale naturale tra i due sessi) viene allora concepita in modo del tutto erroneo e distorto: essa non apparterrebbe alla natura, sarebbe costruita ed imposta dalla società, da una certa “cultura” ovviamente “patriarcale” e “maschilista”! L’eterosessualità sarebbe allora nient’altro che una “ideologia”, una “costruzione socio-politica”(ivi). La componente lesbica del femminismo, sempre presente ma oggi nettamente dominante, si è gettata a corpo morto nell’elaborazione di questa “teoria”, portandola all’estremo. Le lesbiche gridano oggi in modo sempre più allucinato: “ogni donna è bisessuale per natura; essere madri e donne di casa non è che schiavitù, imposta dalla società, sempre dominata dagli uomini” (ivi, pp. 13-17)!
L’autore mette bene in rilievo i legami tra i movimenti delle donne, il lesbismo e la componente femminile dei quadri dirigenti tedeschi e internazionali, in particolari di quelli dell’ONU (ivi, pp. 11-31). Ma da tempo ci si è comunque accorti, anche al di fuori della Germania, annoto, dell’esistenza di questa rete omo-femminile-femminista in quasi tutte le organizzazioni dirigenti e di potere (culturali e politiche) dei paesi cosiddetti “occidentali”. Influente sembra anche la rete delle “accademiche” che popolano le ben retribuite cattedre degli istituti universitari dediti ai cosiddetti “Women’s studies”, dal taglio prevalentemente letterario e sociologico, diffusi (per ora) soprattutto nel mondo anglosassone; “studi” culturalmente inani se mai ve ne furono, ma fondamentali nell’elaborazione dell’ideologia di genere, che essi contribuiscono attivamente a diffondere con gruppi di studio, ricerche e pubblicazioni che costano nell’insieme milioni di dollari all’erario dei loro Stati.
La subcultura femminista ed omo si sforza dunque di contrapporre il supposto “genere” autentico al supposto “genere” falso, che sarebbe quello fabbricato dalla società. L’assurdità dell’impostazione è palese. Nel genere supposto “autentico”, concepito in modo del tutto separato dal suo substrato biologico sì da poter esser l’espressione di tutte le pulsioni della nostra soggettività, vi si può immettere tutto ciò che si vuole. Esso viene a dipendere dal gusto personale di ciascuno. Dobbiamo pertanto esser considerati tutti come dei “gendernautae” [sic], dei liberi naviganti nella grande corrente maestra (nel “mainstream”) della sessualità senza frontiere; cioè nella sessualità priva di differenze checchessia tra mascolinità e femminilità (questo è il punto che interessa veramente) poiché le differenze sarebbero puramente psichiche (o culturali) e nient’affatto biologiche! (ivi, pp. 13-18). Ma i movimenti omosessuali pretendono addirittura di aver trovato nella scienza medica un valido fondamento a queste loro “teorie”. Riportando alla memoria il terribile “caso Reimer”, oggi praticamente caduto nell’oblio, la seconda parte del saggio di Zastrow si occupa dettagliatamente di quest’aspetto, mettendo bene in luce l’impostura che vi predomina (ivi, pp. 35-58).
Il caso Reimer
L’infelice Bruce Reimer e il suo gemello monozigote Brian erano due israeliti canadesi, nati il 22.8.1965. Sette mesi dopo la nascita, un medico malaccorto, nel circoncidere Bruce con uno strumento elettrico, ne danneggiò involontariamente ma seriamente il pene, ustionandolo e riducendolo così ad un moncone (ivi, p. 36). Per prevenire le frustrazioni che la cosa avrebbe potuto provocare nel giovane, i suoi genitori ebbero l’infelice idea di rivolgersi ad uno psicologo neozelandese, tale John Money, che all’epoca lavorava nella Johns-Hopkins-Clinic di Baltimora, negli Stati Uniti, e si stava facendo una certa fama di innovatore nel campo della sessualità, soprattutto in televisione. Purtroppo costui era un fanatico precursore della “gender theory”. Si occupava di bambini “intersessuali”, detti impropriamente “ermafroditi” [perché alla nascita non avevano ancora un sesso ben definito, riscontrandosi una “contraddizione tra i loro organi sessuali e il genere quale risultava dai cromosomi”]. Money ne manipolava chirurgicamente gli attributi virili, spesso castrandoli, e poi si sforzava di trasformarli in femmine grazie a cure di ormoni, chirurgia plastica in quantità ed una manipolazione “pedagogica” appropriata (ivi, p. 38). Propagandava “terapie” che all’epoca erano d’avanguardia, per così dire, quali il “sesso di gruppo”, la bisessualità, i “fucking games” tra fanciulli (“jeux d’enfants” mimanti la fornicazione) ed altro (ivi, pp. 38-40). Diceva che l’“identità di genere” era cosa del tutto diversa dal “ruolo di genere”. Giocando su questa pretesa “discordanza”, sarebbe stato sicuramente possibile, “fare di un ragazzo una ragazza e di una ragazza un ragazzo” (p. 38).
Applicò queste sue aberranti idee a Bruce Reimer. A 22 mesi il poveretto “fu evirato e con la pelle dei suoi testicoli Money gli fabbricò le labbra rudimentali di una vagina”[3]. Dopo di che, si cominciò a vestirlo come una bambina, a dirgli ogni giorno che era una femmina, a chiamarlo “Brenda”, ad educarlo come una bambina. Il fratello gemello, Brian, fu costretto a partecipare all’impresa come “osservatore scientifico” del progresso di suo fratello sul cammino dell’effeminamento. Bruce fu imbottito di ormoni femminili, gli furono fatte delle operazioni di chirurgia plastica. “Brenda Reimer – si diceva – sembrava veramente un ragazza affascinante, dai lunghi capelli” [sic]. Money diventò celebre. Una celebre femminista, la lesbica americana Kate Millet, nel suo best-seller Sexual Politics (1970), si appoggiò su di lui per “dimostrare” che “l’eterosessualità altro non era che ideologia”, essendo il sesso nient’altro che una creazione della “cultura” e dell’”educazione”. Basandosi anch’essa sull’esperienza di Bruce Reimer, l’autorevole “New York Book Review” decretò che “se uno dice ad un ragazzo che è una ragazza e lo alleva come tale, costui si comporterà in tutto come una ragazza”(pp. 43-44). Il “caso Reimer” era citato nei libri scientifici. Ancora nel 2004 la letteratura femminista osava portarlo in palmo di mano quale dimostrazione vivente delle sue “teorie” sulla natura esclusivamente “culturale “ del “genere” (pp. 48-49).
Era tutta un’impostura
Ma nella realtà, come erano andate le cose? Esattamente all’opposto di quanto diffuso dalla propaganda femminista. Il povero Bruce rifiutava di mettersi gli abiti da donna, li stracciava, doveva essere costretto ad indossarli. Come tutti i ragazzi della sua età voleva giocare con le automobiline e le armi e non voleva saperne di bambole, gioielli, vestiti. A scuola “Brenda” era un disastro. Cadeva in preda a crisi di nervi e diventava violento. Tutti i compagni lo odiavano e lo chiamavano “il troglodita”. Era ovvio che Bruce non voleva diventare “Brenda”. A undici anni, pensò al suicidio (pp. 48-49). Ogni anno i due gemelli erano costretti a recarsi a Baltimora per subire una visita di controllo da parte del suddetto Money. Per entrambi questa visita era un incubo spaventoso, come risulta dai particolari riportati da Zastrow e che risparmio al lettore (pp. 49-50). Il loro aguzzino voleva effettuare nuove operazioni chirurgiche sul povero Bruce per “perfezionare la sua femminilità”. Ma il ragazzo si rifiutò sempre tenacemente. Diceva apertamente che non voleva diventare una femmina (p. 52). Quando raggiunse i 13 anni d’età le visite a Baltimora ebbero finalmente termine.
Nonostante la somministrazione di grandi quantità di ormoni femminili, Bruce ebbe una pubertà da maschio. Si affidò allora agli ormoni maschili. Cambiò il suo nome in quello di David perché si sentiva come Davide contro Golia. Recuperò per quanto possibile l’uso dei suoi genitali e si sposò. Ma era ossessionato da un profondo senso di vergogna, per tutto quello che aveva dovuto subire, e alla fine la disperazione ebbe purtroppo il sopravvento. Nel 2004 si uccise con un fucile da caccia, all’età di 39 anni. L’anno precedente il suo gemello si era anch’egli suicidato, ingerendo sonniferi (p. 46).
A partire dal 1980 Money non menzionò più il caso Reimer nelle sue pubblicazioni. Ma continuò a sostenere la validità delle sue teorie, unitamente alle femministe, com’era ovvio. Ma “l’esperimento” che avrebbe dovuto provare la validità della teoria (ossia che essere uomo o donna dipende solamente dall’educazione, dalla “cultura”) aveva nei fatti dimostrato che la teoria era del tutto fallace. La ciarlataneria di Money diventava sempre più evidente. I suoi metodi “terapeutici” furono contestati, la “Gender Identity Clinic” chiusa nel 1979. Si abbandonò il metodo disumano di intervenire immediatamente per via chirurgica sui cosiddetti “ermafroditi”. Oggi, per fortuna, si è diventati molto più prudenti. Si aspetta che essi raggiungano la pubertà, il cui esatto sviluppo non può esser previsto. Gli interventi chirurgici sono limitati al minimo e solo con il consenso degli interessati (p. 54-55).
Quando la vera storia del povero David Reimer venne alla luce, Money fu subissato di critiche. Si difese replicando che tutte le critiche altro non erano che un mucchio di “pregiudizi antifemministi”. A suo dire, tutti coloro che sostenevano essere la differenza tra uomini e donne “geneticamente fissata”, volevano solo “rinchiudere le donne nel loro ruolo tradizionale, ancorato al letto e alla cucina” (pp. 57-58). Le risposte di Money erano puramente polemiche, prive di qualsiasi spessore scientifico, per evidenti motivi. E tuttavia l’influenza pubblica delle teorie di Money, sottolinea Zastrow, ha continuato a farsi sentire per lo meno sino alla fine del secolo appena trascorso. “Senza il lavoro precorritore di Money, la “Gender Theory” ben difficilmente si sarebbe profilata all’orizzonte del femminismo mondiale, sino a venir adottata dall’odierno linguaggio burocratico della Repubblica Federale Tedesca. Ciò che Money propagandava nel 1965, lo si può ritrovare oggi nel sito web della Ministra tedesca per le questioni femminili, ove si legge: “…all’opposto del genere biologico, i ruoli dei generi si possono apprendere solamente [nella società]”[4]. Sarebbero appunto frutto della “cultura”, non della “natura”. E lo si ritrova oggi, aggiungo da parte mia, nelle incredibili Linee guida per un’informazione rispettosa delle persone LBGT, manualetto pubblicato nel 2013 a cura del “Dipartimento per le pari opportunità” (altro prodotto della “filosofia di genere”), alla p. 7 dell’edizione on-line, con esplicito richiamo ai Women’s studies quale laboratorio intellettuale di questa falsità.
Il dictum della ministra, come dimostra il brillante e coraggioso studio di Zastrow, è costruito interamente sul vuoto; anzi, su di una colossale menzogna, quella stessa, a ben vedere, diffusa dall’ icona del femminismo mondiale, la corrottissima Simone de Beauvoir, l’amante bisessuale del famoso filosofo esistenzialista, l’erotomane Jean-Paul Sartre: “donne non si nasce, si diventa” (sul punto, anche Zastrow, pp. 35-36). Ormai sappiamo per lunga esperienza che la m e n z o g n a è il pane quotidiano del “politicamente corretto”. Nell’accusare il regime sovietico che fu, Alessandro Solgenitsin disse, in una celebre conferenza, che né i popoli né gli individui possono “vivere nella menzogna”. La nostra decadente democrazia euroamericana propala oggi le peggiori menzogne, tra le quali il “gender mainstreaming” occupa sicuramente un posto d’onore. E chi, se non il Demonio, è “il padre della menzogna” (Gv 8, 44)?
La “gender theory” nega l’evidenza fornita dalla natura
Alcune riflessioni finali, senza pretesa di completezza, si impongono. Le differenze naturali tra maschi e femmine non sarebbero per l’appunto un prodotto della natura ma della “cultura” socialmente dominante, onde il vero sesso sarebbe il “genere” al quale l’individuo vuole scegliere di appartenere, etero, omo, trans etc. che sia? Una simile “tesi” implica l’assunto che in natura i caratteri sessuali non siano ben marcati e distinti nel maschio e nella femmina, né dal punto di vista fisiologico né da quello anatomico. Ma ciò è insostenibile perché contro l’evidenza più elementare. Gli apparati sessuali di uomini e donne sono costruiti diversamente ma in modo da essere interdipendenti nel senso di complementari gli uni agli altri, dal momento che si integrano perfettamente ai fini del concepimento della prole. Sono così per opera della natura, evidentemente, dato che maschi e femmine nascono in quel modo sin da quando esiste il genere umano. Tale complementarità risulta non solo dalla fisiologia ma anche dall’anatomia. L’utero della donna è costruito in modo da poter esser penetrato dal membro maschile per esser fecondato e dar luogo alla formazione del feto e del bambino. Invece la parte finale dell’intestino che chiamiamo il retto, con la sua propria struttura muscolare (lo sfintere), mostra l’anatomia di un organo costruito unicamente per poter evacuare le feci, non per altri usi. E se lo si utilizza a fini sessuali, sia che ciò avvenga tra maschi o tra maschi e femmine, si tratta evidentemente e comunque di un uso contronatura, come si è sempre giustamente ritenuto. Contronatura, non solo per il carattere ripugnante della cosa, ma già per il fatto di sfogare la propria concupiscenza mediante un organo che la natura non ha destinato a quell’uso ma all’evacuazione, come risulta inequivocabilmente dalla nostra anatomia. Scegliere il retto al posto dell’utero, costituisce pertanto scelta contraria a quella della natura e quindi contronatura. Questa scelta viola l’anatomia di una determinata parte (quella rettale) della nostra costituzione fisica, la quale è evidentemente un prodotto della sola natura. La condanna morale ed estetica di quest’uso perverso si fonda pertanto in primo luogo già sul fatto obiettivo della costituzione anatomica dell’essere umano. E quindi sulla natura dello stesso, così com’è in sé, come Dio l’ha fatta, nella sua perfetta e compiuta anatomia. Nessuna persona sensata può infatti sostenere che la nostra anatomia di esseri umani sia un prodotto della “cultura”.
Gli apparati riproduttivi degli esseri umani sono simili a quelli degli altri mammiferi. Ci rendono simili agli animali, dal lato appunto della natura, costituita in modo da potersi riprodurre e perpetuare. L’istinto della riproduzione, che, utilizzando il desiderio del piacere carnale, spinge all’accoppiamento tra maschi e femmine, ce l’abbiamo o no, in quanto puro istinto, allo stesso modo degli animali? E negli animali deve considerarsi un prodotto della natura o della “cultura”? Gli animali non hanno né società né “cultura” quindi è la loro natura che, sotto forma di istinto, li spinge all’accoppiamento tra maschi e femmine per la riproduzione. E ciò che qui vale per gli animali non vale anche per noi, per quella parte della nostra natura che è appunto animale, intendendosi il termine in senso puramente biologico?
Inoltre, la natura non può aver creato una tendenza omosessuale naturale negli esseri umani da essa forniti di apparati riproduttivi tra loro complementari, nelle due forme del maschio e della femmina: non può perché l’omosessualità è per definizione intrinsecamente sterile. Dire che la natura l’ha posta in noi come tendenza naturale allo stesso modo dell’eterosessualità, in modo che potessimo scegliere a seconda dei gusti, equivale a dire che la natura avrebbe programmato la propria estinzione, in quanto natura. Il che non è razionalmente sostenibile. E se la natura ha posto come naturali in noi tendenze omo, per qual motivo ci ha allora fornito dei due apparati riproduttivi tra loro complementari e nello stesso tempo così ben differenziati nei due tipi che costituiscono il maschio e la femmina? Tanto per perder tempo? Se le tendenze omo fossero naturali, la natura sarebbe in se stessa contraddittoria perché da un lato avrebbe costruito gli individui come maschio e femmina in modo da renderli fisiologicamente ed anatomicamente atti a soddisfare l’istinto naturale della riproduzione, istinto vitale; dall’altro, li avrebbe simultaneamente forniti di un istinto del tutto opposto o istinto di morte, consistente nel sottrarsi all’istinto vitale utilizzando i loro organi sessuali in attività omosessuali, non conformi alla loro fisiologia e anatomia, create quest’ultime sempre dalla natura. Una natura minata da una contraddizione del genere non avrebbe in realtà potuto mantenersi a lungo ed anzi, a ben vedere, nemmeno esistere.
Dire che il sesso non esiste in natura perché è una libera scelta dell’individuo, quale essa sia, che lo Stato si deve limitare a riconoscere, perché in natura al posto del maschio e della femmina (dei due sessi) esisterebbe invece un “genere” del tutto psicologico, in sé indeterminato, che ricomprenderebbe mascolinità e femminilità o “altro” come semplici possibilità da esplorare a piacere: pensare questo significa in primo luogo avere un’idea del tutto sbagliata della natura e del suo modo di operare, oggi ampiamente illustrato dalla scienza, che conferma l’esistenza in essa di un o r d i n e basato, per ciò che riguarda il mondo animale, sulla complementarità feconda ed ineliminabile dei due sessi, maschile e femminile, la cui reciproca, istintiva attrazione soddisfa quella fondamentale esigenza di riproduzione, mediante la quale la natura stessa esiste e si perpetua.
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[1] Volker Zastrow, Gender. Politische Geschlechtsumwandlung, mit Zeichnungen von Anke Feuchtenberger, Edition Sonderwege bei Manuscriptum, Waltrop und Leipzig, 2010³, pp. 58.
www.manuscriptum.de. [Genere. La politica dell’inversione dei sessi. Incisioni di Anke Feuchtenberger]. In forma più ridotta una mia recensione a questo lavoro è apparsa sul trimestrale francese Catholica, n. 112, estate 2011, pp. 92-96, con il titolo: Le mensonge diabolique du Gender mainstreaming. Il testo è stato da me interamente rivisto e ampliato, modificato in più punti. Ringrazio la direzione della rivista per aver gentilmente consentito a questa riedizione in italiano.
[2] Vedi, tra gli altri: Manfred Spreng – Harald Seubert (a cura di Andreas Späth), Vergewaltigung der menschlichen Identität. Ueber die Irrtümer der Gender-Ideologie [La falsificazione dell’identità umana. Sugli errori dell’ideologia di genere], Verlag Logos Editions, Ansbach, 2012, pp. 110; Inge M. Thürkauf, Gender Mainstreaming. Multikultur und die Neue Weltordnung [Gender mainstreaming. Multiculturalità e nuovo ordine mondiale], Schweizerzeit-Schriftenreihe Nr. 55, “Schweizerzeit” Verlag, Flaach, 2013, pp. 47.
[3] Traduco letteralmente. Il testo dice: “[…] kastrierte und aus der Haut seines Hodensacks rudimentäre Schamlippen formte”, op. cit., p. 42.
[4] Zastrow, p. 56: “…dass Geschlechtsrollen im Gegensatz zum biologischen Geschlecht nur erlernt seien”.